L'acquisto di un pesce
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Aveva scelto il piccolo pesce per quella fragilità che ne aveva colto
all’istante nell’acquario.
L’aveva scelto per come sapeva guizzare, pur sembrando immoto, e per quel suo
mettersi vicino al vetro dell’acquario, guardando il mondo fuori che doveva
necessariamente vedere così grande, dietro quel vetro fattosi lente a
magnificarne le già enormi dimensioni, da far ringraziare al pesce la sorte di
aver avuto quella gabbia di vetro a protezione.
L’aveva scelto perché posando il dito sul cristallo lucido, indifferente al
divieto scritto sul muro del negozio, non disturbate e non toccate gli animali,
il piccolo pesce color ambra si era all’istante avvicinato al dito.
E aveva mosso la bocca come se avesse voluto, oltre il vetro assaggiare il dito.
In modo però così terribilmente ingenuo e delicato.
Poi quando, approfittando di una distrazione del padrone del negozio aveva
infilato la mano nella vasca, bagnandosi il polsino della camicia, e l’orologio,
quel pesce dopo un attimo solo di indecisione al piccolo maremoto improvvisato
non era scappato.
Non era, no, quello sarebbe stato troppo anche nella pesca più fortunata della
Bibbia, non era riuscito a prenderlo e tenerlo nella mano. Al suo serrare le
dita a cercare di cingerlo e tenerlo, il piccolo pesce - l’uomo si era anche
distratto nel vedere oltre il vetro molato quanto grande sembrasse ora la sua
mano - era sfuggito, quasi per gioco tra le dita, sfiorandole.
E all’uomo quel contatto era sembrato così morbido e fresco, e naturale e in
fondo il pesce nemmeno era sembrato aver paura della mano.
Così quando l’uomo che lavorava nel negozio si era voltato, tornando in
prossimità della grande vasca aperta quadrata, e aveva cominciato a magnificare
specie di pesci i cui nomi all’uomo suonavano marziane, lui aveva già scelto.
“Quello”
“Sì, quello che rimane lì e sembra sorrida”
Il padrone del negozio l’aveva guardato in modo quasi strano. Come si fa a dire
che un pesce sorride ? Lo sguardo oscillava in un misto di ironia e
commiserazione per l’uomo che non riusciva a impedire al polsino della camicia
di inzuppare la tasca in cui aveva nascosto la sua mano.
Il negoziante aveva preso un sacchetto, vi aveva messo dell’acqua. E il pesce
ambrato, dentro quel palloncino chiuso da un sottile filo era uscito dal negozio
appeso alla mano ancora bagnata dell’uomo che l’aveva scelto e comperato.
A casa liberò il pesce in un contenitore comodo, largo e illuminato.
Guardò il piccolo pesce e sì, ne fu certo. Non si era sbagliato.
Il pesce sorrideva e avvicinava la sua bocca al dito dell’uomo immerso con la
mano nell’acqua.
Fino all’orologio che, bagnandosi in quel negozio, si era inevitabilmente
fermato.
Alle undici e quaranta, quando per carezzare il pesce si era fatto palombaro.