Bassa marea
 

 




Ho scritto tanto in questi giorni, perché avevo un mare di cose da far uscire, come la marea bretone.
Una volta ero a Mont Saint Michel.
C’era bassa marea, avevo parcheggiato la moto sulla strada sopraelevata che unisce, a istmo l’isola alla terra ferma. E nel mare fatto terreno dal ritirarsi chilometrico delle acque camminavo. Le barche colorate, bretoni, e normanne in secca, prostravano chiglia e scafo, chine su un lato, addormentate.
Quando fui lontano, che l’isola sembrava un buffo cono di rocce e case, incominciò il rumore.
L’acqua cominciò dalla parte opposta a quella dove l’isola sorgeva ad avanzare, di fronte come un piccolo muro con un rombo continuo, quasi un brontolio dal ventre del mare.
Da sotto i piedi, il terreno cominciava a farsi meno compatto, chiazze umide sempre più decise a circondare l’impronta dei miei piedi che attimo dopo attimo cominciava ad affondare nella terra rifatta sabbia e mare.
Riguadagnai l’isola di corsa, preso dal panico.
A riva due gendarmi coi fischietti, suonandoli a perdifiato sembrano scandire i passi sempre più decisi nella sabbia ormai morbida e cedevole. Giunto a riva ebbi diritto a una sonora lavata di capo.
In francese per fortuna, così mi sembrò un poco meno aggressiva.
“Non si gioca col mare, il mare è pericoloso” è tutto ciò che io riuscii a capire.
Ecco così le mie parole.
Salivano da dentro, spingevano da fuori, la piccola marea di microscopiche lettere nere.
Ora le fermo.
La marea è salita e anche le barche sono tornata a ondeggiare, inflitti gli scafi nell’acqua gonfia e ad attendere l’uscita per la pesca in mare.
Ora mi fermo.
Smetto di scrivere.
E leggo, seduto in riva al mare.