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Saliva, poi scendeva. Scale interiori. Erano le scale dei ricordi, del pensiero. Dei desideri. Poi saliva ancora. Seguiva una musica sua interiore. Se avesse chiuso gli occhi e si fosse dimenticato di dove era, probabilmente avrebbe avuto una vera melodia e l’avrebbe canticchiata piano, senza parole ma solo l’alone caldo del suo pensiero a scivolare sulle note. Gli oscillava dentro, metronomo senza regole e necessità di un ritmo coerente, onda e flusso. Non hanno argine, non conoscono sponde a contenerli, né vincolo di ragione i desideri. E volano, nella libertà assoluta ch nessuno può imbrigliare o tenere ferma un istante solo. Dicono di loro che sappiano volare davvero, gabbiani senza ali, telefono senza fili, aria di mongolfiera, senza bisogno di sacca o tela, affidata all'aria di questa primavera. Comunione di pensiero. Il sole sul davanzale di ardesia nera sembrava latte bianco versato. Le tende di pizzo fatte a mano alla finestra una rete per pescare il sole. Quasi fossero i raggi a traforarle e disegnare quelle trine con la luce. La gatta respirava senza affanno alcuno il tepore della primavera. L’uomo chiuse gli occhi e cominciò a cantare. A bocca chiusa, solo una melodia nata così, poco prima di scendere in cucina a cucinare. Sapendo che non era l’unico a conoscerne le parole. |