Chicchi di riso nero

 
     

 
 
 
Ho scelto il corpo più lieve dei caratteri, piccolo, delicato, che le parole non siano troppe, che facendole piccole siano più gentili e non si riempia il foglio subito.
Che siano sottili come l’acqua quando corre facendosi veloce e si veste di argento e di riflessi di ogni tinta o sfumatura. Attorcigliandosi e aggrovigliando intorno a sé e dentro sé ogni colore.
Ho scelto un carattere a caso, il primo che l’editor di word mi offriva, quello di ogni giorno quando scrivi, perché la meraviglia non è nelle cose strepitose, in quelle che occorre impegnarsi a cercarle per avere effetto dentro il cuore, ma in quelle così semplici, intimamente consuete da passare a volte quasi inosservate.
Quelle che scopri esserci, da sempre forse, di averle sempre sentite. Che sono così intime, dentro, avvinghiate alle radici della tua anima e del tuo sentire che le respiri. Le batti al correre del sangue nelle vene. Sono quel fremito alle tempie quando ti emozioni, quel brivido sotto la doccia prima che scaldi l’acqua, quel senso di avere il mondo sotto i piedi quando ruoti e ti giri nel letto al mattino, e ti siedi e scopri ancora il mondo quando i piedi si sposano al tappeto.
Sono lo stupore che esista ogni giorno un mondo fuori da una finestra, sole, nebbia, pioggia, ombre e luci. Silenzi e rumori. La scoperta infinita in un fotogramma solo, quello che ogni mattina conosci e ritrovi al guardarlo, eppure ogni mattina ti stupisce come fosse nuovo.
Il carattere è corpo otto. Sembrano piccoli chicchi neri nel piatto bianco dello schermo, distribuiti ovunque dalle dita.
Li guardo, non sembrano neppure più parole. Se vado a capo è come se spostassi chicchi a lato.
Fin qui.
No, fin qui, appena un po’ più in là ancora.
Piccole cose. Quelle che fanno vera la vita. Quelle che hai dentro e a volte salgono imperiose, e solo allora ti sembra di scoprirle, e a ognuna cerchi un nome.
Quelle che quando sei felice lanci in aria spalancando le mani, in alto più che puoi. Per vederle volare e sentirne il suono che tintinna al toccare suolo come una cascata di monete.
Piccole cose, quelle che stringi invece a volte, serrando le dita chiuse nella mano, per cercare in loro quel calore che non senti fuori. Le senti, stringi la mano forte, più forte ancora.
Vorresti si piantassero nel palmo e gridassero per te anche loro. Tenendole così trovi appiglio e porto, in loro.
Non so se era questo che volevo scrivere stasera. So che questo è uscito.
Volevo scrivere di mille cose, mille pensieri, desideri. Del caldo e del freddo.
In cui mi perdo. Del coraggio e della paura, dell’estate e dell’inverno. Di cosa senti quando corri, e cosa quando anche solo ti alzi da un divano.
Di cosa sente un ginocchio, un piede, o cosa sentano le reni quando cammini, corri o stai soltanto per comandare al corpo di alzarsi e andare.
Poi sono usciti chicchi di riso nero. Piccoli, tanti.
Ho scritto di loro ma la mia testa era via.
Mentre le dita spostavano e mettevano disordine ai chicchi lei si lavava. Perché i pensieri devono essere puliti.
Per onorare le piccole cose.
Sia che le lanci in aria per sentirle tintinnare sia che le serri a dare alla tua mano la misura della vita.
Quelle che fanno grande viaggio il vivere, unico ogni tuo sogno, vero e così intimo e vitale un amore. Gloriosa ogni battaglia e ogni sfida, nuovo un sole, irripetuta e irripetibile ogni giornata. Quelle a cui chiedo la forza ancora. Perché sia vita. La vita.
Le piccole cose. I chicchi di riso seminati dentro il cuore.