il collo, l'animale e l'odore
Il muso contro il viso.
Il naso freddo e bagnato, colmo di respiro, a cercare l'angolo dove l'occhio
dell'uomo sul cuscino si serra. A lavare, freddo, al contatto, il taglio nel
quale l'occhio chiude.
A far vibrare il naso nella carezza del pelo sottile e profumato.
La gatta è sul cuscino.
Miagola, sommessa. A voce netta, ora, come se reclamasse il suo ruolo e l'uomo
appena sveglio sembra capirne persino il suono.
L'odore della gatta è odore caldo e morbido, quasi avvolgente, di felino.
Forte e caldo e sa di sole e ombra. Di voglia e di abbandono.
La gatta, muovendosi alla ricerca di una qualche tregua al suo girare,
miagolando col retro della gola, sembra sentire, leggere e scegliere l'odore
dell'uomo.
Rossa di pelo, abituata alle sue notti, nel buio, alla ricerca della vita. Con
l'odore dell'erba, sfregata scivolando piatta, serrato nel suo pelo. Dell'erba e
della notte.
Della vita.
Avvicina e strofina con pressione il muso. Ammusa e marca con l'odore del suo
collo, sfregandolo in una carezza insistita, il viso.
L'uomo ha gli odori della notte nel cuore e nella testa, e il silenzio dei
pensieri, e sente, dal calore e dall'odore, dal pelo che lo sfiora e preme sul
suo viso, il bacio umido felino.
Sposta d'istinto il viso, a metà risveglio, a cercare col suo collo, lui quasi
fosse gatto, il collo della gatta.
Arriva col collo suo sul suo, e la gatta ha solo in quel contatto di pelle
animale un brontolio, forte e profondo, nella gola.
L'uomo sente, sul collo, sulla pelle calda di sonno, naso e muso, e poi, a bocca
semichiusa, i denti della gatta. Il bacio di quei denti piccoli e forti, la
bocca appena socchiusa.
Sono freddi e duri, eppure lui non li sente minaccia, posati sulla pelle.
La gatta appoggia i denti ma non morde.
Fa sentire forse solo la sua forza.
A bocca semichiusa, l'alito leggero che filtra, i denti e l'umido del naso,
morbido, indifeso, che affonda, spinto dal collo proteso, nella pelle.
La gatta cerca posizione, gira su stessa, schiaccia come fosse piombo, al passo
lento, la morbidezza del cuscino. Muove le unghie avanti e indietro ma non
ferisce né la stoffa né le piume.
Crepita d'unghie la stanza nel silenzio.
L'uomo si gira.
A viso a viso.
La gatta sa di pulito.
Calda come l'alba.
Odora di minuziose pulizie, lingua a percorrere ogni centimetro di pelle.
come si prepara un'amante ad un incontro.
Odora di lingua, di tempo passato a lavare e pettinare e pettinare, piegare e
comandare, lucido e morbido per te, il pelo.
Sa di pulito e di calore. Di notte e di forza controllata eppure selvaggia.
Di ombra e di sole, delle stagioni libere della vita.
Di scatti e di corse, di inarcarsi e di scoccare di freccia.
Strofina ancora il muso a cercare quasi, collo a collo, un contatto, l'incastro,
lo scambio del calore e dell'odore.
L'accollarsi di due gatti. La ricerca di fondere l'odore prima dei corpi.
La gatta sembra farsi carne di donna ,e collo morbido e caldo, e pelle e non più
pelo.
Gli occhi a taglio, schiusi e fissi, sembra che lì, il viso e il muso,
accostati, lei lo guardi fisso.
L'uomo sente ora forte l'odore della gatta.
"Scrivo con una gatta, rossa, libera e selvaggia, piccola, e affettuosa a volte,
sdraiata,..dorme, ronronfando, affianco alla tastiera. Ha respiro regolare e
profondo. Isola di gatta, in fondo."
Era lo scorso anno, e lei, libera nelle campagne, entrava, per le prime volte
allora, nella casa dell'uomo, al mare.
Entrava e usciva facendo casa nella sua casa. Come san fare i gatti.
Nel mattino dell'inverno, a mezzo sole del mattino, alla luce che non sa farsi
ancora caldo, lei, rossa di arancio, scivola sul collo ora.
Preme col muso contro il viso.
Sfrega come si fa, gatto con gatto.
A cercare di mescolare, fondere e sciogliere l'uno nell'altro, il proprio odore.
A sciogliere anche il risveglio nel patto.
La gatta punta le zampe, ora.
Tese nella spalla. Sfila e reinfila le unghie tese e taglienti, fuori e dentro i
polpastrelli di gomma calda, senza ferire.
Saggia solo la pelle, la segna senza graffio, appoggia la sua forza aguzza e
prepotente e la ritrae. Punteggia di carezze in punta d'unghia.
-Potrei ferirti, sembra dire, ma lasciati andare. Abbi fiducia, io non lo
faccio.
Accetta i polpastrelli, morbidi come spugna , e il bacio della punta delle
unghie, che carezza e non ferisce.
Spinge e impasta, con le zampe, la carne della spalla, la clavicola e il collo.
Poi scivola a rinnovare lo strofinare della pelle sulla pelle. Il collo a
incastrarsi nella curva, nell'ansa, a porto, del collo dell'uomo, a metà della
sua veglia.
Brontola il suo piacere con la gola e con la pancia.
Scioglie il suo suono, di notti e notti, perse al buio della valle.
E' morbida e calda al contatto della pelle. Ora è vicina al volto e trema.
Vibra le fusa con il ventre, trema di gola.
Non trattiene né il ritmo del respiro nel il vibrare animale della gola.
Sdraiata lì, padrona del suo tempo e delle emozioni più dirette.
Non parla, e trema, vibra soltanto.
Nel suo vibrare tuona nel silenzio della stanza, rimbomba, e ogni nuovo tremito
sonoro affonda nell'eco di quello precedente.
Ritmato come un'onda.
La pelle sulla spalla dell'uomo serba i segni, invisibili ma infissi, e il
piccolo pulsare sulla pelle dell'impronta delle unghie.
Morbido, bruciante, e non dolente.
Lei muove ancora e dilata le zampe.
Dilata i polpastrelli, separati, le zampe tese, sdraiata su di un lato, la
schiena inarcata come molla.
Dilata e stringe.
Libera l'aria e la afferra.
Nel vuoto, ad ogni spinta avanti della schiena, ad ogni inarcarsi, più proteso e
più carico di molla, ad ogni spinta avanti delle zampe tese, arriva come lama
bianca l'uscita delle unghie.
Lei segna l'aria.
La firma con le lame.
L'unghia rientra, docile, come placata, nella carne volta dopo volta.
L'unghia che nell'aria non è più delicata e attenta, lei ora non ci riesce, come
lo era sulla pelle.
Che sembra tagliarla a strisce, fenderla al ritmo dei polmoni e del suo ventre.
Poi, come se fosse sazia, la gatta affonda il capo nella curva disegnata dalla
spalla e dal collo dell'uomo sul cuscino.
Spinge il suo capo a farcisi casa, e affondarci, come se fosse calco, e non
testa e collo, su un cuscino.
Inarca la schiena ancora a cercare di affondare nella forza dell'ultima spinta,
fin dove la pelle, la carne, e l'osso lo permette.
Rilassa l'arco della schiena.
Scioglie la schiena e si rende morbida e calda e molle.
Il moto delle zampe, dei polpastrelli, e delle unghie a disegnare l'aria, piano
piano si spegne.
Lei affonda, sul collo che ha segnato, col suo odore, nell'ammusarsi prima.
Morbida come se fosse solo carne e pelo e pelle.
Senza più nulla che calore.
La forza, sciolta nel calore dell'abbraccio di quel collo.
E si addormenta lì, all'ombra del volto, sul cuscino.
Abbandonata.
Morbida e indifesa, col respiro del sonno.
La gatta fatta donna.
L'uomo, che, al tepore, scivola nuovamente.
Nel suo sonno.
Immobili, fino al raggio del sole che arriverà mezz'ora dopo, a lavare di luce
il letto.
Alle luci dell'alba, nel sonno, sono due animali.
Che dormono rubando il giorno.
Con il respiro lento della libertà, dell'odore e del respiro della Terra.
La dedica è al sentire senza doversi, per quell'errore che chiamiamo con
presunzione essere "umani", nascondere ogni volta dietro la ragione.
Al vivere, sciolti e morbidi nella vita, liberi nelle emozioni, come una parte
del tutto.
All'emozione dello stomaco e del sentire, che, se la lasci correre, non ha
bisogno assolutamente né di logica né di parole.
All'animale felice, forte e sincero, semplice come sono semplici e diretti gli
odori, che abbiamo dentro e non dovremmo soffocare.
E infine al richiamo dell'odore, che cambia, ci parla e ci grida di ascoltare.
All'onda della vita, che porta in mano noi e il nostro andare.