Dialoghi impossibili

 

 

1. Haruki Murakami e Faber

"Sì, lo capisco," dissi. "Molti dicono che è un modo di fuggire dalla realtà. Ma io non ci vedo niente di strano. Ognuno è padrone della propria vita. Se uno sa quello che vuole, può vivere come crede. Non mi importa di quello che dicono gli altri.
Quella gente per me può anche finire in pasto ai coccodrilli.
La pensavo così quando avevo la tua età , e non ho cambiato idea. Forse perchè sono rimasto immaturo, o forse perchè avevo ragione sin da allora.
La questione è ancora aperta."


E detto questo l'uomo seduto tacque.
L'uomo in piedi di fronte a lui iniziò parte dei riti meccanici e quasi automatici che ripeteva, ogni volta mentre lo faceva ovviamente pensava ad altro, prima di lasciare il lavoro.
Aveva anche alcune valigie, da fare a casa, prima del viaggio.
Una nera rigida e grande, in cui mettere pantaloni e giacche che non si sgualcissero nel viaggio.
Una che in realtà era solo uno zainetto blu con una sola grande tasca e un piccolo contenitore chiuso anch'esso da una lampo sul davanti. Erano da preparare entrambe e forse a quello stava pensando.
Pensò un istante alle ultime parole che l'altro uomo nella stanza aveva detto sulla vita e sulle mille scelte che a sua volta, come chiunque, aveva fatte. E al perchè avesse parlato proprio di coccodrilli e non leoni o altri animali, immaturità per immaturità andavano bene quasi tutti quelli dei suoi libri di avventure.
Si girò verso l'uomo dei coccodrilli e lo salutò uscendo.
"Ma è così importante che tu sappia se sei rimasto immaturo o se avevi ragione e basta da sempre?"
Uscì lasciando dietro di sè solo questa domanda che non richiedeva risposte.
E un uomo che sembrava la sua ombra, seduto davanti a un tavolo, nella stanza.

(La prima parte del testo e del dialogo è tratta da Dance Dance Dance di H.M.)