Era sceso a mettere monete nel parchimetro.
Aveva guardato il cielo che si apriva meraviglioso al blu di quel
mattino, e ascoltato il
silenzio velato delle strade ancora sciolte e addormentate nella giornata
risparmiata dal lavoro. Passanti, pochi, lenti, sospesi e senza peso nel
cammino, nessuno che avesse o esprimesse la necessità di un passo
accelerato.
Aveva respirato a fondo, l'aria era così pulita e il corpo era così sciolto, leggero, la
schiena, le gambe, e il respiro che sembrava vita e lo sentiva
dentro, ad allargargli l’anima.
Una moneta, due, tre. La conta dei pezzi ad accumularsi
scivolandogli dal palmo della mano. Una clessidra di monete che dal
palmo fattosi conca una ad una passavano tra pollice e indice nel ventre di metallo.
Preparandosi a
scandire le ore, le mezz’ore, i quarti d’ora di una giornata.
Sabbia metallica che cala di peso e di volume nella mano, ricercata
fin nel fondo della piega, sotto il mazzo delle chiavi e i
fazzolettini di carta nel pacchetto. Raccolta nella tasca che prima le teneva e lui aveva svuotato.
Un’ultima moneta, un ultimo respiro. Uno sguardo, quasi fosse
l'ultimo, al cielo di autunno, verso il punto dove la città svaniva.
Nessuno in quel momento lo guardava, ma se l’avessero guardato avrebbero detto che
solo un attimo prima, un attimo solo prima, lì ancora qualcuno,
proprio lui, quell’uomo dal sorriso
felice, c’era.
Sì, c’era.
Io l’ho visto, avrebbe potuto giurare la ragazza che camminava sul
marciapiede tenendo per mano il suo bambino con cui parlava dei
piccoli segreti della vita di un bambino.
- L’ho visto che cercava qualcosa nella tasca, era quasi chino sul
fianco mentre la mano vi si sprofondava - avrebbe detto quell’uomo
col cappello di lana fermo ad accendersi da fumare, le dita un po'
gialle di nicotina, all'angolo della
strada.
Perchè allo scomparire dell'ultima moneta dalla sua mano lui, in
silenzio, in quell'attimo di perfezione quasi irreale eppure
tangibile e così serena, era svanito. Nel nulla di una giornata
perfetta fatta di blu e silenzio nella strada.
Il tempo ormai chiuso nella macchina, alimentato dalle monete l’aveva
preso e portato via con sè, rapito, rubato, assorbito. Come se con l'ultima moneta il tempo
l'avesse risucchiato nella feritoia stretta insieme a loro, le
dodici monete delle dodici ore, e chiuso
prigioniero per sempre con loro, dentro il ventre di metallo buio.
L'uomo aveva travasato il tempo nella macchina e il tempo, di cui lui non
sapeva farsi padrone, se l’era preso, in silenzio, senza clamore,
senza rumore. Nessuna traccia di lotta, nemmeno una sola parola
urlata, o il suono di grida. Nemmeno un'eco di silenzio era
rimasta a testimone.
Non aveva avuto forse il tempo di gridarne, o la forza, mentre il
tempo lo prendeva e se lo portava via.
Se la ragazza col bambino per mano avesse solo guardato in
quell'attimo nella sua
direzione, forse, non sarebbe successo o almeno avrebbe saputo dire
qualcosa, poi, a chi urlando l’aveva cercato, percorrendo per giorni e
notti senza farsene una ragione quella via. Se solo l'uomo che accendeva
la sigaretta avesse solo atteso un attimo prima di volgere lo
sguardo all'accendino e alla brace. Forse...
Dopo le ore acquistate, il parchimetro aveva azzerato il tempo
stesso, chiuso la corsa e la porta con cui l’aveva inghiottito. Era
trascorso, poi, il tempo avvolto, scivolando su se stesso,
srotolandosi fino a esaurirsi, moneta dopo moneta.
Dopo di che, in un'altra giornata blu di cielo, nella città che
riprendeva vita, era, inesorabilmente,con l'ultimo scatto dl
parchimetro, finito.
Il tempo dell'uomo.
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