Gas e luce
La storia che comincia o che finisce.
Che trova passi alterni e inciampa, si rialza, toglie di dosso polvere e fili
d’erba, scuote la giacca.
L’uomo esce quel mattino dalla casa.
Chiude la porta alle sue spalle.
Due serrature.
Quattro mandate la prima, due la seconda.
Controlla per paranoia abituale che sia ben chiusa.
Non vuol lasciare nulla aperto.
Da sempre ha questa fissa. Quando chiude, di aver davvero chiuso.
E così controlla.
E’ solo in fondo la questione di pochi istanti e dopo è assai più lieve il passo
se ne ha la certezza.
Che tutto sia chiuso alle sue spalle.
Specialmente quando, come oggi, parte.
Ha chiuso le persiane.
Dopo aver chiuso i vetri.
Per congelare l’aria, farla immobile e nello scuro confondere e far sparire per
sottrazione di luce, ogni oggetto, cosa, dettaglio e immagine.
Richiuso nell’armadio tutto. E lì, dietro le ante, ogni vestito, camicia,
pantalone, qualsiasi cosa dorme. Dimenticato dietro alle ante. E al loro odore
di legno di ciliegio.
Ha chiuso l’acqua.
Anche il rubinetto centrale.
Perché nell’abbandono della casa alla sua partenza, nessuno magari poi trovi,
tempo dopo, la casa sotto allagata, in casa di sbalzo di pressione.
Ecco, …sì. L’ha fatto.
Gli era venuto un dubbio.
Pensando all’acqua si è ricordato anche di quello. Il gas è chiuso al contatore.
Che nel silenzio e nel buio non ci siano fughe o altro.
Anche perché se l’acqua o il gas facessero un dispetto, dovrebbe ritornare sui
suoi passi.
E non ha voglia di quel viaggio.
Ci ha messo tanto a comprare quel biglietto e ora che l’ha fatto ha solo voglia
di partire e lasciarsi indietro tutto.
Ha chiuso nei cassetti della scrivania e nel mobile dove li tiene abitualmente
musiche e oggetti, ogni ricordo.
Perché la memoria si cancella in primo luogo per sottrazione di luce.
E la memoria fa cattivi scherzi, fa perdere le reali dimensioni delle piccole
cose e le fa ritornare come ombre proiettate contro un muro esageratamente
grandi.
Trasforma l’ombra di un gatto in pantera, un sasso in monte, il nano di Spoon
River in un gigante.
E’ necessario il buio e lo stupore di altre persone quando poi magari, tempo
dopo, aprendo quei cassetti, si domanderanno dell’uomo e del suo chiudere le
porte. Necessario per dare dimensione e non gonfiare d’acqua come spugne anche i
ricordi.
Ha fatto un po’ fatica a chiudere e lasciare lì tutto. La tentazione è quella di
fare grandi bagagli. Di non staccarsi dai ricordi.
Le musiche: ma lui sa che ha orecchie sempre attente, le ha da sempre, e che la
musica è per lui la vita, e quindi, come sempre, si emozionerà a scoprirne
altre.
Ma il primo passo verso la chiusura delle due serrature è metterli, musiche
vecchie, oggetti che all’acquisto sembravano unici e vitali, quasi
irrinunciabili, e pensieri e ricordi, lì, al loro posto.
Al buio.
Perché senza la luce nessuna cosa ha veramente più valore.
Si riduce all’essenza senza colore e spessore, forma e peso di se stessa.
E chiuderla, l’uomo con stupore pensa a come, in fondo, facilmente ci sia
riuscito, è un poco voler dire anche alle cose ed ai ricordi, riportandoli al
nulla da cui erano scaturiti che era solo colpa o merito della luce, e il loro
valore non era nemmeno davvero in loro stessi.
La casa è buio ora oltre la porta.
Non ha ancora quell’odore che prendono le case chiuse e morte.
Lo prenderà col tempo. La sottrazione della luce fa brutti scherzi e
ridimensiona anche gli odori.
Appiattisce e sfuma in umido polvere e grigio.
La casa è buia e l’uomo è nella strada.
Fuori la luce è quasi dolorosa. Abbaglia.
Scuote e fa dimenticare anche le chiavi della casa abbandonata, che saltellano
ad ogni passo nella tasca. La luce.
Tra pochi giorni la luce e una nuova vita, la casa nuova, chissà dove.
E nuove musiche, nuove emozioni, nuovi stupori, nuove corse e salite, nuovi
oggetti da rincorrere,irrinunciabili almeno per un giorno, nuove parole e mille
lampadine nuove a illuminare anche nella notte il sole.
La porta è stata chiusa,a ben pensarci, non con la chiave e col suo girare, ma
in realtà nell’istante in cui l’uomo ha telefonato, il mattino, prima di
chiudere la porta.
Ha disdetto con un'ultima telefonata assai formale i contratti, e la voce sua
era tranquilla. Nessuna agitazione o emozione nel farlo.
Credeva gli sarebbe pesato farlo, era un atto di reale chiusura della casa. Ben
più del gesto abituale di una serratura.
Era chiudere la casa così, prima delle serrature, con quella telefonata.
Luce e gas.
Poi, l’ultima bolletta, a ricordargli, quando arriverà, tra mesi forse, di
quella sua giornata.
La voce della donna all’altro capo, al mattino, dopo quella comunicazione, e il
suo saluto, in chiusura, a chiudere con gas e luce quella telefonata.
- Grazie. Buona giornata. -