Gita sul Carso, 1970. A fine scuola.

 

 

 
 
 
Ho voglia di scrivere.
Ce l’ho davvero, tanta e spinge dentro come quei fiumi sul Carso da ragazzo quando ci andavo, nel periodo che là vissi, tra montagne e mare, in gita. Ricordo l’alveo di quei fiumi che sembrano scheletri secchi, e rimbombavano come quando vuoi scrivere rimbombano dentro ovunque le parole che cercano di uscire.
Ricordo anche l’amore mio di allora.
Che in una gita a fine anno della scuola manco osai baciare, e ricordo l’altra che baciai per gioco. Più alta di me quella del bacio, giocava a pallavolo, figlia di ricchi, notabili e un po’ strana e stordita e persa sempre nei suoi pensieri.
Bellissima, i capelli suoi sembravano serpenti e ci impazzivo, l’altra di allora. Figlia di commercianti o forse di un bancario (lei poi ne sposò uno ed ebbero quattro figli quattro) era la Venere dei quadri, non grassa, solo perfetta.
Ma non era di loro che dicevo a me stesso nei pensieri. Era del fiume.
Che lì correva e aveva disegnato solchi nella pietra, che aveva lasciato pozze isolate nell’estate che sembravano piccoli laghi di ghiacciai incavati. In due punti l’acqua però nel mio ricordo c’era.
Sembrava uscire dal nulla, sputata con violenza di torrente senza freni dal suolo rotto, fratturato, scavato e torto. Usciva e correva, faceva anse, poi di nuovo dentro la terra, nemmeno cento metri di dislivello sotto, su sassi incerti in cui scendendo ripido inciampavi, la inghiottiva vorace.
Ecco perché scriverei.
Perché scrivere è giocare con l’acqua.
E’ farla uscire, inattesa, poi farla ancora scomparire, farla correre sotto dove solo chi sa ascoltare il mio suolo e conosce le mie rocce la può sentire. E poi schizzare al cielo, fontana di parole e mie emozioni.
Farla sussurrare le mie malinconie e i miei abbandoni.
Farla tremare di argento quando ride e anche io quando rido.
Di cosa scriverei?
Di tutto. Non credo esista limite alcuno allo scrivere come nessun limite può esistere al vivere o al sentire.
Colorerei pagine intere di passione. Con tutti i suoi colori, a seconda di come la baciano le ombre e il sole. Dal nero al viola al rosso vivo. All’ambra caldo e forte dell’estate.
Poi ne avrei di bianche azzurre come il ghiaccio, quando la vita o le parole pattinano e cercano di non cadere sotto il velo e scomparire. Poi di blu perché nessun cielo se è un cielo sa essere banale e rivitalizza e rende meraviglioso anche e persino il colore più normale.
Scriverei di cose dolci e cose amare.
Di sogni che non hanno bisogno dei pastelli e realtà che hanno magie irreali.
Ho voglia di scrivere davvero e penso a come sia strano.
Che sentirla mi stupisca quasi.
Scrivere è rinascere, perché scrivere è togliere i lacci alle ali.
Di chi scrive e di chi sa leggere l’acqua sotto a roccia e la sa, leggendo aspettare.
Esplode poco a valle. Come il getto di una fontana spaccandosi in mille gocce contro il sole.
In ogni goccia ha ogni colore.
Regala miriadi di arcobaleni lo scrivere col cuore.