Gli addii
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Volevo scrivere.
Di una stazione. Di un addio. Di una fine che scema in pioggia.
Poi.
Dopo.
O forse – durante - quei pensieri la voglia è svanita. Perché avrei dovuto?
Farlo?
Un tempo si bruciavano le lettere, si gettavano dal ponte sul fiume oggetti.
C’erano foto fatte in microscopici brandelli.
Come se la furia distruttrice avesse forza di catarsi per le emozioni.
Ma l’uomo alla stazione, sotto la pioggia a scrosciare ai lati della pensilina
non aveva oggetti.
Nessuna foto, lettera, souvenir da sacrificare.
Aveva un ombrello nella mano sinistra, chiuso ad allargare al suolo un cerchio
irregolare lucido di pioggia scivolata sul nylon, travestitosi sulle stecche, da
seta nera. E una signora a lato, che con lui probabilmente nulla aveva a che
vedere. Che, col cellulare, inviava insulti ad un ignoto ascoltatore, forse un
figlio ribelle, o un marito irresponsabile o un qualsiasi conoscente con cui
aveva livore.
L’uomo alla stazione aveva solo parole.
Che tagliarle, disperderle, gettarle dal ponte scuro sopra il fiume, farle in
coriandoli infiniti era impossibile da fare. Nemmeno renderle in una busta o un
pacco tramite corriere postale.
Così guardò partire un treno, quello fermo al binario dove lui stazionava mentre
dalla tettoia l’acqua si era fatta prima cascata poi fiume.
Io ero fermo lì. Lo stavo a guardare.
Non aveva accompagnato lì nessuno.
Non aveva atteso nessuno perché nessuno si era avvicinato a lui fosse anche solo
per salutare.
Non partiva né arrivava.
Guardò il treno prendere moto, scivolosamente e quasi a fatica accelerare. La
donna anziana col cellulare era già via e non aveva lasciato nessuna traccia se
non l’eco della sua rabbia nel parlare.
L’uomo guardò il treno farsi striscia, stringersi e allungare e uscire. Oltre la
curva all’uscita della stazione, dove i binari andavano a svanire. Poi sollevò
l’ombrello che aveva perso la lucidità dell’acqua e aveva quasi finito di
asciugare. Si voltò.
A terra rimase un cerchio irregolare di acqua che aveva perso ogni pretesa di
avere una forma regolare.
Se avesse avuto lettere, oggetti, fotografie da rompere, tagliare, distruggere,
rendere o bruciare.
Uscì dalla stazione e aprì l’ombrello perché di smettere di piovere sulla città
non ne voleva sapere.
L’ho perso di vista lì.
Nella marea di ombrelli aperti fuori dalla stazione.
Volevo scrivere.
Ma lo farò. Forse. Domani.
(omaggio a Raymond Carver)