I buoni propositi
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Che mi tappezzano la vita, metà dovuti alla necessità di un
quotidiano che si veste di premura.
Metà al desiderio di volare.
Propositi connessi al lavoro necessario, i primi. Troppi in verità, mi scuoterei
questa tovaglia piena di macchie e briciole e detriti. Assai volentieri, e
immagino un giorno che, aprendo la finestra, dopo aver ben guardato che sotto
nessuno sia in transito,..via !!! tuuto nel vento, anche ciò che per peso
specifico tenderebbe solo a precipitare.
E poi propositi, oggi, caldi come le dita, dopo abbozzi di vita contadina e la
riscoperta di quanto sia dura e dell’odore che ti lascia addosso, e sulle mani,
di pensieri, fremiti e scrittura.
Debbo.
Anzi voglio.
Anzi sarà così perchè è legge non dell’uomo, ma di natura.
Riordinare idee e pensieri, primissima cosa. Anche quelli che lucidi mi dicono
ora perché non avessi mai finito di scrivere una cosa. “Quella” cosa.
Ne ho persino disegnato la copertina, abbozzato un impaginato in volume, eppure…
Eppure.
Eppure mi sono fermato un tempo quasi infinito lì, senza proseguire.
Perché dovevo.
Perché volevo.
Perché era legge di scrittura e quindi per me di natura.
Capire.
Prima capire.
Che il non voler finire era non voler mai scrivere una parola “Fine” in
chiusura. Storia infinita.
Concatenata, delirio di avere mille e una vita. Nostalgia.
No, non nostalgia, ma necessità di condensare. Perché avevo, presente,
inconscio, ma neppure così inconscio, il pensiero che non volevo né mai vorrò
scrivere lì, in calce la parola “Fine”
Il sottotitolo del romanzo è “una storia infinita”.
Il titolo Fiume di Pianura.
Scorre, nessuno, nemmeno la parola fine può arginare un fiume.
E scriverò. Perché adesso è l’ora.
Poi il proposito del secondo romanzo da finire. Un anno di lavoro in due.
Che ha seguito sobbalzi anch’esso, di parole e di cuore.
Che va riletto, corretto. Perché vabbè giocare con lo spazio e il tempo come a
me piace fare, ma la consecutio almeno ! Mi toccherà di rispettare.
E poi mancano pezzi, parti fondamentali.
Capitoli che fanno passi avanti e passi indietro, che giocano a legare e a
slegare.
Che tessono fili di parole per far impazzire il lettore, dietro ad una semplice
storia dove l’eros è solo pudore dell’amore.
Scrivo perché ho il desiderio di vederlo pubblicare, mi piace e a un romanzo che
scrivi puoi anche volere davvero bene.
E poi c’è lei che con me scrive, che ha avuto e ha tutta questa pazienza
infinita di aspettare i tempi dei miei temporali e delle mie cadute…
Che poi ho pure voglia di scrivere di cose più leggere delle mie ultime catene,
delle scale infinite e delle lettere che non furono spedite.
Ho voglia di finire quel romanzo, la storia di Angelo e Marianna, che come ha
anticipato l’editore, sì, finirà male. Perché non siamo a Hollywood, santoddio,
e per fortuna qui si scrive anche del fallimento di un amore.
E si cerca di scriverne bene, senza pietà, pietismo, o dolci cantilene.
Senza che un addio di due personaggi debba straziare un solo cuore in più che il
loro. Poi quel romanzo, ma è un segreto di scrittura tra me e la mia coautrice,
a dire il vero abbiamo un poco barato con il futuro lettore, è solo il primo.
Di una trilogia.
E non ha nemmeno quello in fondo la fortuna, così rassicurante e solida e
definitiva, della parola “fine”.
Ecco, se penso che i propositi erano proprio quelli di finire.
Mi smentisco come sempre da solo.
Finirò cose che non possono finire ?
Bello.
Non trovate?
Io sì. E tanto mi basta per sorriderne felice.
Che di smettere di sorridere temo proprio di non esserne capace.
Nemmeno questo, in fondo, so far finire.
So finire.