Ieri notte ho incontrato un fantasma

 

 

 

Ieri notte ho incontrato un fantasma.
Non l'avrei mai nemmeno immaginato. Che nemmeno si potesse.
La storia è breve.
Incomincia con un do maggiore. Come un buon blues che abbia tutti i requisiti come iddio comanda.
E poi finisce con un do maggiore.
Un fantasma.
E un figlio che sul palco sembra nel suo stare in piedi quasi assente il padre. E un ex-ragazzo che sa sciogliere e annodare, taglia e innalza le sue magie.
Una blasfema piccola trinità come sarebbe piaciuta al mio eterno dissacratore bene educato fantasma.
E mentre io mi lasciavo catturare dal piacere come non avevo permesso a nessun suono di farlo più da troppi anni, io lo sapevo sì, benissimo che il fantasma sorrideva sornione.
Io lo vedevo.
Strano anche perché sornione a me lo dissero per combinazione proprio ieri.
Dire che sorrisi sornione è pleonastico, credo.
Di quel fantasma credo di aver copiato, assorbito, rubato, imitato, fatto vestito, calzato a modo mio con assai meno fantasia e grazia tutto quello che potevo. Ritmi e tempi per come li sentivo e per come una nota potesse farsi lettera di tastiera.
Fino a farne un per me delizioso plagio del pensiero.
A Milano ieri sera hanno suonato musiche del maestro che amo, i blues che ascolto quando sono più alle stelle o conoscendomi so che sto precipitando, quelli che hanno melodie a volte quasi circensi e quelli che sono lame che fanno vibrare la carotide sotto la pompa isterica di milioni di watt sul palco.
Alla fine Dweezil ha alzato un dito al cielo, Vai era già probabilmente sotto la doccia fradicio di suoni e cavalcate col maestro.
Da sotto il palco non si è quasi sentito cosa Dweezil abbia detto.
Ma si capiva a chi si riferiva. Cosa voleva dire in quel momento.
Faceva semplicemente vedere la strada per cui dopo il concerto era andato via il fantasma. Da 13 anni ha traslocato, era lì solo un momento prima ma era solo di passaggio.
Starà riordinando altrove il suo piccolo museo infinito di inediti, partiture, tablature e spartiti.
Seduto al tavolo di un bar con Edgard Varese avrà ordinato altro da bere e acceso un'altra sigaretta.
"Thank you Frank"
Credo che sia proprio questo quello che suo figlio, indicando un cielo di lamiere tubi luci, fari arcobaleno, cavi e eco di musiche non ancora spente, abbia detto.

 

(Milano, 28 maggio 2006.  Questo appunto è un particolare omaggio al musicista che più di tutti amo, per questo è l'unico appunto a cui ho dato un propria colonna sonora qui)