I giochi della gatta
 

 

 


 

  Nella mia casa al mare ho una gatta.
Oddio, dire che l’ho è dire qualcosa di inesatto, in realtà c’è e basta.
Ha ancora quell’età in cui i gatti non dimenticano di essere stati e forse di essere ancora cuccioli. Dura alcuni anni, nemmeno pochi nella loro vita, questo loro dono meraviglioso.
Specie quando sono felici, si sentono sicuri e stanno bene hanno questi ritorni improvvisi alla follia del gioco e dell’inseguimento del nulla, l’arte della capriola, del lanciare mugolii offrendo il ventre al cielo o a una mano. Per poi giocare, nell’alternarsi di carezze e dispetti ricevuti da te e di loro fusa mescolate a morsi e lampi di unghie, improvvisi. Non fatti per ferire, ma solo per gioco. Che non tagliano e feriscono se tu sai stare al gioco.
E’ una bella gatta. Orgogliosa del suo pelo.
Arriva a casa dalla sua vita libera quando vuole. A volte al mio arrivo la trovo ad attendermi, a volte si lascia desiderare e chissà in quali cacce e avventure è presa. Non c’è una regola.
Per fortuna, e per delizia mia e sua.
Non c’è nulla di scritto prima, o nulla tra di noi che abbia sapore di banalità o vuoto rito.

Arriva a volte col pelo che ti domandi dove sia andata a dormire, con chi abbia lottato. Sotto quale auto che perde olio si sia nascosta per difendersi o attaccare. O solo spiare una farfalla.
E’ abbastanza piccola e minuta e ha il colore del crodino.
Poi, appena a casa, reclamato e avuto il cibo, che chiede anche quando non ha fame, con strusciamenti da vera puttana, comincia a farsi bella. Lecca e lecca per ore. Il suo pelo. Se avvicino il capo al suo si sfrega alzandosi sulle due zampe posteriori in piedi, muso a muso.
Mi lecca il viso. Le mani. I piedi.
E’ in quel momento che dimentico che i gatti in realtà però non hanno mai padrone.
E quando l’hanno è perché hanno deciso loro che per quel giorno, quelle ore, uno ci sia. Non ho mai amato allo stesso modo, per questo motivo, i cani.
La dedizione per dna, non per passione della vita. La dedizione come attitudine che fa di ogni cane l’appendice e il riflesso troppo piegato e flesso di un padrone. La mia piccola gatta no.
Lei è sempre se stessa, quando col pelo lucido e pulito, morbido di nuovo come seta, si fa bella per me, e si offre nuovamente alle carezze, alle strette alla collottola, e alle mie mani.

E’ arrivata a casa stamani. Ieri chissà dov’era.
Aperta la porta lei stamattina, se l’è trovata davanti lei, inattesa. Che aspettava che qualcuno le aprisse la strada di casa. Io dormivo ancora.
Mi ha svegliato, lei, la gatta. Pianissimo.
Salita sul letto in punta di leggerezza.
Nemmeno schiaccia il piumone a volte quando cammina e ti vuole stupire. Mi è salita sul cuscino, a volte mi si fa corona sulla testa, mentre leggo o penso al mattino, quasi volesse tenere caldi contro l suo ventre i miei pensieri.
Ha sfregato pianissimo il muso nei miei capelli grigi, spettinandomi. E’ il suo modo di baciarmi.
Poi, al mio brontolio di uscita dal mio dormire, con un piccolissimo miagolio dal fondo della gola, quasi una piccolissima risata felice e soddisfatta di quella mia attenzione, si è accovacciata.
Di fianco a me. Distesa sul piumone. Le zampe completamente rilassate, stese, facendosi lunga lunga. Si è stirata e ha cominciato a fare le fusa da sola e a dormire.

Non so se sia la "mia" gatta. Perché non vive con me per settimane intere e nemmeno dipende solo da me nemmeno per il mangiare. Solo perché non vive nella mia casa non credo sia sufficiente condizione perché io non possa comunque chiamarla "mia".
Io so che torna. Quasi ogni settimana, quando vado al mio mare.
Che tiene il muso quando alla domenica notte la faccio uscire di casa a forza e vado via, e lei volta la schiena offesa. Ma il venerdì o il sabato dopo è ancora lì. In attesa.
Non so nemmeno se posso definirla nella sua indipendenza felina, "mia". Ma quando gioca, con la mia mano che gioca con lei, è così bella, piccola e felice.
Non si difende e non si sazia mai.
Che nella settimana, poi quando sono lontano, guardo i piccoli segni rimasti dopo i nostri giochi sulle mie mani, con tenerezza e nostalgia. Di denti e unghie, infissi per pura animale eccitazione del nostro gioco, sulla mano.
Quella con cui l’ho fatta tornare libera di essere cucciolo di gatta. E tornerà ad esserlo la settimana dopo ancora.
Una volta ancora. In quel momento, veramente mia.