Il mio amico giardiniere
 

 




E ieri sera sono andato al cinema.
Che poi non è una cosa così straordinaria, adoro il cinema che non riesco a non considerare letteratura. A volte la sensazione che provo è proprio questa.
Ho letto un film, insomma.

Ci fu un periodo, sono passati pochissimi anni in cui in due soli giorni vidi tre film che sentii dentro di me come tagli affilati. Erano tre film che riunii in una scatola sola, che etichettai con la parola “generazione”.
Nel primo, Lost in Translation, Bill Murray ero io.
Nel secondo, Big Fish, Albert Finney ero io.
Nel terzo ero Remy Girard. E il titolo era Le Invasioni Barbariche.
Alla fine dei tre film, accumulati dentro senza scelta preordinata, stavo male. La cosa che ricordo sorridendo è la cassiera, li vidi tutti e tre nella stessa sala. O meglio multisala.
E alla terza volta l’avrei invitata a cena.
Avevo appena o quasi cominciato a scrivere di eros e a pubblicare.
E le storie di tre uomini e del loro gestire un futuro che aveva sapore di passato, e l’interpretazione della loro vita, le passioni, e quell’attenzione quasi spasmodica alla lettura dentro delle proprie emozioni che ingenerava in me, mi dettero un desiderio fortissimo di scrivere.
Fu lì, che, al di là dei meriti che non credo davvero avere, mi sentii la prima volta, veramente, in modo doloroso quasi, “scrittore”. E che capii perché non avevo scritto prima.
E che avrei scritto sino alla mia fine.

Ieri sera ho letto una storia di amicizia.
E una storia di amore.
Più storie d’amore. Mi correggo.
Poi ho letto una storia di dolore senza che il dolore facesse male. E di come si possano avere occhi persino per le ragioni di vite che non siano la propria se le si guarda con pudore e amore.
Il titolo del film.
Il Mio Amico Giardiniere.
Ho letto come sento l’amicizia quando sento l’amicizia. E nella commozione sulla crudeltà dell’età, del protagonista pittore e dell’allieva amante, coetanea della figlia, e nell’amore dello stesso per la moglie, interminabile e insopprimibile pur nella vita di separazione, ci ho lasciato affogare la testa e il cuore.
Oggi guardavo le recensioni. Le guardo sempre dopo. E come sempre quando io amo qualche cosa nessuna recensione da ragione a quella letta solo un secondo prima.
Poi ho trovato le parole di una che si firma, con una ipsilon non necessaria nel suo nick Valentyna11. E poi quell’undici mi sono pure chiesto cosa volesse dire.
“Questo film ha parlato al mio cuore, raccontando la storia di due uomini perbene che si ritrovano dopo aver vissuto vite assai diverse.
E' una favola per adulti, dolce e malinconica, che mi ha commossa e che mi ha ricordato l'importanza di non sprecare la vita, a cominciare dalle piccole cose quotidiane.
Perfetti Daniel Auteil e Jean Pierre Darroussin.”
Ecco, nel film l’amico semplice per gioco ribattezza l’amico pittore, chiamandolo Signor Del Quadro. E il pittore ribattezza l’amico giardiniere Signor Del Prato.
Avrei voluto conoscerli e che mi chiamassero Signor Del Libro.
L’avrei voluto davvero.