Il pugno e il muro



 

  Oggi avevo voglia di prendere a pugni il muro.
Non il muro, ma qualsiasi muro.
Avevo mille ingredienti a bollirmi dentro, rabbia, frustrazione, dolore, desiderio, follia. E ne ero certo.
Che al di là del dolore della mia mano contro la pietra, a cui mi sentivo indifferente, avrei rotto il muro.
Non il muro, ma qualsiasi muro.
Avevo già serrato il pugno, come quando si carica un’arma e la si guarda prima di usarla.
Contro il muro.
Non il muro, ma qualsiasi muro.

Stretto le dita, trovando compiacimento e piacere nel sentirle diventare dura, così serrandone tra di loro le sue parti. Nel pugno le dita diventano una sola. Solidificano, si fondono, si fanno pietra, venata di nocche, vene in rilievo come scolpite nel sasso dall’acqua e dalla vita. Le senti forti, unite e pronte a rompere il muro.
Non il muro, ma qualsiasi muro.
Poi le ho socchiuse un poco.
Come si fa con l’arma se togli il colpo dalla canna, dopo aver verificato che il carrello la carichi e il colpo arrivi al posto suo, pronto per l’uso. Ho scaricato il pugno, ma solo un poco, in attesa di richiuderlo e batterlo con forza e dolore a sfondare il muro.
Non il muro, ma qualsiasi muro.
Ma.

Nel disserrare le mie dita, tra di loro, solo ancora parzialmente chiuse, ho visto il sole.
E non il muro.
Non il muro, ma nessun muro.
E ho sorriso.
Della forza della mano.
Della forza di sapere disserrare le dita scaricandola così da rabbia, frustrazione, dolore, desiderio e follia.
E ho sorriso. Ho ringraziato il sole, e sciolto le dita che cominciavano a dolere per la tensione.
E ho caricato con il sole il viso.