Il rumore del silenzio

 
 
 
Cade con tonfo di sasso nell’acqua.
Il tonfo, i cerchi a rinnovare la memoria del rumore, onde visibili e sonore, e poi il silenzio man mano che i cerchi si allargano e si allontanano fino a sfumare.
Lasciando il vuoto di rumore, cavità, vuoto d’aria, creata per sottrazione.
L’assenza della voce lascia un’orma nella neve dei pensieri e si calca fino a farla acqua sotto il piede. Orme in fila a segnare il tempo.
Le orme non le conti se non camminandoci un’altra volta dentro, a ricalcarle e sbavarne irrimediabilmente orli e confini. Contale. Mentre le ripercorri.
L’uomo nella stanza guarda gli oggetti che gli sono familiari e ne percorre sagome e profili, e ne riconosce persino il calore e la sensazione nella mano, lasciata come un’impronta, per tutte le volte che ne ha fatto uso.
Gli oggetti lasciano un’impronta come la lasciano i suoni.
I suoni lasciano impronte che vedi solo quando il silenzio avvolge. Sono impronte lasciate per sottrazione.
Del suono allora hai la perfetta percezione.
L’uomo interroga il silenzio intorno e la luce della lampada, gialla e tagliente, un cono scivoloso, nella stanza in penombra sembra il lampo di fari, accesi in un parcheggio deserto ore dopo l’imbrunire.
Il lampo degli occhi a farsi fari avvicinandosi fino a sfuocare.
Lampadine accese a farsi, vicine, solo luce.

La luce della lampada nella porzione illuminata della stanza scivola e colora, accende gli oggetti come se fossero visi.
E altre impronte ritrovano vita negli occhi e nella mente.
Impronte e occhi, cercati al loro scansarsi, visi.
L’uomo ha le labbra secche ora e le carezza con la lingua a cercarne probabilmente per riflesso e non per scelta ombre di sapori.
Rumore di aria forzata a pompare nella stanza, un piccolo crampo di tensione allo stomaco, forse è soltanto fame. O il ricordo e l’eco di un tremore e di un nodo serrato tra lo stomaco e i polmoni, nodo scorsoio dell'emozione.
Cade una busta con gli occhiali, l’uomo si china e la raccoglie e mentre è chino sente un rumore.
Volta lo sguardo e vede entrare contro luce il sole.
Mattina di un inverno all’angolo di un anno.
Sole che rompe l’inverno.
Quasi abbagliante nonostante la stagione.
La luce gialla della lampada puntata sopra i fogli svanisce nel chiarore.

L’uomo si sveglia, torce la schiena e lava il sogno con lo scrocchio silenzioso della schiena e delle giunture.
Ravvia i capelli con le dita, quasi si pettinasse per un appuntamento e accende il monitor.
Lo schermo si illumina e si fa alba.
Prima l’azzurro e dopo il bianco e ancora poi il chiarore di una pagina che aspetta le impronte delle sue parole.
A seminare impronte dopo impronte. A farsi sentiero e suono di parole.
Aspettando, il rumore del sole.