Il sonno lava le dita (canzone dei piccoli misteri)

 

 

 

Ecco, lo sapevo.
Ho dormito.
Della mia primavera sono riuscito ancora a farmi meravigliosamente ghiro, talpa, orso. Serpe felice.
E ora, sigaretta accesa tra le dita che di lasciare il giallocamelnicotina non ne vogliono sapere, scrivo.
Con un tramonto sopra il mare che sa di nicotina alla tastiera. E che ha il sapore buono dei saluti e dei commiati nelle dita. Che quando parti, riparti o resti fermo, a guardare un treno pure uscire dalla stazione, è uno di quegli attimi, di quei minuti che io chiamo primordiali. Che hanno un sapore da catalogo.
Un’unica inconfondibile tonalità di colore, al di là della specifica, ennesima situazione.
Che se fossero colori avrebbero un numero unico, come un Pantone per poterli riprendere e ridisegnare.
Con aria che odora, perché il vero mistero di ogni svolta di stagione nella vita non è nelle parole, nei colori, nei sapori, è negli odori. Odore Pantone 16226. Odore di primavera ritrovata dentro di sé per avere in modo semplice sintonia con quella fuori.
Che usa mezzi subdoli, ma non meschini. Anzi, li definirei commoventi. Usa fiori, boccioli ancora senza spine, verdi accenni di vittoria sul gelo, misto di pollini che stuzzicano le narici.
Primi starnuti di una condanna vera che accompagna lei sì inesorabile e ineluttabile ogni mia primavera.
Col cielo che rende inoffensive e quasi gradevoli persino le nubi. Che le trasfigura. E ne fa giocattoli per impudici indecenti inguaribili sognatori.

Con questo, tutto questo e altro, io carico le dita.
La libertà di essere me stesso, e mi ricordo ora, il ricordo poi non è lontano, ma vicino, che a simbolo di questo correre senza barriere, io ascoltavo delle canzoni ieri.
Quelle e non altre, a punto di suscitare, prima stupore, poi piacere riscoperto condiviso, poi un’esclamazione quasi di saturazione in chi divideva a fianco mio il sedile. In auto e nella vita.
Georges Brassens e il suo mondo di piccole anarchiche ribellioni.
Un po’ datato, sospeso nel tempo come piace a me quando scrivo. Un mondo di infinite donne vissute tutte senza clamore e di cattivi che valgono un universo intero di intollerabili e banali e conformisti buoni.

Ecco.
Con un tramonto. Con aria che odora. Col cielo che trasfigura. Con l’anarchia di prendere e lasciare anche l’amore. E di assaporare stupito e grato alla vita ogni sapore. Scrivo.
Mi immagino attaccato alle mie dita e lascio che parlino loro.
Ancora.
I buoni proponimenti in fondo sono i migliori.
Se hai dormito e hai lavato i tuoi pensieri.
Russando un poco, scriverebbe Georges Brassens, amante dei piccoli segreti dell’amore e della vita che valgono assai più di quelli così enormi da non essere poi veri.
Accendo la musica. Scrivo.

 

PS: sì, quello nella foto è lui. Proprio lui, in persona, oggi come fosse ieri. Ma dire se i baffi lì fossero i suoi non lo saprei...