I mulini

 
     

 
 
 
L’uomo è anziano.
Più del padre che non ho più, se fosse vivo, l’uomo è del ’21, ha novant’anni ora. E’ nato lì e vive lì da sempre, dove il mare si fa montagna e pietra e grotte e fiumi che scompaiono e rinascono per capriccio di natura poco o molto lontano.
E’ nato lì, nella casa dei cinque mulini, un’unica corrente d’acqua a... governarli tutti, in fila come soldati, lungo la canalina. Nell’ultimo, nella macina, che con orgoglio racconta non avesse ingranaggio alcuno, era tutto perni e pali di legno, niente che uscisse da un’officina, sparì la moglie di suo padre, come lui la chiama. Tanti anni prima.
Non sua madre, la moglie di suo padre. E tu, fermo sulla stradina ti immagini una storia, di una prima o seconda moglie, all’uomo anziano un po’ estranea, non mamma, forse nemmeno matrigna alla fine.
L’uomo alla finestra dice che per lubrificare i pali scivolò tra le macine di pietra antica, scalpellate e fatte tonde con forza e pazienza cento anni prima. Dice che scivolò, con gli scarti dell’olio e del grasso del frantoio, dei mulini in fila il quinto, in linea. Lei cadde nell’ultimo, in quello della farina.
E colorò di sé e del suo sangue l’acqua calda nella canalina, prima che scendesse al mulino più sotto, sotto al ponte grande in pietra, in centro del paese, a quello del Marchese.
E tu, lì, sotto la finestra da cui l’uomo affabula su un filo di seta schegge di memorie, credi di vederla farsi rossa ora, l’acqua che corre, imperturbata, ancora.
E immagini le vesti lacerate e un solo, troncato a mezz’aria, grido di paura, che non fece a tempo nemmeno a trasformarsi in grido di dolore.
E l’acqua calda, subito dopo, sbiadendo, farsi ancora chiara.
Pura, purissima, quasi un miracolo.
“Vede? Sgorga da là, dove c’è adesso il gabbiotto in cemento dell’Enel”
“Sgorga da sempre, uguale, è calda estate e inverno, quando fa molto freddo fuma, vengono ancora a lavarci i cappotti e i tappeti a mano le donne, dove c’è quella vasca più larga, alla mattina”
E tu pensi che quell’acqua così pura e la canalina in cemento coi sassolini tondi di fiume sul fondo che la conduce a valle, quell’acqua così trasparente, chissà perché volevi già per istinto toccarla prima, immergerci la mano e non l’hai fatto. E ti domandi il perché. Forse perché ti mancava la storia di una magia.
Ora puoi farlo.
“Sono venuti e vengono dalle università, anche dalla Francia – ti dice stupito, perché per lui alla sua età la Francia è ancora un pianeta lontano come lo era quando era ragazzino – vengono per capire da dove prenda il suo calore, e la sua purezza infinita, ma nessuno ancora lo sa dire”
E l’uomo che ha quasi un secolo ha dicendolola voce di un bambino.
Esce dalle grotte, pensi e glielo dici e gli dici di quando nelle grotte più su, al paese dove hai casa tu, persone che conoscevi, per evitare i tedeschi, si nascosero e le abitarono come mille e mille e mille anni fa e ancora di più fecero uomini primitivi.
E allora l’uomo dai capelli misteriosamente colmi, fitti e intatti e bianchi neve, dalla voce forte e sicura che solo nelle emozioni più intime, incrinandosi un pochino, le rivela, inizia parlare ancora.
Di un ufficiale tedesco dal cuore gentile.
D lui quando passò tre guardie occupanti armate di fucili usando solo la cortesia del saluto ed essendo quasi naturale ma senz’altro assai educato e gentile. Di una bicicletta che voleva ci fosse ma non c’era, di un vagone con quaranta prigionieri.
Di una moglie che è andata a messa “ma ora dovrebbe anche tornare”.
Di quando uscì dalla caserma da dietro perché davanti i tedeschi aspettavano i fuggiaschi coi fucili e il colonnello li lasciò scegliere se scappare o restare. Indicando a chi scappava anche la via sicura.
Storie che meritano un racconto nuovo, un altro ancora.
E lo troveranno, credo.
O di farsi accompagnare dal bicchiere di vino che l’uomo ti offre, mentre cala il buio e lui ti invita in casa.
“E’ ancora quello che faccio io, l’ultimo, niente di speciale, è nostralino, un tempo ne facevamo che potevi alimentarci una macina e un mulino” sorride e tu declini a malincuore l’invito, per l’ora, per educazione e voglia di non invadere, per lo sforzo che fai di evitare vino e calorie eccessive da settimane dopo la tua malattia.
Lo ringrazi, prometti di tornare, porteresti persino un registratore, ma non servirebbe perché quell’uomo racconta con magia e la magia, quando la ascolti poi rimane. Registrata in te, senza bisogno di nastri e batterie,.
Poi, sceso pochi metri, fai tre gradini.
Vai dove diceva lui di andare.
Arrivi alla canalina dove l’acqua corre da sempre alla stessa velocità, sufficiente per alimentare con la sua forza e le sua corsa ben cinque mulini e sotto, nel paese un altro ancora.
Cinque, l’ultimo è quello per la farina.
Che si tinse di rosso un giorno solo.
Metti la mano nell’acqua, dove la canalina si allarga un poco e sembra farsi vasca di acqua in fuga.
E’ limpida, pulita, sembra presa da un racconto di fantasia, non dal ciglio di una via di sassi, e racchiusa forzandola dentro una canalina. Vedi sul fondo i sassi fatti tondi e ovali e piccoli dalla pazienza dei secoli e dal bacio ininterrotto dell’acqua che li strofina. Come pietre di anelli cadute a chi lavava a mano hanno colori vari, forme, e dimensioni che trovano incastro perfetto sotto la spinte della corrente che li guida.
La mano sente l’acqua calda, è molto più calda dell’aria fuori e più a fondo metti la mano - rimbocchi la manica del giaccone, del maglione e della camicia ma ti bagni comunque un poco - più a fondo metti la mano più calda la ritrovi.
Al buio, le giornate si sono allungate ma viene buio presto ancora, ti incammini.
Ti volti, l’uomo ha chiuso la finestra al primo piano, da cui si sporgeva e raccontava. Si vede la luce accesa solo in quella stanza.
In paese incroci donne a piccoli gruppi, tutte di una certa età, alcune proprio anziane, che risalgono dalla chiesa.
Tra loro ci sarà la moglie dell’anziano narratore, le guardi, curioso, chiedendoti quale di loro sia.
La domenica sera ha odore di legna bruciata, faggio e ulivo, e di fine inverno, quasi di primavera.Mostra tutto