La canzone che non c'è
 

 

 




E a volte scopri che vorresti scrivere ma non sai da dove cominciare.
Strano, perché hai sempre avuto milioni di parole a spingere il treno dei pensieri. Però ci sono giorni che navighi in un limbo fatto di piccolissime cose. Che non riescono a distillarsi nella gabbia di semplici parole.
E come ogni limbo che si rispetti, ha una musica di fondo, ma così tenue, leggera e sottile che se volessi cantarla ad alta voce non ne troveresti e sapresti riprodurre le note. E’ una sinfonia, di voci, di strumenti, di pensieri, di emozioni che si accavallano. Si mutuano in ordine che sembra, mai sai non essere frattale.
Sono le note che qualcuno definì la tua malinconia e, nel definirla tale, conoscendola, ne sorrise. E tu sorridesti a tua volta. Perché sai che chi considera malinconia il non essere felice sbaglia.
Per cecità emozionale.
Le note che hai dentro hanno sapori differenti, toni che vanno dallo smorzarsi fino dove cessa di sentire l’orecchio e può ascoltare solo il cuore, al ritmico rullare di tamburi sincopati. Ci sono i fiati, aliti di sassofono che lacerano le note.
Ci sono archi che sembrano perdersi eppure sono così presenti nel sottofondo di quel rumore da esserne alla fine, nella modestia del loro volume, privo di ogni ostentazione, la traccia forse principale.
E navighi, ti fai cullare.
E’ come quello stato del dormiveglia in cui anche il sogno riesce ancora ad essere reale. Prima di evaporare nella logica razionale.
E allora non sai scrivere, non trovi la parola iniziale, quella che viene dopo, perché ad ogni accento di nota sulla tastiera nera che hai davanti la musica ha giocato uno scarto nuovo, ha tremolato, si è innalzata o ha sprofondato ovattandosi piena nel suono dell’ottone.
E sì.
Così succede, eppure avresti mille e mille cose. Tante da avere persino voglia di disegnare.
Fare ritratti, e pensi, mentre sei cosciente di questa tua emozione, come il miglior mondo dell’arte del secolo passato scomponesse proprio in chiave emozionale visi, paesaggi, geografie del pensiero e del cuore. E perché quei nudi asimmetrici, privi di concreta e anatomica perfezione che ricordi con amore in stanze di museo, libri, persino in cartoline acquistate per non avere francobollo o destinazione, perché quei nudi al tuo vedere fossero così sconvolgenti e veri, erotici e carichi di impennate di passione.
E allora, segui la musica che hai dentro.
Non ti domandi neppure cosa sia.
La segui perché di quella musica che senti solo tu, pur nelle ombre delle pause della malinconia, sei felice.
Perché esiste una terra di nessuno, lo sai, ne hai sempre avuto una netta e precisa percezione. Che fa di assonanze mozartiane un blues, poi quel ritornello che ti sovviene per errore, poi la melodia di una vecchissima canzone.
Cacofonie se fossero sentite dalle orecchie e non col cuore.
E allora ti accorgi forse di non avere nemmeno bisogno, oggi, delle tue parole.
Socchiudi gli occhi, Sali su quella musica senza tracciato di binari o necessità di una destinazione.
E inizi a viaggiare.