La folla di Natale alla stazione

 

 
(foto di Sebastian Salgado)

 

Dicono che a volte piova.
E che non necessariamente smetta poi a comando. Però a volte succede, succede davvero.
L’uomo scese dal treno, maledì per l’ennesima volta i gradini che l’obbligarono a ritrarre e chiudere la maniglia della borsone e a sollevarlo come una valigia normale da terra.
Cercò per piccola abitudine – ma quand’è che un’abitudine passa il confine e diventa una mania? – nella tasca chiavi, vari biglietti che inventariò solo col tatto delle dita, cellulare, sigarette. Accendino.
Poi cominciò a guardare, appena sceso dai gradini.
Anzi, per prima cosa accese una sigaretta e estrasse la maniglia ridando leggerezza al suo bagaglio.
Poi comincio a camminare scrutando oltre la folla. Come se avesse la possibilità di saltare oltre le due maree, quella che dalla fine del treno saliva e quella che scendeva. Pensò che dipingendo quel gioco di passi, scansarsi, quasi urtarsi, aprirsi stringersi e di nuovo allargarsi di corpi, immaginandoli dall’alto, sarebbe stato un quadro strano, forse persino bello e che, se addirittura fosse stato possibile animarlo, ancora migliore.
E cercò di scavalcare quel muro instabile quasi avesse il potere di trasformare il suo sguardo in arco, aggirare e sorvolare a seconda del caso e della necessità ogni ostacolo. A suo piacimento, uso e beneficio.
Perchè in fondo se devi sognare di avere super poteri, perchè non sceglierli meno usuali, meno banali, un po’ più inconsueti ?
Ecco il vedere “oltre” era proprio quello che avrebbe voluto, super potere fresco di giornata, lì nella stazione.

Non ci volle molto.
A raggiungere la fine dei binari, A vedere la sorgente di quelle onde e lo sbocco della foce. La densità lì trasformava in gorgo il flusso, lo scomponeva e avvolgeva in tracce di ricerche di percorso lo sciame di persone.
“ Ti aspetto vicino all’edicola”
E si. Ma l’edicola dov’è ? Taglio in mezzo o scivolo a sinistra?

Fuori dalla stazione cominciava a smettere di piovere, ma l’ uomo ancora non lo poteva sapere.
Perchè quando si cerca un viso nella folla in mezzo a tanta troppa gente, quando si perde il fuoco e si deve rieffettuare una, due volte.
Tre. La scansione.
E’ come perdersi ogni volta, scendere in acqua con la testa al mare.
Riemergere e ricominciare.

Essere li e vedere mentre all’altro lato dello sguardo lei ancora non ti vede.
Giocare ad essere invisibile un istante e ricercare il lineamento, lo sguardo, quel modo interrogativo di cercare. Il viso che tu guardi.
E ancora non ti vede.
Attendere il momento in cui gli occhi si trovano e desiderare di poter fermare immagine, secondo, singolo fotogramma prima di ogni parola.
Scomporlo, dilatarlo, berlo.
Di solito ci si incontra troppo in fretta e con troppa poca attenzione.

Poi quel momento viene.
E’ come un clic impercettibile, di cui però per paradosso giureresti di aver sentito il piccolo, fragile, improbabile eppure cosi inevitabilmente vero rumore.
I sorrisi non cambiano. Sono una delle poche cose che nella vita di una persona non possono cambiare.
Fuori in compenso era il cielo a diradare acqua e a rasserenare.
E a darsi quasi per scommessa, dopo la pioggia, nell’incertezza ancora un bel colore.
Perchè, non so per quale ragione, ma all’arrivo dei treni trovo sempre il sole.


Dedicata a L.
Dedicata a S. che ha lo stesso modo di guardare le persone. Che ha il sorriso del sole. Che è un piccolo sole.