La mano
 

 





Si chiude sulla mano. Avvolge i pensieri che hanno reso incerte e timorose le dita.
Foglio di carta, guanto, scheletro esterno, corazza.
Carezza di velluto.
Piccolo forno nelle giornate fredde, dove cuocere certezze. Per inebriarsi dopo dell’odore al disserrarsi delle dita.
Stringe poi si fa morbida, aderisce, carne su carne, pelle su pelle.
Sostiene.
Guida.
Conforta e accoglie.
Foglio di carta, cartoccio gentile di dita, rastrello, pettine che cerca un altro pettine per incrociare il simbolo pulsante e vivo dell’alternarsi di vuoti e pieni. Scudo.
La mano nella mano può dormire.
Può vivere e correre in punta di dita. Può stringersi, più stretta che di più è impossibile, perché tra mano e mano, e dentro la mano che sta chiusa nella mano, l’aria sia rarefatta, rara, sospesa come un respiro atteso. Sospeso.
Può carezzare il palmo il dorso, può stringere per trasferire forza ed energia. Blandire, cullare piccole canzoni, anche sgridare l’attimo che coglie, perso e attonito di quelle dita. Può allargare e stringere i suoi raggi di falangi e dita come pompasse sangue e si facesse cuore.
Può ridere felice nella freschezza prigioniera. Gabbia di dita prigioniere della mano che ì tra loro è protetta e custodita.
Vive così la mano.
Leggendo, in punta di dita, il linguaggio silenzioso delle emozioni della vita.