La storia di una donna, un uomo,un cappello, un autobus. E un calcio di
punizione.
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Ora sarai per strada. E immagino di esserci. Guardarti nel gioco che ognuno di noi due ha fatto anche ieri al momento di salutarci. Sono appena dietro, dietro di te, dietro quella coppia che cammina vicina e quel signore con il cappello troppo piccolo piantato male sulla testa. Ma non si accorge di come è buffo? Hai acceso una sigaretta. Preparata prima, mentre scendevi le scale. Fumi buttando indietro la testa, come fai se fumi e sei ferma mentre aspiri. Come fai mentre parli a chi ti sta davanti e ti guarda mentre fumi. Mentre parli. Ora ti volti. Ho appena fatto a tempo a voltarmi di scatto verso la vetrina del cartolaio. Se uno mi badasse si chiederebbe poi perchè la guardo. E cosa guardo. Quaderni un poco stinti dalla vita troppo lunga nella vetrina. Oggetti di cattivo gusto per adolescenti in crisi permanente, pupazzi, bustine, cuori di plastica pieni di aria, scatole di latta nate per non diventare mai antiche e belle. Penne da comunione o diploma di scuola media come si usava quando ero ragazzo io - solo la biro che la stilo costa troppo e si chiama parure allora come quella dei gioielli - e come si usa ancora nelle città di provincia. O nelle vecchie cartolerie sotto i portici del centro. Vedo senza guardare, quegli oggetti. Mi chiedo se tu mi abbia visto. Stavi spegnendo la tua sigaretta, ti sei voltata e nel farlo, a terra col piede velocemente per non perdere il passo, hai girato il busto. Portando il volto nella mia direzione. La donna dietro la vetrina ora mi guarda. Quasi preoccupata. Perché non capisce nemmeno lei che vive in quel negozio cosa io ci trovi di così interessante e bello forse. Sembra persino imbarazzata che io possa stare guardando lei e non la sua merce. Ti ho quasi persa adesso. E all’allungarsi della distanza in passi mi dico che correrei scansando le persone che ci separano. Fino a franarti, inatteso, addosso. Ora è come prima, ho navigato metri e gente tra di noi, ci separa poco spazio. La coppia non c’è più davanti, il cappello e il suo portatore, ignaro dell’effetto che fa sotto quel tappo marrone chiaro, c’è ancora invece e ha di fianco due donne che parlottano tra loro fittamente. Sembrano una barriera a tre prima di un calcio di punizione. Giuro che se gli cade il cappello io lo calcio. Fino a colpire con quello le tue caviglie e farti voltare, a vedere se è passato, strusciandoti, un cane o un gatto. Sei ferma all’autobus adesso e io ora che faccio? Attraverso la strada, c’è un banchetto che vende cinture, borse, borsini, portafogli. Dietro il banchetto due cinesi, che sono piccoli come da routine ma non abbastanza per non riuscire a schermarmi. Giochi con la scatola, le cartine e la busta del tabacco. Incerta se fumare ancora mentre attendi o confidare che l’autobus arrivi in fretta. Scommetti sull’autobus. E purtroppo vinci. Ora è lui a celarti alla mia vista. Bugiarda. O forse solo fortunata oggi. Ti sei seduta, hai trovato posto, non è vero che viaggi e viaggerai sempre in piedi. O forse oggi sei davvero fortunata, finalmente, e basta. Siedi al finestrino. Non me lo aspettavo. Guardi fuori e io ho lasciato la trincea dietro cui mangiavo ogni tuo gesto di nascosto per non svegliarti e scuoterti dai pensieri tuoi e dal tuo viaggio. Mi vedi. Hai il tempo di sorridermi, si accendono i tuoi occhi spalancandosi, c’è il tempo solo di quello e di accennare un gesto. L’autobus svolta l’angolo. Io resto lì. La mia mano appena sollevata, quasi con imbarazzo, in un accenno di risposta perché mi hai scoperto. Non si agita e non si muove, resta un secondo sospesa lì a metà corsa. Sei oltre l’angolo adesso, la mano torna a nascondersi nel caldo della tasca. Torna lì al caldo. E tornerai tu, dopo, col buio della sera a cercare un po’ di luce a casa e un po’ di caldo. Aspetto ancora un attimo. Sorrido e penso alla giornata a cui vai incontro. So che sarà bella. Sorrido per questo. Sorrido per questo. Sorrido per questo. Cammino sotto i portici finchè mi perdo. |