La testa e la mano
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Ci tornerò.
Ancora e ancora. La testa e la mano, sono il benvenuto a casa quando arrivo.
E la città avrà colore di pane, di gusci d’ostrica nudi e lucidi di mare.
Di telerie africane odorose in piccole botteghe al Marais.
Di donne dai fianchi prosperosi stretti in gonne che esaltano ogni passo
sull’acciottolato lucido di pioggia. Tornare dove non vivi e sentirti lì
comunque a casa, che lì a casa mi sono sentito la prima volta, ero un ragazzo,
che ci sbarcai, con una giacca di velluto liso.
Incapace di proteggermi dal freddo di una notte ignota. Eppure fascinosa come
una donna compiacente all’essere violata.
E avrò passi persi.
Pensieri aggrappati, ai lampioni liberty verdi, come ubriachi.
Colori di pietre remote, seriosità di case in arenaria col vezzo di finestre che
strizzano l’occhio vestite di pizzi antichi.
E cercherò la panettiera, la fornaia, i volti sconosciuti che ritrovi e
riconosci come se fossero tuoi e non solo l’ombra depositata ad aderire ai tuoi
pensieri un anno prima. Carezzerò gli odori e, fumando alla finestra piccola con
le ante bianche incrostate che di star chiuse non ne vogliono sapere, guarderò
chiudere il piccolo ristorante sotto a notte fonda. E poi spostare sacchi nella
microscopica via da mani di fantasmi netturbini, bui e resi sagome silenziose,
nel fruscio dei sacchi, dalle poche luci.
Due giorni ancora.
Poi tornerò, dove mi riserverei un’intera vita.