Non era di Berlino
 

 

 




Non era di Berlino.
Nella città, dove le gocce giocavano a trasformarsi in prima neve, perché proprio lei?
Davanti all’hangar a Templehof, dove la città si fa memoria di cemento aereo, la giacca a vento chiusa, marroncina, e l’onda dei capelli biondi e gli occhi. Parli con lei. Ne hai voglia. Ti piace la dolcezza del suo corpo, quasi ancora da ragazza, eppure morbido di donna, e quello sguardo che ha una dolcezza liquida e infinita. Il taglio delle labbra, perfetto nel disegno e un poco chiaro per il freddo, senza rossetto, pelle fragile che desideri proteggere con le tue, tagliata da un sorriso.
Ha occhi vivi, intelligenti, morbidi mentre ti parla e allo stesso tempo inquieti di voglia di vita.
Del suo accento quando ti parla in italiano, ti eri posto mille domande prima.
“No, sono francese, bretone”
All’angolo oltre la scalinata due uomini, immagini di fondo, due impiegati dell’hangar, capelli corti e chiari, cappotti scuri, nella giornata grigia, sembrano farti precipitare guardandoli in un’altra era. Quando vedere cappotti scuri era sinonimo di tremiti e sudore, anche nel gelo, per la paura.
“Vivo a Berlino da meno di due anni e ci vivo felice e bene”
E tu, che ami il suo paese, quello da cui lei viene, e glielo dici, e lei che sorride ai tuoi occhi felici mentre glielo racconti, e tu che dimentichi all’istante la città in cui sei immerso, i viali larghi come solo le bombe li possono lasciare, se la ricostruzione vuole aria e vuole catturare ogni raro raggio di sole, quasi a cancellare i neri di un passato. Nero.
Perros-Guirec, Cancale, poi Saint Malo. Un tappeto di nomi che stendi per lei e che riflettono nei tuoi i suoi sorrisi.
Si accende il viso, a lei, e lei sembra quasi più bella e luminosa, a quei nomi, anche se lei nega qualsiasi nostalgia.
Ha un buon odore, leggero, fresco, odora di pulito, mentre sei lì e le sei vicino.
Sembra per un attimo di essere altrove, che lei sia appena uscita dalla sua facoltà e che vi siate trovati lì, in attesa di raggiungere il caldo della stufa e il fumo carico di odori di cucina di una brasserie vicina.
Le mani di lei hanno dita chiare, affusolate, unghie pallide, dita sottili quasi bianche per la temperatura impietosa.
Parlando vi siete accostati al muro, in cerca di calore, fuori dalla corrente d’aria che raggela il piazzale e la scalinata. Nemmeno da dove siete ora si vedono più i due uomini biondi coi cappotti neri.
Nell’aeroporto vecchio, chiuso nella città infinita, non è in realtà necessario aereo alcuno per volare.
Via.