Il Ragno e la Fine dell'Amore     
 

L'uomo delle parole siede alla finestra.
Anzi siccome non ci sono sedie e la finestra in realtà è un loggione, balcone aperto sulla strada, l'uomo è in piedi.
E guarda, come fa quando ha bisogno di pensare, il fiume di persone.
Fiume d'estate che non ha più la forza di torrente, un po' prosciugato dai primi esodi estivi. Con corsa rallentata di immagini persone e voci.
Il caldo e la voglia di fuga di chi resta rendono rarefatti i passi e le voci.
La rarefazione di moto e di rumore rallenta e fa più lucido il pensiero.
Dell'uomo sulla sedia che non c'è di fronte a una finestra immaginata.

Come si uccide un ragno.
O i ragni.

Non è questo il pensiero dell'uomo. Perché gli son venuti in mente i ragni?
Qual è l'associazione di pensiero, il canale sotterraneo, l'acqua segreta che ha portato a immaginare zampe al posto di pensieri, …
Come finisce l'animale che l'uomo per semplicità di ordine e logica zoologica definisce, chiamandolo con nome di specie e non specifico semplicemente ein modo riduttivo a volte amore.

Ecco.
Forse l'associazione recondita ha portato fuori dalla tana il ragno.
Che ha zampe a sufficienza per stupire.
Per avere un moto sorvolante quasi inconvenzionale.
Che ha tessuti da svolgere riavvolgere e avviluppare.
Che ha strategie concentriche, diagonali e parallele.
Una rete di cui capisci forse… o magari anche solo intuisci, allontanandotene un pochino, con animo di studioso e non di mosca le logiche, le matematiche e anche la perfetta ricerca di equilibrio, insita il ogni apparente errore della trama e dell'ordito.

Sì il ragno che definiremo in maniera riduttiva, scegliendo un nome popolare, uno per la specie intera.

Come finisce la vita del ragno allora.
Dei ragni e delle loro geometrie, bozzoli e crisalidi di seta avvolti e stretti ad aderire.

L'uomo alla finestra che non c'e' in quanto tale, con la sedia che sono solo i suoi pensieri e le sue parole. Analizza, investigatore della sua zoologia.
Intima e personale.

Definirebbe fine del ragno il pensiero che del ragno cessi la nostalgia.
Non il ricordo, ma quella tensione che lo integrava e ne faceva divenire e non fotografia.

Definirebbe fine dello strano animaletto con troppe zampe per avere logiche nemmeno da insetto, quando delle geometrie e delle parole all'uomo più nemmeno importa che lei le senta o anche le immagini espresse.

Definirebbe dell'aracnide chiamato sentimento il senso vuoto. Poter guardare tutto come se l'aracnide, perfetto, ogni zampina allineata sul sughero, puntato al centro da uno spillo che non ne svuoti attraversandolo il corpo tondo e gonfio, fosse solo oggetto di biopsia.
O un pezzo nuovo nella collezione che l'uomo faceva da ragazzo, curioso eun po' crudele di varie specie di animali.

L'uomo guarda il ragno.

Senza emozione.

Resta nell'uomo lo stupore per la perfezione.
Per la raffinatezza della tela.
Per i piccoli veleni che hanno punto e suscitato col prurito l'attenzione.
Per il movimento di danza sulla rete, acrobazie a pie leggero e fughe.
Per le parole tante con cui l'uomo quando non era alla finestra e ne scriveva, a mente, dopo l'osservazione, sensazioni ricordi o immagine riflessa nei suoi pensieri, e che adesso legge come fossero un trattato di scienza naturale.
Le aveva scritte penando fossero un romanzo popolare con sentimenti marcati e universali, a gestire oltre al suo anche l'altrui incanto e stupore.

La sensazione della morte del ragno che chiamiamo per convenzione un po' limitativa sempre amore.

Visione retroattiva senza emozione di attimi che hanno avuto pressione atmosferica sconvolgente alla tua immersione.

Totale estraneità del desiderio di trovare o far trovare comprensione. Nemmeno voglia che qualcuno legga le parole.

Piacere di guardare svilupparsi nuove forme di geometria.

Rileggere i trattati da lui scritti solo poco prima sulla specifica materia, sotto forma di note, appunti, comunicazioni di servizio, scambio di opinione, vedendo in essi solo quel che sono in fondo
. Tentativi di raffigurazione. Non coglierne nemmeno più l'emozione delle scoperte precedenti e della sua stessa narrazione.

Senso di noia e fastidio per l'odore del narcotico. La disarmante considerazione che il piccolo animaletto a zampe secche e ferme, ora, non abbia più nulla del fascino che aveva quando aveva moto e aspetti solo un'etichetta per finire in una teca.

Quando muore un ragno che per convenzione l'uomo chiama amore.
L'uomo ripone la scatola di spilli con la capocchia tonda e colorata.
Succhia il dito dove si è punto, ad assaporare lo svanire del dolore e della puntura. Cicatrice tonda che pulsa e fa piacere sentire pulsare perché il pulsare è senso di sangue che non esce più e cicatrizzazione.
Apre l'armadio dove serba insetti e piccole collezioni di animali fermi e senza più moto.
Poi lo richiede con l'emozione di chiude un'anta in legno chiaro.
La sensazione di distacco anche nel rileggere la presente trattazione.
L'automatismo totale e senza coinvolgimento, nel richiudere l'antina, con dentro il pezzo nuovo della collezione, al buio di un armadio chiuso con odore vago di entomologica disinfezione.

Torna alla finestra che è porta e non finestra, alla sedia di lettera e parole.
Guarda il fiume che non ha più ritmo di torrente e le persone sotto.
E guarda, come fa quando ha bisogno di pensare, il fiume di persone.
Fiume d'estate che non ha più la forza di torrente, un po' prosciugato dai primi esodi estivi.
Con corsa rallentata di immagini persone e voci.
Il caldo e la voglia di fuga di chi resta rendono rarefatti i passi e le voci.
La rarefazione di moto e di rumore rallenta e fa più lucido il pensiero.
Dell'uomo sulla sedia che non c'è di fronte a una finestra immaginata.
La morte del ragno.
La fine riconosciuta senza nè stupore né emozione di un piccolo esemplare della specie chiamata amore.

Se serve una parole, adesso, a concludere la storia strana, la parole è senz'altro "fine".
Senza titoli di coda o nessuna bella e nostalgica o semplice esigenza di routine di commuovente canzone.

(Si ringrazia per la collaborazione, in ordine di apparizione:
la città di Milano, i conducenti Atm, un bar e i suoi panini, il Devoto Oli sul comodino, le tela di ragno che lega chi legge al tessitore, ogni narcotico naturale o nuova specie animale che abbia aiutato il narratore ad avere lucidità, finalmente di dissezione, e ultimo, ma solo nell'enunciazione e nel fortuito corso delle elencazioni, il distributore, economico e casuale, di parole.)


Dedicato, per consuetudine di dedica e non per esigenza odierna di scrittore.