Il Re delle Lucertole

 

Il Re Lucertola.
Il Re Lucertolaio.
Catturate e chiuse nella bottiglia vuota della birra. Dimenticate al sole in crudeltà di bambino, crudeltà senza crudeltà, incoscienza.
Oppure prese le code, dopo che il sottile laccio di filo d'erba (citerai Whitman solo perché ne hai onda in testa adesso mentre scrivi?) ha serrato il piccolo collo verde bottiglia, fatto increspare le scaglie e gonfiare di rughe il collo, e le zampe si agitano nel vuoto, il filo scalcia, le code arricciano un punto di domanda inquieto.
Toccale. Si staccano.
E continuano a disegnare punti di domanda al suolo. Vive, ma senza testa né pensiero rettile ad animarle se non l'elettrica della piccola morte.
Code epilettiche senza sangue.
Poi uno scatto, due, sempre più frenetici e improvvisi.
Immobilità di moto.
E se le tocchi ancora corrente e fremito.
Chiuse in bottiglia, corpi senza coda spesso, a sondare con le unghie il vetro. Scivolo di ansia.
Aggrapparsi vano e tonfo mutoSalita appena appena in punta di zampa, panico di bordo liscio, che si trasforma, all'occhio ingenuamente crudele del bambino che si immagina scienziato mentre guarda, in danza rituale, nella danza sembrano festeggiare la prigione.
Salgono, allungano la molla di uno scheletro antico poi cadono.
Le lasci lì per giorni.
Fila di bottiglie sotto il muro di pietra.
Triste se ne trovi morte a privarti del gioco.
Le vedi stringersi e serrarsi vuote sulle minuscole ossa, disegnarsi al tratto, svuotate di ogni carne.

Porta, il ragazzo, mosche. Catturate dietro una tenda della sala. O con il lancio delll'elastico contro il vetro.
Nutre le prigioniere con la cura e con l'amore del Re delle Lucertole.
Una mosca. Due. Formiche se la giornata è magra.
Le mette a due per bottiglia, le piccole lucertole, azzardando siano una coppia, o anche due anici vicini di crepa nel muro, avolte e guarda. La vita sotto vetro, il microscopio che sotto il sole si scalda, le scalda e le cuoce quasi.
A casa poi ne tenta goffi disegni o scrive di acrobazie e danze su quaderni gialli.
King of the Lizards.
A guardarle attorcigliarsi tra di loro, in cattività diventano aggressive, cattive, si attaccano tra loro come se dalla morte dell'una dipendesse poi la vita dell'altra. Ingrigiscono.
Perdono ogni tono di verde.
Prima di morire.
Il muro attende allora il Lucertolaio ancora.
Che a sua volta paziente attende la prima giornata di sole, per cercarne le teste nelle crepe del muro. Occhi piccoli e paurosi nela curiosità escono dal sasso.
Il laccio.
La bottiglia.
Che rigorosamente non tappa per non privarsi, alle sue lucertole non vuole male, il bimbo Re e il suo piccolo popolo verde, di un giorno in più di gioco.
Il ragazzo viene chiamato per l'ora di cena. Lascia il giardino e si avvia verso lo scalone che dal parco posta al primo piano della villa.
Sulla scala di marmo si gratta un braccio dove ha una crosta per la caduta dalla bicicletta, e, sotto, la ferita che batte e pulsa, quando non è finalmente più dolore e sangue e necessità di cerotto,perennemente sporco e scollato, ma solo quella delizia del piccolo male che bate pulsa e passa. Quando il dolore è via e la pulsazione è solo rinnovarsi della vita della pelle.
Come lui sa essere la ricrescita delle coda lì nelle bottiglie.
Gratta la crosta sul suo gomito con forza, prude, lì in piedi appena fuori dalla porta.
A terra cadono, staccandosi dal suo braccio, tutto gomito e tagli, copiose, triangolari, poco più grandi di una moneta da un centesimo, piccole scaglie verde grigio.
Il Re Lucertola nasconde la sua coda nei pantaloni corti sporchi, verdi d'erba, ed entra in casa.
Fuori nel sole, dentro il verde delle sue bottiglie le piccole lucertole continuano la danza.
Domani due di loro saranno morte e le altre avranno di mosche razione doppia.
Alla sera in TV un nuovo gruppo inglese canterà in un servizio speciale.
Il Re Lucertola coi Doors.
Ma il ragazzo troppo giovane a quell'ora starà dormendo nella sua enorme bottiglia.

 




E in coda cosa scrivo?
Mettere in , a omaggio e dedica per chi sa perché ho scritto, una canzone di Jim Morrison è fin troppo scontato.
La canzone è invece di Faber, eccheccazzo, mica roba da poco, e parla anche di lucertolai e lucertole.
Di Faber che in Sardegna fu lucertola in bottiglia.

Per voi Lucertole: formatto, prendo le mosche e scendo in giardino a vedere come state.
Un poco ancora di pazienza.

;-)

Lucertole.
Di quello che papà ci ha lasciato la parte migliore ti sei presa
la collina rosa con il sughero le vacche sorcine e il toro grande
e m'hai lasciato pietre, cisto e lucertole.
Ma tu ti sei tenuto il ruscello e la casa e tutto quello che c'era dentro
le pere butirre e l'orto coltivato e dopo sei mesi che me n'ero andato
sembrava un cimitero bombardato.
Te ne sei andato a vivere coi signori, facendoti comandare da tua moglie
e i soldi di papà li hai spesi tutti in dolciumi, medicine e giornali
che tuo figliolo a quattro anni aveva già gli occhiali.
Mia moglie vive da signora e mio figlio conosce più di mille parole
la tua munge da mattina a sera e le tue figlie sono sporche di terra
e di letame e andranno a spostarsi a qualche servo pastore.
E tu quando sei partito soldato piangevi come un bambinetto
e dai padri delle tue amanti t'ha salvato tuo fratello
e se il coraggio che ti è rimasto è sempre quello ce la vedremo in piazza
chi ha la testa dura e nel frattempo mettimi la faccia in culo.

(Zirichiltaggia.
Di chissu che babbu ci ha lacátu la meddu palti ti sei presa lu muntiggiu rúiu cu lu súaru li àcchi sulcini lu trau mannu e m'hai laccatu monti múccju e zirichèlti. Ma tu ti sei tentu lu riu e la casa e tuttu chissu che v'era 'ndrentu li piri butìrro e l'oltu cultiato e dapói di sei mesi che mi n'era 'ndatu parìa un campusantu bumbaldatu. Ti ni sei andatu a campà cun li signuri fènditi comandà da to mudderi e li soldi di babbu l'hai spesi tutti in cosi boni, midicini e giornali che to fiddòlu a cattr'anni aja jà l'ucchjali. Ma me muddèri campa da signora a me fiddòlu cunnosci più di milli paráuli la tòja è mugnedi di la manzàna a la sera e li toi fiddòli so brutti di tarra e di lozzu e andaràni a cuiuàssi a a calche ziràccu. Candu tu sei paltutu suldatu piagnii come unu stèddu e da li babbi di li toi amanti t'ha salvatu tu fratèddu e si lu curàggiu che t'è filmatu è sempre chiddu chill'èmu a vidi in piazza ca l'ha più tostu lu murro e pa lu stantu ponimi la faccia in culu.)

PS: l'unico dubbio sulla traduzione dal sardo è il titolo, se qualche madrelingua vuole, mi corregga, grazie)