Si entra da un tombino
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Si entra da un tombino.
Di notte, perché per esplorare le vie sotterranee occorre che anche fuori sia
buio.
Nessuna macchina è parcheggiata sopra, anche stavolta un poco di fortuna. Per
fortuna. Ecco il tombino, pesa ma scivola raschiando l’asfalto ed ora è
scostato, a lato, e lascia intravedere la piccola scala scivolosa.
Come il pensiero.
Gli occhi si abituano in fretta all’oscurità.
Le reni al freddo dopo il primo colpo di gelo.
Le mani trovano sicurezza sulle barre di ferro vecchio, ruggine e muschio. E
vanno dopo poco a posarsi dove un attimo prima a tentoni si aggrappavano i
piedi.
Sotto.
Si apre il dedalo di gallerie. Nascoste. Celate.
Groviglio di serpi in testa alla Medusa dei ricordi e dei pensieri. Portano là.
Ai luoghi magici.
Della memoria e di un universo sotterraneo e parallelo.
Che del mondo di sopra non ha che qualche parvenza e vive, pulsa, si dipana, si
srotola, si arresta con una vita tutta sua. I luoghi magici.
Che nella vita esistono. E sono luoghi, immagini, persone, attimi, sapori,
colori, odori.
Esiste di questa città sotterranea una mappa. Anzi ne esiste più di una.
Ma, per gioco di specchi nella stanza, cambia. Muta.
E dove fino a ieri avevi la tua Senna, oggi è un frontone di casa, nella notte,
la testa di un cinghiale che esce dal muro sopra un portone a Malastrana. Sì.
Ho luoghi magici, miei, molti di loro sono segreti.
Si muovono, si spostano, giocano ad una geografia senza regola alcuna. E’ la
loro magia trovare sempre nuove congiunzioni, nuovi percorsi nei sotterranei che
li uniscono tutti senza apparente ragione. O logica alcuna.
Da sotto puoi emergere, Sali la scala e trovi un bacio. Una piazza. Una foresta
che ti lasciato dentro l’umidità appiccicosa e quel senso di infinitesima paura.
Trovi un volto e subito dopo, un tombino dopo, al termine di una scala un tavolo
a cui sei seduto e mangi e ridi e ami una persona.
Ho molte volte provato.
A tracciare una via, una mappa che ne fosse districo definitivo. Impossibile.
E anche in questo è la magia dei miei luoghi.
A volte mi viene voglia di parlarne, di raccontarne, tutti mai, ma solo alcuni.
Scendo la scala allora.
Passo dopo passo mi abituo alla luce e inizio a seguire gallerie che saltano di
palo in frasca geografie e emozioni. Non sempre arrivo al tombino giusto sopra
la testa: si inizia a camminare sotto e non si sa se non per sommi capi quale
sia la via per arrivare al luogo che si vuole ritrovare.
A volte cerchi una spiaggia e esci in un museo.
A volte sei vestito poco perché stai cercando di sbucare al sole di un deserto
che hai amato ed esci, e geli, in un inverno vissuto da bambino quasi. E sei
sulla neve con un lontano perduto e mai più rivisto amore.
Un giorno lo farò davvero.
Fingerò che i cammini sotterranei della mia giungla sotterranea siano definitivi
come alveo di fiume. Cioè almeno quasi definitivi. E definiti.
E scriverò del viaggio.
Sotto e poi sopra, a ricomparire dove già ero, di nascosto, per non bucare spazi
temporali e alterare zero ritornando a vivere un attimo ancora lì, anni dopo.
Lavoro di cucito, traccia di imbastitura di sentieri che uniscono magie
differenti e lontane.
I luoghi magici.
I miei. Le loro gallerie infinite, trama mutabile. Irrispettosa.
Incongruente.
Forse per questo amata. E viva.