Terra e mare. L'abbraccio.
 

 

 




Lo tiene tra le dita.
A volte lo fa girare, appeso al piccolo anello d’argento, a volte lo tiene posato sul palmo della mano aperta, aspettandosi un guizzo improvviso. Poi tra pollice e indice e allora gli sembra persino abbia calore, sia vivo, caldo.
“ Ti avevo detto che somiglia a un pesciolino?” vorrebbe dirle.
“Un pesciolino dal colore d’ambra, piccolo”
“Come sai essere piccola, fragile, trasparente e sembrare liquida, e rinascere tu, lui è piccolo, sembra fragile, acqua ocra, contro la luce svela ciò che cela dentro. E vive nella mano adesso”
“Una scheggia antica come la vita. Se lo carezzo, lo strofino, sembra vivo”

Lo tiene in tasca.
E il piccolo anello là dove potrebbe esserci un amo di milioni di anni prima, è chiuso.
Sembra nato lì in fondo, resina portata sulla spiaggia a farsi pietra dopo aver solcato mille mari, quando era ancora viva, prima che l’uomo calpestasse qualsiasi suolo.
E il metallo che col tempo tornerà a scurire.
“Ti avevo detto che sembra plasmarsi da solo nel calore della mia mano e avere vita? Che sembra il corpo di una donna se lo scaldi e posi lì le dita?”
“L’argento è il ventre della terra”
“L’ambra il ventre segreto del mare”
“Mi sono fatto terra e tu ti sei fatta mare”

Gli sembra impossibile.
O per meglio dire gli sembra che tenendolo così nel pugno, il pesciolino d’ambra si agiti davvero. Ci ha visto un pesce come si vedono volti, persone, animali, guardando il cielo quando le nuvole hanno fantasia e voglia di giocare. E tu sei dietro un vetro, la condensa della stanza calda a colare e guardi fuori.
“Ti avevo detto che a toccarlo così ho l’impressione che si adatti alla concavità della mia mano e prenda la forma delle sue pieghe, avvolto?”
“Che sembra prenderne la forma, aderire al calco delle pieghe, e starci bene?”
“E che sento che se volessi potrei segnarlo, con le unghie quasi infiggere il mio nome, con le dita fletterlo come le reni tue. Potrei come ho segnato la tua pelle, di mille segni miei e far colmare al tempo stesso, per la simmetricità di ogni abbraccio, le sottili righe che mi disegnano le dita del suo calore lasciando che consegni e imprima alla pelle della mano la sua forma.”

Sa, l’uomo che cerca volti nelle nubi, il perché si donano le cose. Lo sa perché è per lo stesso incanto che ama fare doni.
Sa perché lei l’ha posato nel suo palmo e perché in quel momento era lui ad essere fragile quasi per incanto.
Perché svegliandosi al mattino, dopo e ancora dopo, e ancora dopo, si possano trovare.
Lì, dove erano il giorno prima.
Dove saranno il giorno dopo, a sillabare parole mute come è muto un abbraccio.
Perché dal sogno esca il ricordo e sia di carne e vivo. Quasi pronto e rivivere lì, nel palmo della mano, perso come era persa lei, con lui. Piccola e viva come il piccolo pesce di ambra che gli vive dentro.
“Ti avevo detto molte cose, ma forse non ti avevo detto che…”
E l’uomo serra la mano perché sia più accogliente e il piccolo pesce di resina marina non si perda.
Vuole sentirlo e così lo avvolge.
Con lei nella mano sente caldo, come sa che anche lei lo sente.
“Ti avevo detto che…”
Ad occhi chiusi.
La sente stretta, ad aderire corpo su corpo ancora, come l’ambra al palmo.