Traversine

 

 




Si erano lasciati a metà parole.
Cosa che era successa spesso a loro. Ma forse era diverso ora.
Il ferro dei binari sotto le ruote sentiva i giunti, piccoli salti di frequenza nella ripetizione di un rumore e di un’emozione.
- Scrivi con me ancora, per ritrovarci in nuove parole –
Già.
Ma come ?
Quando nemmeno le vecchie sono finite? E attendono ancora.
Angelo sapeva che aveva bisogno che Marianna sapesse farsi nuova. Era anche stanco di cercare Marianna in altri corpi e altre persone. E di rifuggire di finire di scrivere la storia, la loro.

Marianna.
Che scivolava da persona a personaggio se ne scriveva ora. Perdeva volto, voce, vita reale ed era così difficile scrivere di lei allora. Marianna che dormiva da mesi altrove.
A cui associava il retrogusto della scorza di cedro o di limone, unendo al dolce quel gusto persistente e un po’ oleoso, amaro ma senza dare dispiacere al palato.
Malinconia di fine estate la maturazione degli agrumi.
- Scrivi con me ancora, per ritrovarci in nuove parole –
Sarebbero le vecchie non le nuove.
Quelle che chiudono capitoli mai chiusi. Sarebbero loro trasmigrate, inevitabilmente quelle. Quelle non dette.
Anche quelle non vissute.
- Scrivi con me ancora, per ritrovarci in nuove parole –

E Angelo pensò a Marianna che probabilmente nel letto ora dormiva. O forse fingeva di dormire.
Che forse avrebbe scoperto ancora una volta lo scivolo invisibile dal pensiero al sonno.
Sapeva che in quel sonno i sogni di Marianna sarebbero stati così remoti e fondi da lasciare forse solo un retrogusto, senza memoria fine, al mattino il giorno dopo.
Scorza di cedro o di antico limone.
Amara. Ma non abbastanza da impedire di aprire le finestre al sole.
E cominciare, ricominciare, ancora e ancora a scrivere, dalla virgola che non aveva avuto cuore allora di finire.

Angelo prese sonno quella notte quando smise di sentire il suono di quei salti delle traversine.