Trittico di Girona

 

 

Passi di pietra

Ti perdi facilmente.
E a volte ti ritrovi sulle orme dei tuoi passi precedenti, nelle piccole vie, inerpicate intorno alla Cattedrale. Poi sosti nell’ora dalle ombre lunghe e scure seduto sul muretto che corre lungo il chiostro.
E’ asimmetrico come la vita, eppure ha una precisa armonia, la fontana in uno dei quattro angoli e la doppia fila di colonne esili che fanno quasi da schermo tra il giardino quadrato, diviso in spicchi di erba rasa e il chiostro. Dove cammini su pietre tombali consunte di mistero antico. E intrinseca, notturna magia.
Abbarbicata come una quercia dalle radici antiche, sembra attingere vita al fiume che corre lento e ampio da sempre, la città vecchia.
Ombre scorrono nelle salite lungo le mura, o ne scendono, con quel suono di passo sulla pietra che sembra farsi solido, tangibile, presente come la stessa pietra antica.
Angoli nascosti che meriterebbero un bacio.
Rubato, schiacciandola contro la pietra nuda. Nessuna ombra al suolo, proiettata dagli amanti stretti intorno al nodo delle lingue affondate in gola, dove la notte ha odore di pietra e antica vita.



Piccole luci

Non è Barcellona la grande, la gloriosa, l’esagerata.
Non le ramblas piene di turisti in perenne ricerca di una sosta e un’emozione della città iperbolica che Gaudì ha solo interpretato.
Girona scivola la sua rambla a pochi passi dal suo fiume, ne segue con le case modellate lungo le rive il seno morbido di acqua che si dipana. Il fiume, le case fuse come se fossero un serpente antico e poi la via, la rambla morbida, di ombrelloni colorati, seggiole di varia foggia, voci catalane calde come lo zucchero caramellato sulla sua crema.
La rambla è illuminata, ma con discrezione, sembra persino calda la luce di ogni lampadina e tutto scorre mentre cammini senza strappo alcuno o interruzione.
Famiglie di Girona o dei paesi vicini venute per la fiera agricola, parlano fitte e si intrecciano le mille voci. Occhi di donna scuri che nello scambio reciproco di curiosità incroci.
Occhi morbidi, pastosi, con una fiamma celata come legno e brace.
Siedi con lei, illuminata dalla luce, e con gli amici, il te, il caffè che odora e sembra impregnare la via. Di fronte vendono torroni e dolci catalani.
Poco più sotto vini.
Chiude la fiera di paese, senti che è paese la città ed è come se il tempo non esistesse lì, nella morbida duttilità serena e calda delle tue emozioni.

 


Occhi e voce

La ragazza non è comunque in distonia.
Nella città di pietra, lungo la rambla.
Ti serve il caffè.
La guardi scivolare come se avesse la capacità di muoversi sull’acqua e invece è solo il suo procedere lì, fuori dal bar, tra i tavolini. Ha vita stretta e fianchi antichi.
Capelli corti, rossi.
Un piccolo anello di metallo che si illumina mentre si china per servirti, sotto la luce appesa all’ombrellone, al labbro, una fibbia tonda chiusa a mordere la carne. Immagini il gioco delle labbra e della lingua di chi la ama e la amerà magari dopo, quando il bar sarà chiuso e lei tornerà alla sua vita.
Non stona nonostante sia così diversa dal mondo di pietra e acqua in cui si muove, i suoi capelli rosso fuoco di tintura, corti oltre misura. I jeans che fasciano i fianchi e danno spicco al culo, la maglia stretta su un seno alto, maturo e orgoglioso di donna, nonostante l’età la giureresti ancora quasi adolescenziale.
La morbidezza, pur nell’esilità della figura, non è così alta, ha vita fine, e polsi sottili, non puoi non notarla. Scivola e si arrotola tra due tavolini, conscia del tuo seguire il ruotare delle sue anche e la plasticità del camminare. Danza.
Ha occhi belli.
Castani.
Alla luce della lampadina emettono lampi irregolari.
Porti con te l’eco di quei lampi, foto notturne ad ogni suo guardare, e l’alito caldo della voce che sembra sfiori invece che solo parlare.
Scendi a sinistra e, su un ponte di metallo antico, oltrepassi il correre molle e ombroso del fiume.