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Scrittore e
fotografo, come gli esploratori dell'ottocento, a caccia di minerali,
piante, città perdute nella giungla o in un deserto.
Una battuta di caccia grossa.
Fotografando e cacciando, però, piedi. I propri, o piedi conosciuti, oppure
piedi sconosciuti, nudi, calzati, impegnati nel riposo o nella visita a
un museo, nello sport. Al lavoro.
Per ogni piede raccontando una sua storia.
Nata guardandolo, per la curiosità di una scarpa, di un abito sopra la
scarpa, di una situazione, fosse normale, fosse bizzarra. Lasciando
libera la fantasia di inventarsi ogni volta, per ogni piede, una intera
vita.
E adesso, a caccia... |
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Hanno sei gambe e due rotelle. E salgono.
L’uomo dietro di loro sulla rampa li guarda. Non ama quella rampa.
Vorrebbe le vecchie scale mobili che non portano ricordi di corse in
salita a un treno o a un binario. Le scale mobili portavano i piedi con
sicurezza, in totale riposo, sino su ai binari. Erano una certezza
metrica.
Una rampa, un piccolo percorso di dieci passi sopra il marmo consumato
da mille piedi e poi una seconda rampa, un po’ più lunga. L’architetto
adesso ha sconvolto tutto.
Le rampe mobili, per prima cosa ti invitano a camminare, mica stai fermo
sul gradino e ti godi la fatica del motore e il piacere della mano sul
nastro nero, lucido, consumato da mille mani di viaggiatori anno dopo
anno. Quello che vibra sempre. No, sulle rampe si cammina.
Inevitabilmente.
E poi al posto di una scala mobile da due minuti scarsi, il giro delle
rampe ne prende, giocando ad avvitarsi in mezzanini creati ad arte,
perfetta e perfida arte, quasi cinque. Di che perdere il treno o averne
affanno. Così la gente cammina e le rotelle fanno un fragore da trenino
in scatola sulle zigrinature delle rampe. E ti superano, devi stringere
e cedere il passo se viaggi in due, o chiedere permesso e far scansare
tu indispettiti viaggiatori se sei in ritardo.
L’uomo dietro di loro sulla rampa li guarda. Un uomo, una donna e una
ragazza.
Piedi, pantaloni, maglie. E un trolley rosso a due rotelle.
Guarda e pensa a scale mobili, giri di rampe, a quando i mezzanini non
giravano quel valzer di pedane avvolte in un turbinio ininterrotto su
quattro piano esatti.
Ricorda, guardando loro, un uomo e una donna, lei giovane, lui quasi
vecchio. La volta che, più vicino che a quei tre oggi, si trovò dietro
di loro.
Avevano appena messo in funzione le pedane montanti.
L’uomo e la ragazza giocavano come due bambini in gita scolastica. Lui
la baciava. Lei fingeva di schernirsi, quasi fosse timida nella folla.
Faceva scorrere le ruote, e si stringevano di fianco, accelerando a
tratti, inseguendosi e riabbracciandosi, come se fosse la scala di una
sala di un albergo e li portasse alla loro camera.
Oppure quella al paradiso dove sembrava, dal loro ridere improvviso, un
attimo, che stessero salendo.
Lui aveva mocassini senza calze, impolverati, lei scarpe nere, dalle
suole alte. Rampa dopo rampa, se li è trovati, che salivano come lui,
sempre davanti.
A un certo punto della seconda rampa, ricorda, si sono messi a camminare
veloci sul tappeto sgombro di fronte a loro, che correva sotto i loro
passi. Velocemente, forse solo per fare rumore con le ruote e avvitarsi
al giro del piano avvolgendosi mano nella mano su se stessi.
Si erano rubati un bacio nuovamente e erano sbarcati quasi abbracciati
al piano dei binari.
Li ha persi di vista quando si sono mossi verso il binario 10. O era il
12. O il 9.
No, quello non se lo ricorda. L’uomo aveva in una mano la maniglia del
trolley argentato della donna e nell’altra la mano di lei. Ricorda anche
di aver sorriso vedendo che l’uomo e la ragazza avevano intrecciato le
dita, dandosi la mano, quasi temessero di perdersi, nella stazione così
nuova e aliena dopo il restauro.
Poco dopo, cinque minuti forse, aveva rivisto solo lui, Tornare dai
binari (sì, era il 10, sicuramente). E poi sedersi su una panca di marmo
e scrivere, con gli occhi lucidi un sms. L’aveva rivisto per caso,
l’uomo che aveva guardato il loro volo sulle rampe, aveva il treno con
tre ore di ritardo e cercava anche lui un posto dove sedersi. Si era
allontanato, imbarazzato nel vedere un uomo piangere su una panchina di
marmo di epoca littoria.
Esattamente come ora si allontana da quei tre, non sale più con loro, si
ferma all’ammezzato. Vuoi mai che sia un addio o un distacco anche il
loro, a dividere anche quei tre alla fine della rampa? A lui è bastato
ricordarne uno. Di un giorno che nemmeno ricordava quando.
Entra così da Calzedonia all’ammezzato, unico uomo nel negozio. Non
guarda nulla, non compra nulla.
Attende soltanto prima di perdersi anche lui tra i binari che passino
cinque minuti. Cinque soltanto. Quelli che, li ha misurati un giorno che
nemmeno ricorda quando, separano la partenza di un treno dalla prima
lacrima. |
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