The feethunter  (ovvero, il cacciatore di piedi)

  Scrittore e fotografo, come gli esploratori dell'ottocento, a caccia di minerali, piante, città perdute nella giungla o in un deserto.
Una battuta di caccia grossa.
Fotografando e cacciando, però, piedi. I propri, o piedi conosciuti, oppure piedi sconosciuti, nudi, calzati, impegnati nel riposo o nella visita a un museo, nello sport. Al lavoro.
Per ogni piede raccontando una sua storia.
Nata guardandolo, per la curiosità di una scarpa, di un abito sopra la scarpa, di una situazione, fosse normale, fosse bizzarra. Lasciando libera la fantasia di inventarsi ogni volta, per ogni piede, una intera vita.
E adesso, a caccia...

 

 
 


La spesa del giovedì mattina

 

 

 

     
 

Il mercato è al giovedì. Tutti i giovedì, che ci sia sole o che piova. Anche i giovedì che c’è la neve. Io ne ho contati due l’anno scorso. Tre due anni prima, nessuno nel 2012.
Quelli di pioggia, no, non li ho contati. E’ la neve l’eccezione emozionante di Milano. La pioggia serve ritmicamente solo a lavare meglio le strade e a dare ai muri quel velo di malinconia metropolitana che in realtà io credo di amare.
Le due donne sono vecchie, azzardo almeno centoquarantacinque anni in due, verso i centocinquanta, a voler rischiare anche noi di esagerare. Perché la città delle malinconie, in realtà, già esagera di suo. Città bauscia, mi ci ha fatto pensare stasera una persona a cui voglio bene, sbruffona, fintamente industriosa, persa nelle rughe improvvide della sua stessa menopausa, vive se stessa sopra le righe di qualsiasi pentagramma, a velocità irreale, gonfia di botulino, anche se a viverla sono povere persone che di correre non hanno più necessità alcuna.
Camminano, parlano. Tornano a casa. Dal mercato. Come ogni settimana. Se non piove troppo, o peggio ancora, se non nevica, che quei giorni per certo loro, due l’anno scorso, tre due anni prima, nessuno nel 2012, al mercato a prendere freddo mica ci sono andate.
Non hanno i carrelli strabordanti del supermercato. Che poi al mercato rionale mica danno i punti fragola come al supermercato. Né trascinano, dondolandoli al ritmo del passo lento - ma deciso e regolare - i sacchetti colorati dei saldi delle strade della moda, o quelli enormi dei negozi dalle insegne stupide e colorate che catturano clienti a colpi di strilli sugli scaffali. Hanno comprato quello che serve, hanno metodo nella loro spesa, e senz'altro anche qualcosa di più, di sicuro.
I carrelli sono sgonfi, semivuoti. Puliti e tenuti come se fossero anche dopo anni quasi nuovi. Immagini, nascosta dentro quelle sacche, una spesa essenziale. Il grana, ma quello padano che costa decisamente meno, e anche se non può chiamarsi parmigiano al mercato chi lo vende è così, gridandolo,che lo chiama. Taleggio, o forse quartirolo per abbassare il colesterolo cattivo. E poi, ma solo un etto, che si pecca, ma solo con misura, lo zola. Un etto. Quello che cola. Mele, che inizia la stagione che finisce l’uva e ci sono solo mele, prima che le arance costino poco. Immagini i discorsi. Ne senti l’eco. Sono coperti dal rumore delle ruote dei carrelli sul selciato.
E poi tu sei lontano e loro sono educate dalla vita a parlare sempre, non credi tacciano mai, ma mai ad urlare.
Ogni settimana sai che passano di lì insieme, circa alla stessa ora. Hanno un appuntamento tra di loro il giovedì mattina. Fanno la spesa insieme e si raccontano la loro ultima settimana.
Di una hai sentito il nome, per caso. Martina. E’ quella del gorgonzola. E del figlio che vive a Roma, ma le telefona. La chiama ogni settimana.
Anche quelle in cui piove troppo forte o, peggio ancora, nevica. Quei giorni insomma che per certo loro, due l’anno scorso, tre due anni prima, nessuno nel 2012, al mercato a prendere freddo mica ci sono andate. E non si sono viste per quattordici giorni filati. Ma le cose se le sono raccontate la settimana dopo. Che a differenza del tetrapack del latte, mica ha una data di scadenza il racconto di una vita.