XIX Alla ricerca di nuovi documenti
Fra il capitolo precedente e questo intercorre il tempo di un viaggio.
Intrapreso dal narratore, ricercatore di tracce, verso quel baule e quella
biblioteca.
E sarà la suggestione della storia che si è trovato a narrare.
Oppure solo quella variabile imperscrutabile e bizzosa che ci si ostina a
chiamare destino, ma l'uomo che narra non parte da solo per quel viaggio.
Chi racconta storie a volte ha uno strano destino, dando per scontato e
legittimo l'uso di questa parola. Di immedesimarsi, o di ritrovarsi in quel che
narra, questo è il caso più probabile e immediato.
A furia di narrare di quel viaggio, l'uomo, scrivendone, ci si è sentito avvolto
e trasportato attraverso luoghi tempi e ipotesi, tra il probabile e
l'improbabile, tra realtà testimoniate e supposizioni volute e amate.
E la ricerca di nuovi documenti nella città spagnola, nei sotterranei della
biblioteca, a un punto inatteso, ma prevedibile, forse, per chi conosce l'uomo
da vicino, era destinata a diventare anch'essa in qualche modo destino. Che poi
l'uomo non parta da solo per quel viaggio è cosa che, conoscendolo e avendo
letto le sue cronache e le sue ricostruzioni, viene poi quasi da sola.
- Sì. Parto dopodomani. In volo fino a Madrid e poi in auto. Sei libera? Mi
raggiungi?-
- Ti vengo a prendere al treno e abbiamo poche ore prima del volo. Ti confermo
oggi il biglietto.-
- Ti aspetto -
La donna giunge nella città prestissimo quel mattino.
Con una sacca. Ironia della sorte o forse un piccolo vezzo.
La donna aveva letto tutte le ricostruzioni ipotizzate dall'uomo, si era spesso
persa parlandone con lui e azzardane sempre di più ardite, e scende dal treno
con la sacca di cuoio marocchino a tracolla, che sembra leggerissima sotto il
suo passo spedito e sicuro.
Non vede l'uomo da mesi ormai. Dall'ultimo convegno che li vide insieme ad
ascoltare di metodologie, ricerche bibliografiche, comparazione delle fonti e
autentica dei manoscritti sulla base dei riscontri. Era due mesi prima, quasi
tre, ad Urbino.
Scende dal treno con il viso di chi non sente il viaggio né la stanchezza.
Allargando a golfo il suo sorriso.
L'uomo che camminava nervoso sulla banchina, nell'attesa, pensa che, ironia del
caso, oppure ancora destino, non è notte.
Non sono a Istanbul.
Fa solamente un po' più freddo.
E poi il caffè lo vendono al bar soltanto, in testa ai binari, dove la stazione
sotto la cupola di metallo e vetri schiude le scale e si apre, a fronte e a
lato, come il delta di un fiume, sulla città dove lui vive. E i carretti dei
bagagli hanno rumore di gomma e non di cerchio in ferro sotto le ruote. Motori
elettrici e non braccia per la spinta dell'uomo che li sposta.
E poi, loro, anche loro, invece hanno un tempo. Fissato e prefissato.
Orari di arrivo e di partenza.
Tempi per il check-in e per la sosta.
Scoprirà , ma solo vivendolo, dopo, che anche a loro però la dilatazione dei
tempi era comunque stata riservata.
Che chiudere tra due pali una misura non vuol dire limitarne forza, persistenza
e significato.
Ma questo solo dopo. Ed è inutile anche anticipare.
Si baciano all'arrivo.
Prima un abbraccio e l'appoggiarsi delle guance.
E poi le labbra. Le bocche.
Rinnovano lo scambio dei sapori e lo sciogliersi a rubarsi l'aria dai polmoni
anche in quel mattino.
Perché un bacio dopo tempo è come una riscoperta. Il percorso delle labbra e
della bocca, l'angolo e l'appoggio morbido poi calcato, ritrovare un'impronta
calda come la si era lasciata.
E nella stretta delle braccia ad avvolgere la vita, a spremere il petto contro
il petto, si rinnova la voglia, lui quasi la solleva per i fianchi, di annullare
corpo e spazi e unire ogni sensazione in una sola.
Arrivano più tardi all'aeroporto.
Dopo un caffè abbracciati al banco e lo sguardo tra l'ironico e il sorridente
della giovane barista.
- Ma è possibile che sorridi proprio a tutte con quell'aria… ? -
- Guarda che le chiedo se davvero le piaci e se le piaciamo e le sembriamo
belli, sai che non ho problemi a farlo -
Lei ride.
Lui la stringe al fianco e un po' arrossisce o forse è solo l'effetto del caffè
caldo in una mattina già fredda.
Poi la corsa nella metropolitana.
Nella città che corre attraverso le persone. La rete che unisce i punti della
vita e del lavoro, della cena e della colazione, del perdersi e del rincorrere
una meta. Gente che scivola, corre, urta, scansa, si ferma, guarda, interroga
una carta, continua a leggere un libro o un giornale persino mentre cammina.
Evitando forse per un radar nascosto e naturale, pipistrelli in giacca e
cravatta o tailleur da ufficio, l'urto e l'impatto con chi arriva controcorrente
anche senza sollevare lo sguardo dalla pagina o dalle parole.
Poi la navetta. Treno con poche fermate, loro seduti vicini nel vagone vuoto.
- Non è un treno bello come il loro - Sembra quasi scusarsi lui.
Il treno in effetti non ricorda per nulla quello preso dai due di “ fiume “. E’
un treno che unisce la città alle piste, fa sembrare quasi periferica o urbana
l’aerostazione.
Seduti lì, l’uomo e la donna, sfogliano carte, controllano biglietti per il loro
volo, ridono e si raccontano giornate vissute lontane. Azzerando in un lasso di
tempo corto tra due prime fermate il tempo trascorso dal convegno mesi prima.
(a suivre)