Papaveri
di Abel Wakaam
...ed io in bilico, ad occhi chiusi sulla fune
sospeso
senza rete...nell'attesa di sapere
io che sfido ogni giorno la fortuna
ora apro le braccia... e mi lascio cadere.
E poi ho il ricordo di ciò che è stato, mentre il mio corpo inerte si abbandona tra i papaveri rossi di questo immenso prato, gli occhi
socchiusi,appesi al leggiadro innalzarsi di una nuvola strappata al cielo, che inquieta scorre veloce davanti al sole che mi vuole bruciare. Fuggita,
svanita dopo una notte troppo breve per essere vissuta... briciole di te nel mio letto, sulla mia bocca, sulla mia lingua, sul mio sesso ancora eccitato.
E a volte lo chiamano amore furtivo, quello che due sconosciuti si
danno e si riprendono nel momento assoluto del primo incontro, mentre entrambi sanno che potrebbe essere l'ultimo, che non ce ne saranno mai più, che
non si può fuggire in un'isola deserta, che non si può rincorrersi
all'infinito.
Vedersi di nascosto, magari in qualche bar di periferia... o parlarsi al
telefono per ore, cercando di scrutarci dentro l'anima.
E ancora ricordo lo scintillio del bicchiere di cristallo, lo posavi
sulle
labbra proprio là dove volevo baciarti e poi con la lingua assaporavi il
sapore frizzante di quel vino chiaro, corposo, ed io immaginavo ciò che
sarebbe accaduto da lì a qualche ora, quando avrei potuto frugare in
quelle
stesse labbra per ritrovare anche il mio più intimo sapore.
E ancora ho addosso il tuo odore, quello dolce dei tuoi baci e quello
acre
del tuo sesso. Ma in fondo la sensazione che scorre nelle mie vene non
era
diversa allora e non lo è adesso, un fluido caldo e denso come il
sangue che
sgorga dalla mia ferita e dalla tua, invisibile sul rosso accecante dei
papaveri che mi accolgono tra le loro braccia, io che non so dire la
parola
amore.
E con te avrei voluto giocare, dipingere i tuoi desideri con disegni
nuovi.
Mentre chiacchieravo nello splendore di quel salotto ovattato
continuavo ad
immaginare quale peccato avremmo potuto commettere insieme, ma prima
volevo
averti, accarezzarti, prenderti con foga mentre in ginocchio davanti a
me
avresti cercato nei miei occhi la scintilla della mia voglia, poi
chissà...
chissà da quale inferno ci saremmo lasciati inghiottire.
Idee folli nella mente.. un uovo! Chissà perché proprio un uovo! Forse
l'immagine onirica proiettata dalle deliziose tartine ricoperte da
quelle
minuscole perle di caviale... rosse, quasi come questi papaveri che mi
ricoprono il viso. Un uovo, l'immaginavo tra le tue dita, perfetto
nella sua
forma ideale, pronto a sfidare ogni attrito, pronto ad entrare nel
nostro
gioco.
Un'altra nuvola davanti ai miei occhi, effimero passaggio tra due
scene e tu
sei già seduta sul pianoforte nero che diffonde le sue note eleganti
nella
sala, mentre la voce dolcissima della cantante lirica cerca di
smorzarsi per
non distogliere l'attenzione dei presenti. Guardi solo me, dritta
nei miei
occhi scuri, quasi come i tuoi corti peli neri che mostrano piano piano
il
rosso della tua carne accesa, in contrasto col bianco immacolato del
guscio
riflesso nello smalto lucido della vernice.
Mi avvicino solo un poco, quel tanto che basta a gustarmi
l'immagine da
vicino... sono le tue dita affusolate a dover aprire il varco nel
profondo
della tua follia, io devo solo assistere al logorio del desiderio che
impregna di umori il tuo sesso ormai schiuso. Lentamente, affinché la
carne
si apra al mio sguardo come al rallentatore... i tuoi petali intrisi di
rugiada che si sciolgono a quello scorrere lieve... e poi quella voglia
pazza di inghiottire in un attimo l'intero boccone, succhiarlo,
attirarlo
nel grembo e schiacciarlo con tutta la forza che hai in corpo.
Lo vedo scivolare dentro di te ingorda di sensazioni nuove, sfuggire
alle tue dita dallo smalto rosso come il fuoco, e poi il tuo dondolarti sul
pianoforte quasi per aggiustarne la posizione all'interno... dove
vorrei
essere anch'io. Un gesto, un invito e le mie mani forti ad
allargare le tue
cosce prima di afferrarle saldamente... avverto il rumore della tua
pelle
stridere sulla vernice lucente del pianoforte mentre ti trascino sul
bordo
arrotondato... e quella sensazione intensa del mio piacere su quel corpo
estraneo... poi due dita più in basso il calore delle tue viscere.
A nulla valgono le smorfie di dolore padrone del tuo viso, so che il
flusso
del godere tra un secondo le avrà mutate nell'espressione ancestrale
dell'orgasmo, e le note si fanno basse e profonde, un susseguirsi
di suoni
ritmici che nessuna voce potrebbe mai accompagnare. La cantante cerca
di non
stonare adattandosi ai lamenti, il pianista scruta sulla mia faccia il
momento buono per l'ultimo assolo, ed il pubblico in delirio si
stringe
attorno ai nostri corpi sudati.
"Eccomi, ora è il momento, lo sento... lascia che ogni diga si
sfasci
trascinando a valle il mondo intero, lascia che il fiume in piena
divenga
cascata, lasciati andare, mostrami il gusto forte del tuo godere.
Spezza il
guscio nel momento più alto della musica, distruggi l'albume, il
tuorlo,
lasciati vedere... e quando io sarò in ginocchio ai tuoi piedi...
lascia che
alla dama più bella vada in premio il sapore del tuo sesso come fonte di
piacere."
Tra le mie braccia.. tra le mie braccia ancora ti voglio sentire, voglio
ascoltare di ogni istante ciò che hai da dire... voglio gustare il
senso di
ogni dettaglio, voglio interrogare i tuoi pensieri, voglio averti
accanto...
ma questa vita scorre in un solo senso, si nutre di anime, sensazioni e
lamenti, a volte si perdono i nomi, nelle storie non si trova la rima, a
volte ci si perde e basta... e a volte ci si trascina.
...ed io in bilico, ad occhi chiusi sulla fune
sospeso senza rete... nell'attesa di sapere
io che sfido ogni giorno la fortuna
ora apro le braccia... e mi lascio cadere.