mi chiamo Faber (dedicato)

di  Alioscure

 

 

 

 

 
mi chiamo Faber
-mi chiamo Faber- disse l'uomo.
-è il nome,il cognome o il soprannome?- chiesi io.
-che cazzo importa? chiamami Faber e basta-

Eravamo gli unici due bianchi a bere quel che pareva sperma di cammello unito ad acido solforico in quel buco malfamato in culo al mondo. Questo pareva essere il nostro unico legame,ma vuol pur dire qualcosa una roba così. Un po' la differenza tra essere sperduti e soli sulla faccia della terra e trovare uno specchio in cui riflettersi, non so se capite. Se non capite va bene lo stesso, vuol dire soltanto che non sto scrivendo per voi.
Faber era grosso,ma non abbastanza da fare davvero paura. Aveva la mappa precisa della sua vita segnata in rilievo su ogni ruga dannata della sua faccia, per cui si sarebbe potuto dire di lui egualmente che era un rottame devastato o un uomo interessante che non ha avuto paura di vivere ed entrambe le definizioni sarebbero potute andar bene. Ognuno vede ciò che gli appartiene di più in ogni cosa.
Si passò la mano tra gli ispidi capelli canuti- li aveva bianchi tutti anche se non doveva essere molto vecchio, probabilmente meno di me; ma forse era,come il marinaio del racconto di Poe, un sopravissuto al maelstrom; tutti hanno un maelstrom che li attende,alla fine, tutti hanno una bocca che li ingoia con le loro speranze,i loro sogni ed amori. Chi sopravvive ha i capelli bianchi e quel tipo di faccia.

-Sta roba fa davvero cagare- disse,vuotando il bicchiere sudicio e riempiendolo di nuovo - Non so come facciamo a berla-
-non sempre si beve perchè piace quel che si beve- filosofai. Che cazzo,alle dieci di un mattino opaco e rovente come una tettoia d'alluminio ad agosto filosofare è una delle due sole cose da fare. L'altra è bere ancora abbastanza da riuscire a tirarmi un colpo di 45 in testa.
-sembri coglione ma non devi esserlo,se dici verità assolute così- mi elogiò Faber,quasi servilmente,come è spesso una improvvisa simpatia dovuta ad un fibrillante riconoscimento di qualcosa di sè nell'altro.
-ho studiato- risposi con modestia schifosamente virtuosa -non sembra,ma conosco un sacco di cose, tipo quanto una scimmia resus ci mette a farsi una sega o una donna a cambiare idea su di te. Insomma,tutte cose poco utili per far soldi,ma che ampliano gli orizzonti del mondo-

La faccia che fece quando parlai delle donne che cambiano idea mi fece intuire con il solito drammatico ritardo con cui capisco le cose che avrei fatto meglio a restare all'argomento dei solitari godimenti scimmieschi. Feci finta di scivolare via,con il bicchiere e il bancone chiazzato di misteriosi inquietanti umori e tutto, ma non ci riuscii. Faber mi guardò con i suoi dolenti occhi iniettati di sangue da toro nell'arena prima del colpo finale a tradimento e quello sguardo ci ancorò lì per sempre.

-Sai- mi disse -le donne sono l'inferno per certi uomini e per altri il paradiso-
-il concetto è interessante- replicai con maggiore cauta attenzione - io ho sempre pensato che mai come in questi casi inferno e paradiso siano coordinate spaziotemporali assai soggettive-
-bisogna sapersi godere le donne senza implicazioni profonde e allora sono la cosa migliore che possa accadere ad un uomo. Ma se ti innamori è finita-
-come si fa a non innamorarsi delle donne?- chiesi molto retoricamente -quando credi di entrare in loro,in realtà è il contrario. Non parlo delle scopate volanti,solo ginnastica. Parlo di quando una ti entra davvero nel sangue. Sti cazzo di poveri globuli bianchi hanno anche loro i loro limiti-
-mi pareva avessi qualcosa da spartire con te,ma ancora non capivo bene cosa fosse- mormorò,vuotando anche il suo ennesimo calice amaro- ora lo so-

Mi guardò e nei suoi occhi nuotava il dolore del mondo. Ma la cosa peggiore è che avrebbe lottato fino alla morte per non dimenticarlo.

-parlami della tua- mi propose,versando ancora da bere imparzialmente nel bicchiere e sul bancone -facciamo come gli scambi delle figurine da bambini. Tu mi dai la tua migliore ed io la mia-
-non ho molto da dire- dissi,ma non era più del tutto la mia voce, o forse lo era davvero adesso,sa il cazzo -Lei era la mia vita. E' una storia bastarda sopravvivere alla propria vita. Vuol dire essere un fottuto zombie-
-cosa successe?-
-niente. Tutto. come si dice, nada Y todo. Sai che ci sono storie più forti e intense perfino delle normali storie d'amore? Non si esce indenni da queste storie. Non si esce proprio-
-perchè,le storie d'amore possono essere NORMALI?- rise versandosi lo sperma di cammello sulla camicia -le VERE storie d'amore?-
-non credo- convenni; stavo diventando cupo,lo capivo perchè la luce esterna assumeva una sfumatura sulfurea,sporca,ed io iniziavo a slittare verso il basso. Impercettibilmente ma ineluttabilmente. Da buon masochista, mi coccolai la sofferenza.
-è quando il paradiso diventa inferno che puoi capire davvero la realtà di entrambi- fece lui. Ah,pensai,un collega di studi universitari, specializzazione: autodistruzione.
-è che mi piaceva molto quando mi faceva soffrire- spiegai l'inspiegabile con parole confuse ma oneste -cosicchè non capii subito che ero in quel posto invece che nell'altro. Poi,sai,mi viene sempre in mente come finisce "il diario di Eva" di Mark twain. Eva muore per prima e Adamo, in ginocchio davanti alla sua tomba, dice:- L'eden è dove fu lei-
-ah sì. Bellissima conclusione di un delizioso libretto. L'eden è dove fu lei. Dunque,se lei c'è, anche l'inferno è il paradiso-
-e viceversa. Senza lei, anche il paradiso è l'inferno-
-Non dovremmo tutti morire prima delle nostre storie d'amore?- chiese di colpo Faber. Non dissi niente. Non c'era molto da dire.

-dicono che è l'uomo che possiede la donna e questa desidera solo essere posseduta- riprese a parlare dopo un po' -ma in realtà non succede così. Non è così semplice e complementare come lo yin e lo yang dei taoisti. Come la vedo io, indipendentemente dal sesso, possiede chi ama meno ed è posseduto chi ama di più. E' una questione di intensità,non di maschile e femminile-
-per me è stato così- dissi,ancora un po' perduto nei ricordi -ma forse l'essere stato suo schiavo complica un po' le cose,o le semplifica,a seconda di come le si vedono. Io ero suo e questo indipendentemente da tutto il resto-
-sì. Ecco, il discorso è sull'appartenenza. E' qui il problema, questa è la questione,mio buon Orazio. Si può amare senza appartenere? No,dico io. Dunque ci si vota al dolore: quando non si sta insieme,è come se fossi un pezzo di mela,il torsolo,manca tutto l'importante. Quando si sta insieme,vorresti fonderti come una colata di bronzo,diventare una cosa sola,ma sai che non può essere così,che la separazione incombe. E poi la fusione non è sempre perfetta, a tratti senti che la materia di cui sei fatto è refrattaria alla sua,o che ci sono piccole fratture,sconnessioni. Si è due,cazzo,e non quell'uno assoluto che si vorrebbe. Come la storia che racconta Platone,sai,la nostra maledizione: essere condannati a cercare per l'eternità la nostra metà,e perderla quando la si trova,che forse è peggio ancora-
-sì,lo so,so tutto questo- mormorai.

Mi feci incidere sulla schiena un suo simbolo,un ricordo indelebile. Me lo fece lei,con pazienza infinita,in quattro giorni,usando solo i bordi taglienti di un medaglione perchè soffrissi di più e il ricordo fosse indelebile. Poi in realtà la schiena dopo qualche tempo tornò come una lavagna vuota, a parte qualche traccia più pallida sulla pelle rimarginata,ma in effetti nella mente e nel cuore restò indelebile, a dimostrazione che lo spirito è immortale e la carne destinata a decadere.
Appartenere è tutto per chi ama. Vorrebbe portarlo tatuato sulla fronte.
Gli raccontai questa storia. Faber si sollevò il lembo sudicio della camicia e mi mostrò una vecchia bruciatura. Pareva l'eco visibile del passato,che vibrava ancora nelle cellule del braccio,della mano, come potrebbe restare sospeso sopra al mare l'eco dell'estremo grido di uno che annega.

-questo è il mio ricordo- disse Faber.
Risi mio malgrado:- sembriamo due coglioni di reduci di qualche guerra,che si mostrano a vicenda le cicatrici delle loro ferite di guerrieri-
-ah,ma lo siamo,lo siamo!- esclamò faber -siamo due reduci di una guerra spaventosa,che abbiamo perso vincendola, dato che nessuno che sa amare tanto può vincere,eppure solo per questo è uno straordinario vincitore-
-sì- ammisi -saper amare tanto è un trionfo davvero,ma si paga caro-
-un tempo mi chiedevano come facessi a piacere tanto alle donne- sorrise al ricordo,sorrise mentre piangeva -cazzo,dicevano quegli invidiosi del cazzo, non sei neanche bello e hai avuto i tuoi giorni migliori nel mesozoico, com'è che piaci tanto?-
-perchè amavi le donne-
-sì. La risposta era così semplice che sfuggiva ai più,come la lettera invisibile di Poe: le donne sentono chi le ama. Ecco tutto-
-ma se ami sei vulnerabile-
-l'altra faccia della medaglia,sì. E l'accettazione di soffrire. Cosa che pochi accettano-

Annuii. Così capita che ci si trovi nella nebbia. Magari sei un bufalo e l'altro è un corvo. Diversissimi. Ma nella nebbia si vedono solo luccicare gli occhi, magari perchè si sta piangendo insieme,e così ci si riconosce lo stesso. Il bufalo e il corvo hanno la stessa eredità di sofferenza di ogni essere vivente ed è questo che li rende fratelli.

-come finì la tua storia?- mi chiese Faber. Non era ghiotta curiosità,ma desiderio di estrema condivisione.
Sorrisi:- non è mai finita la storia- risposi -sono finito io-
Credo fu allora che Faber si rese conto che non stavo in realtà bevendo. Non potevo perchè la mia mano,quando si chiudeva sul bicchiere,lo attraversava come se il vetro fosse acqua. Mi osservò meglio e comprese,ma,come immaginavo,non si spaventò. Gli spettri terrorizzano solo i loro assassini.
Mi alzai fluido come acqua. Faber sembrava massiccio e forte,compatto e materiale,e lo era. Lui era ancora vivo. Era lui,evidentemente,il bufalo,ed io il corvo,di cui sarebbe rimasto tra breve solo il battito leggero delle ali nell'aria immota.
Faber sollevò il bicchiere in mia direzione e chiese,sinceramente interessato:- si soffre anche dopo?-
-si soffre sempre,ma in retrospettiva- risposi -quando c'è solo il passato e presente e futuro sono svaniti,non c'è più nemmeno la speranza. Quindi è meno dura-
-io voglio soffrire allora fino al mio ultimo respiro- disse Faber,e in quel momento mi parve sempre più un caparbio,coriaceo,eroico bufalo di palude,ben piantato con le zampe infangate nell'acqua torbida e gialla e pronto a sfidare fino alla fine il suo destino. E perfino l'amore.

Attraversai la parete del locale e fluttuai verso la jungla vicina. C'era una scimmia su un ramo contorto e in effetti si stava facendo una sega. Quando venne,la fissai negli occhietti lucidi e neri. Mi parvero stranamente colmi di sofferenza,ma almeno lei non sapeva perchè. Si leccò dalla zampetta quasi umana lo sperma ed io feci lo stesso con le mie lacrime di spettro.