Il compagno di concorso

di  Altramira

 

 

  Laura saliva le scale. Un caschetto corvino sopra un frusciante vestito di seta verde smeraldo.
Aveva subito attirato l’attenzione di quel ragazzo che stava una rampa di scale sotto di lei e non aveva potuto fare a meno di sbirciare tra le sue gambe che salivano gli scalini due alla volta. Eccitazione improvvisa. Lei sapeva di provocare questa reazione e ne gioiva pienamente. Si fermò un istante, facendo cadere un foglio, come per caso.
Girò gli occhi, ma solo quelli, a controllare la propria preda. Il ragazzo, quasi preso di sorpresa, distolse appena lo sguardo, come se il gesto fosse sufficiente a ricevere indulgenza. Laura non si sarebbe accontentata.
Entrò in aula, aspettando la preda. Il ragazzo scelse la penultima fila, un po’ spostato sulla destra. Era una lunga panca, stretta e scomoda. Anche lo scrittoio era formato da un’unica asse di legno ricoperto di formica, che permetteva a malapena di appoggiarvi un foglio. Laura si mosse con grazia e si sedette di fianco a lui, lasciando la distanza sufficiente perché lui potesse spiarla senza dover girare eccessivamente la testa.
Lui si voltò appena e scoprì la leggerezza dell’abito che le avvolgeva il corpo lasciando intendere l’assenza del reggiseno. Laura si stirò, inarcando la schiena e puntando il seno in avanti. Il movimento permise al vestito di salire. Allungò le gambe per trovare un punto d’appoggio sul predellino. Il ragazzo si trovò a contemplare le cosce abbronzate e quasi uno spicchio della natica sinistra.
Eccitazione. Laura ne poteva riconoscere l’odore e quasi inconsciamente passò la lingua sulle labbra, lucide di rossetto lilla. Sentiva che gli umori vischiosi, goccia a goccia, stavano per bagnare il suo sesso, sapeva che poi avrebbero inzuppato il sottile tessuto degli slip. Eccitazione. Ora gli odori si mischiavano e il ragazzo era abbastanza vicino da percepire anche il suo. Un’altra goccia, più consistente, più umida, scivolò fuori e impregnò finalmente il cotone. Un piccolo morso al labbro inferiore e una lieve stretta alla coscia sinistra. I jeans della preda si tesero sotto lo stimolo della provocazione.
Laura giocherellava con la penna, la passava tra le dita, la portava alla bocca schiudendo le labbra e giocandoci con la punta della lingua, la mordicchiava, scriveva sul dorso della mano e ogni tanto metteva qualche segno sulle caselle del compito, apparentemente a casaccio. Schiuse le cosce, scivolando in avanti sulla panca, allargando le ginocchia e tenendo i piedi uniti.
La seta salì ancora a mostrare quasi l’inguine, ma non lo slip, che ormai intriso del suo umore s’era arrotolato, insinuandosi nel sesso. Eccitazione. La poteva percepire come gli animali percepiscono la paura e come la paura avrebbe portato la sua preda dritta nelle sue fauci, insaziabili, avide di potere e del piacere che ne deriva. Un piacere psichico, quasi intellettivo, che si sazia dell’obbedienza e dell’eccitazione delle prede. Non più gocce, ma un rivolo gorgogliante e Laura sapeva che il suo afrore avrebbe condotto da lei chiunque lei stessa avesse scelto. Si sentiva come un leopardo al buio, accovacciato dietro i lunghi steli d’erba della savana. Lui sa che prima o poi qualcuno avrà sete, anche di notte e quella sete sarà la trappola mortale per la sua preda. Ancora un sussulto dei jeans, già gonfi di voglia, tanto simile alla sete nella savana.
Laura finì di riempire le caselle del test di cultura generale. Non le era parso che quel concorso avesse grosse difficoltà. Si alzò, consegnò e uscì dall’aula. Rimase nell’atrio, seduta in un angolo buio, sicura che la sua preda si sarebbe presentata di lì a poco.
Laura non aveva torto. Neanche cinque minuti dopo, il ragazzo che sedeva a fianco a lei, uscì dall’aula. Lui si guardò distrattamente intorno, ma lei sapeva che la stava cercando. Si alzò e facendo più rumore che poteva con i tacchi si avvicinò alle sue spalle. Il ragazzo rimase immobile, quasi se assorbisse telepaticamente i suoi pensieri. Ecco, ora era dietro la sua preda e poteva ghermirla. Doveva solo far leva sulla sua sete, l’eccitazione.
-Non voltarti- gli sussurrò, alitandogli sul collo.
Il ragazzo non rispose e continuò a stare immobile, come alcune prede che pensano nella loro immobilità di ingannare il predatore.
-Dimmi il tuo nome- continuò Laura.
Un momento di esitazione, poi una voce sussurrata, quasi tremula, uscì con un suono gutturale che intendeva la secchezza della bocca.
-Giulio.
Laura appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo e avvicinò le sue labbra ad un orecchio.
-Bene, Giulio- fiatò –chiama l’ascensore e aprimi la porta.
Il ragazzo si diresse sul pianerottolo e pigiò il tasto di chiamata dell’ascensore. Laura continuava a stare dietro. Sapeva la sua voglia di girarsi, guardarla in tutto il suo essere, in tutto quel corpo da cui senza ombra di dubbio percepiva l’odore dell’eccitazione e ne impazziva già da prima.
-Strano che non abbiamo pensato di prenderlo anche salendo.
Giulio non rispose. Continuava a guardare la porta dell’ascensore, respirando a pieni polmoni l’odore di Laura e tentando di resistere alla propria eccitazione che sarebbe apparsa ormai evidente a chiunque l’avesse osservato. L’ascensore arrivò al piano. Giulio girò la maniglia e nell’aprire la porta si scostò, nell’intenzione di far passare la donna dietro di lui.
Laura fece due passi indietro.
-Tu stai davanti. Non ti voltare, altrimenti me ne vado.
Giulio non rispose.
-Hai capito?- sussurrò ancora lei.
-Sì, ho capito.
-Credo che tu voglia offrirmi qualcosa da bere.
-Va bene.
-Gentile da parte tua. Ora entra.
Entrarono. Lui rimase immobile.
-Chiudi la porta, ma girati piano.
Giulio girò lentamente su se stesso, Laura si spostò dietro di lui. L’ascensore era stretto e per forza di cause i capezzoli di Laura strusciarono contro la maglietta di Giulio. Lei sentì il suo pizzicore dal sospiro che emanò di colpo, quasi a vergognarsi dello stimolo in più che aveva ricevuto. Laura era ormai fradicia, ma un predatore sa controllare il proprio istinto, fino a quando non è sicuro che la preda sia completamente sguarnita di difese. Il dito di Giulio premette il tasto zero. Laura s’avvicinò ancora al ragazzo, in modo che i loro corpi si toccassero appena, poi spinse ancora per fargli assaporare la consistenza dei seni. Le labbra si avvicinarono talmente all’orecchio di Giulio, da provocargli uno spasimo d’erezione quando mormorò la sua volontà.
-Voglio che tu mi ascolti. Voglio che mi senti sulla tua pelle. Non voglio che mi tocchi o che mi guardi a meno che non te lo chieda io. Queste sono le mie regole. Se ti sta bene dimmelo. Se non ti sta bene, quando arriviamo al piano terra, apri la porta e te ne vai, senza voltarti.
-Mi sta bene- farfugliò Giulio, tradendo ancora una volta la propria eccitazione.
Laura lo guidò fuori dell’edificio. Svoltarono subito in una strada secondaria, poi ancora in una più piccola. Giulio la sentiva dietro di sé, i capezzoli a sfiorare appena la sua schiena. La voglia saliva. Non riusciva ad immaginare cosa volesse quella ragazza. Dove voleva arrivare? Che cosa gli avrebbe chiesto? Più l’ignoto si faceva largo nella sua mente, più cresceva l’eccitazione e quest’ultima portava inesorabilmente Giulio verso la dipendenza psicologica nei confronti di Laura. Lei percepiva tutto questo. La preda stava per perdere tutte le difese consce ed inconsce, stava crollando e si sarebbe lasciata scivolare nel baratro sul cui fondo c’era la cacciatrice, ad aspettare paziente.
Fece svoltare Giulio ancora una volta rimanendogli sempre appiccicata. Subito sulla destra entrarono in un locale, uno stretto corridoio con il bancone del bar sulla sinistra. Visi dagli occhi a mandorla.
-Vai avanti.
In fondo, su entrambi i lati del corridoio, si aprivano alcuni separé in stile orientale, Laura guidò Giulio nell’ultimo che si trovava sulla parte sinistra. C’erano una sedia in bamboo e un tavolo rotondo e basso, arricchito da una tovaglia ricamata che terminava allargandosi notevolmente sul pavimento.
-Di che colore sono le mie mutande?
Lui deglutì per l’imbarazzo.
-Sulle scale mi guardavi sotto la gonna, quindi lo devi sapere.
Giulio rimase immobile e muto.
-Rispondi- ingiunse lei.
-Bianche.
Laura s’avvicinò un poco portando le labbra vicino all’orecchio.
-Ora sono tutte arrotolate e inzuppate- sussurrò -vai sotto il tavolo e non ti muovere se non te lo chiedo io.
Giulio rimase perplesso. Il suo senso dell’eccitazione crebbe ancora. I suoi jeans stavano straripando, ma quelle difese che Laura aveva minato così bene, erano tutte saltate. S’inginocchiò e sparì sotto la tovaglia.
Il tessuto della tovaglia era talmente sottile e trasparente da lasciar passare la luce. Giulio si guardò attorno. S trovava tra quattro gambe ricavate da enormi canne di bamboo, adornate da altre più piccole intrecciate tra loro. Il piano o almeno la parte inferiore, si presentava come una fitta griglia attraverso cui la luce faceva fatica a penetrare. Giulio attendeva e nell’attesa muoveva la fantasia su quello che sarebbe successo, una volta che quella donna si fosse seduta al tavolo. Ricordò la sensualità delle cosce abbronzate in contrasto con il verde della seta, i piccoli morsi che Laura si era data sul labbro, la sua mano che aveva stretto la coscia, i seni appuntiti che s’erano estroflessi nell’atto di stirarsi, i capezzoli duri sulla sua schiena durante tutto il tragitto. Ora aspettava semplicemente, lambiccandosi il cervello e fantasticando in una sempre maggiore eccitazione. Avrebbe voluto toccarsi, ma non lo fece. Voleva aspettare lei, lo avrebbe fatto solo per lei, solo se gliel’avesse chiesto.
Fu un scossa vedere l’ombra delle gambe di Laura avvicinarsi alla tovaglia, le ginocchia che si piegavano e il lento movimento che portò lei a sedersi con le cosce serrate, quasi a chiedergli maggiore attenzione, in realtà a volere un aumento dell’eccitazione, del pulsare del suo membro all’interno dei pantaloni. Questo era l’effetto che voleva Laura.
Lei sentiva il respiro affannato che proveniva da sotto il tavolo, sapeva che stava aspettando una richiesta. Non andava bene. Doveva aspettare ancora, fino a che il suo membro avesse chiesto pietà. Allora avrebbe anelato un ordine, qualsiasi ordine e quello sarebbe stato il momento. Laura dischiuse lentamente le cosce, s’alzo appena dalla sedia e fece scivolare il vestito verso le anche. Fu un attimo. Una visione. Le mutande fradice, arrotolate a spingere di lato le grandi labbra. Un istante che martellò la mente di Giulio, il ritmo del suo respiro aumentò. Aspettava. C’era quasi, qualcosa diceva a Laura che l’eccitazione e la caduta di Giulio, erano due condizioni che si stavano avvicinando sempre più.
Giulio ascoltò la voce di Laura che ordinava del tè e un sakè. Ancora attesa, dopo la vista del fiore di Laura. Eccitazione. Ancora più eccitazione. Potere che cresceva. Sempre più potere. Laura sentiva l’alito di Giulio che raggiungeva le sue ginocchia. Era caldo, le chiedeva di aprire le gambe e di farsi prendere, di lasciare che i loro due umori si unissero, mischiandosi e formandone uno, unico e irripetibile, come potrebbe essere stato unico quel momento. Sentiva il sesso che si schiudeva sempre più, permettendo allo slip ormai grondante di penetrare ancora più in profondità, sfregando e premendo, quasi infiammandola. Le fiamme Laura le aveva già superate vi si era immersa e ci si stava crogiolando, il desiderio la stava facendo impazzire, ma non doveva, non poteva.
Arrivò il cameriere con le ordinazioni. Laura versò una tazza di tè, soffiando sulla superficie liquida, come soffiasse sul proprio sesso ardente. Lo bevve. Il tè bollente scese e lo sentì fin nelle viscere. Dio, come avrebbe voluto spegnere il proprio fuoco. Non doveva. Non poteva. Prese il sakè nella minuscola tazzina di porcellana e lentamente la infilò tra le cosce, appoggiandola al sesso.
-Vieni a bere- ordinò, picchiettando sul tavolo.
Giulio, s’avvicinò. Le cosce di Laura profumavano dei suoi effluvi. L’eccitazione si stava facendo dirompente. Là, in cima, vicino al succoso frutto bagnato, una tazzina. Giulio sorpassò con la testa le ginocchia di Laura, si protese, appoggiando le spalle alle cosce nude. Le labbra erano sul bordo della tazzina. Laura si alzò lentamente, e poi di scatto, in modo che il liquore forte scendesse direttamente nelle viscere di Giulio, senza dargli il tempo di assaporarlo.
Il sakè scivolo direttamente nell’esofago, lasciando solo un lieve sentore sulla lingua. Il fuoco invase lo stomaco di Giulio, ma il profumo di Laura lo mitigò, facendo scorrere le fiamme all’inguine, inturgidendo ancora il suo membro, se così poteva essere.
Laura bevve ancora del tè. Infilò la tazzina tra le grandi labbra e aspettò che si riempisse del suo umore, che ormai scorreva come un torrente.
-Vieni a bere ancora.
Giulio tornò nel grembo di Laura. Lei si alzò ancora, ma dolcemente, in modo che il suo gusto rimanesse il più possibile nella bocca del ragazzo. Lo guardò mentre suggeva dalla tazzina e ne provò un immenso piacere. Grondò ancora. Ancora riempì la tazza di tè e ancora la tazzina del suo umore. Di nuovo bevve Laura e di nuovo fece bere Giulio, ormai schiavo dei suoi effluvi e del suo gusto, impazzito nella mente, violentato nel cervello, che aveva dimenticato ogni altra cosa al mondo e l’avrebbe seguita, riverita, adorata e obbedita, qualsiasi cosa lei gli avesse chiesto.
-Ora levami le mutande. Con i denti.
Giulio trovò le cosce di nuovo serrate. Aspettò. Avvicinò il viso alle ginocchia. Laura sentì il suo alito. Poco alla volta aprì le gambe, permettendo a Giulio di passare. Il passaggio però era stretto, ma le guance di Giulio scivolarono sul fluido viscoso che bagnava le cosce di Laura. Eccitazione. Era giunta al culmine. Il membro carnoso spingeva e urlava le fiamme del desiderio di quel frutto di cui si voleva saziare, verso il quale stava lentamente scivolando con la bocca e che avrebbe dovuto solo scoprire. Il viso di lui tra le cosce strette, bagnate, lussuriose e scivolose. I muscoli tremanti che quasi Laura non riusciva più a contenere dovevano stringere, quando la loro volontà, la loro natura, gli avrebbe chiesto di spalancarsi ed accogliere il corpo vibrante di voglia di quel ragazzo, di soddisfare la propria voglia. Non doveva perdere il controllo ora. Non poteva. Il fiume in piena l’allagò, straripando gli argini e colò strabordando sulle cosce, fluendo verso la bocca smaniosa che non avrebbe potuto raccoglierne neanche una goccia.
Giulio arrivò alle mutande. Annusò intensamente l’afrore del sesso, prima di salire a cercare un lembo di stoffa libero dalla carne. Lo prese tra i denti e indietreggiò sulla stessa via percorsa prima, sgusciando sulla pelle bagnata. Laura puntò i piedi a terra, poggiando le mani sui bordi della sedia di bamboo. Inarcò la schiena e sollevò il sedere. Giulio scivolò via, come un pezzo di burro su una padella calda e portò con sé gli slip gocciolanti d’umore femminile.
-Bravo- disse Laura e s’alzò.
-Domani sera alle cinque sarò qui. Voglio trovarti già sotto il tavolo e sopra le mie mutande pulite e stirate. Intesi?
-Va bene- rispose la voce da sotto il tavolo.
-Un’altra cosa. Non voglio che ti tocchi o peggio che scopi e…Non lavarti.
-Sì.
-Ora girati, esci da sotto questo tavolo senza voltarti, vai a pagare e poi vattene.
Giulio uscì, sentendo la perenne presenza di quella donna alle sue spalle. Si comportò bene e non si voltò mai, fin quando non si trovò nella strada principale. Laura uscì dal locale e si avviò. Sentì quei passi dietro di lei, ma soprattutto avvertì gli sguardi, che da quella mattina sapeva le erano addosso. I passi erano sempre più vicini. Laura rallentò, fino a che non sentì lo sguardo e l’alito sul proprio collo. Si fermò. Una mano di donna s’infilò sotto il vestito e un dito percorse la fessura che fino a quel momento era stata riempita dalle mutande arrotolate. La donna portò il dito al volto e annusò.
-Brava, Laura. Sei stata una puttana obbediente.
-Ho voglia. Ti prego.
-Non ora, non è il momento. Forse…neanche domani. Cammina e non voltarti mai.