Altri giochi dei gentiluomini

di  Boccadirosa

 

 

  È notte.
Osservo indifferente i drammi degli umani. Il Gran Ballo.
Uno scenario incantevole per una notte lunghissima, dove ogni cosa è permessa, dove ogni gioco è possibile; essere avvolti in abiti da sogno, d’oro e broccato, di sete e velluti pregiati, pietre e monili preziosi.
E avere le maschere.
Maschere che celano visi ed espressioni, maschere bianche o decorate con piume d’uccelli esotici cui la maggior parte di quella gente non conosce l’esistenza, tantomeno il nome. Piume cangianti come gli umori e le trepidazioni di chi le sta portando.
Venezia, XVIII secolo.
Nei saloni affrescati dal Tiepolo e da altri maestri d’epoca, centinaia di candele illuminano le stanze e fanno rilucere di vita propria le foglie d’oro degli specchi e degli arredi. Velluto rosso i tendaggi, marmi scintillanti i pavimenti, d’un ricco barocco le finiture.
Mi celo, e osservo nascosta.
Arrivano i due gentiluomini. Particolari, inconfondibili.
Quello coi capelli neri, legati stretti con un elaborato chignon, è abbigliato con uno stile del tardo Rinascimento, ha una maschera bianca e oro; Martyn è completamente vestito di nero, con aderenti pantaloni di pelle e alti stivali da equitazione in lucido cuoio e con una camicia a pizzi che solamente addosso a uno così può non offuscare, ma addirittura far risaltare la virilità. La sua maschera è porpora e argento.
Lasciano i mantelli al guardaroba, vanno nella Sala Biblioteca, ma è troppo vicina alla Chiesetta per i loro gusti; si spostano, nonostante il nome, nella Sala dei Vescovi, una delle più rinomate. Un solerte maggiordomo offre loro del vino, ma non prendono alcunché. Loro non bevono altro liquido che non sia il sangue.
Si guardano attorno, non c’è ancora chi loro interessa. Molte giovani donne lanciano ai due uomini sguardi carichi d’allusioni; giovani stolte che non sanno chi stanno provocando. Ai due quelle donne non interessano. Ancora.
D’un tratto l’attesa pare essere finita, tutti in sala si voltano per vedere chi sia entrato. Il Doge della Repubblica Genovese sta facendo altero il suo ingresso; quindi, a breve, arriverà anche il Doge della Repubblica Veneziana, l’ospite, il padrone di casa. E la festa comincerà sul serio perché, loro lo sanno, egli porterà con sé la giovane nipote, una fanciulla d’una beltà così delicata che pare sempre essere sul punto di spezzarsi. Ma dotata di una volontà di ferro così forte da aver già fatto capitolare Martyn più d’una volta, in passato. La fanciulla è amica del giovane vampiro dagli occhi turchini come il mare, al quale lei senza dubbio appartiene.
Finalmente ella arriva; cammina a testa alta, sottile, bella e algida come una notte d’inverno; indossa un meraviglioso abito porpora e argento con una scollatura così generosa da far voltare più d’una testa, e non solo maschile. Ha una maschera uguale in fattezze a quella di Martyn, maschera che lui le ha fatto avere. Sopra al guanto sinistro, un laccio di velluto rosso sangue è avvolto al sottile polso come un modesto braccialetto.
Il vampiro la guarda negli occhi.
Nel salutarlo, lei gli concede il collo in un gesto molto intimo. È riservato solo a lui, al suo Master; egli posa piano le labbra sulla carotide, lieve bacia l’arteria pulsante di vita, annusa il dolce profumo che emana. Iniziano, silenziosi, a ballare.
Danzano nella sfarzosa Sala da Ballo, sotto l’ègida dell’Apoteosi del Vettor Pisano, affrescato sopra le loro teste.
Durante la danza lui le indica l’amico, lei volta appena il capo; sa che dovrà offrirsi a lui perché queste sono le regole, lei è una proprietà dell’uomo affascinante e maledetto con il quale sta ballando; deve aiutarlo ad adempiere ai suoi doveri di padrone di casa.
L’ospite si avvicina ai due.
-Devi essere ospitale, Martyn. – dice al compagno, ma osservando attento l’umana. La vuole, sa che il suo desiderio, non solo sessuale, è percepibile nell’aria dall’ amico.
Martyn guarda la giovane negli occhi. Le bacia le labbra.
-Andate, ora, mia signora.- le sussurra piano all’orecchio. Lei vorrebbe chiedergli qualcosa ma lui le poggia un dito sulla bocca, scuote piano la testa. Lei raccoglie la gonna e scende lo scalone per andare nell’appartamento privato di Martyn, poco oltre.
La fa entrare un silenzioso maggiordomo; lei conosce quel luogo molto bene; va subito in camera e una volta lì è indecisa, non sa esattamente cosa fare, se spogliarsi o attendere l’arrivo del vampiro coi capelli neri vestita. Si siede sul letto, in attesa. Getta di lato la maschera, si scioglie i capelli. È bella, e lo sa.
Il vampiro arriva, con flemma ed una sua particolare eleganza. Ha la camicia sbottonata a rivelare una antica cicatrice che gli attraversa il petto. Un solco rosso, profondo su quella pelle diafana. Ne porta altre sulla schiena.
Si toglie la maschera mostrando un volto sottile, liscio. Serio.
-Levatevi il vestito.- ordina con una voce che è un fruscio d’aria glaciale, cruda
Lei ubbidisce, resta con la camiciola avorio, a nascondere il corsetto e i mutandoni; lui le fa sfilare anche questa ed ella resta con la sola biancheria intima; la invita a sdraiarsi sul letto, con gesti pacati incomincia a baciarle languido le caviglie nude, salendo adagio su per le gambe.
Lei ha freddo e paura. Lui lo sa, sente questa paura. Lo eccita di più.
La porta si apre e Martyn fa la sua comparsa nella stanza, silenzioso come un ombra. Ha il volto liberato dalla maschera, grigio è il suo sguardo. Si corica accanto alla ragazza.
-Cosa ci fai qui?- gli chiede, ma senza alcun astio, il vampiro coi capelli neri; sta accarezzando con le labbra un ginocchio della fanciulla. Le sta facendo sentire apposta la punta delle zanne affilate.
-Non avrai creduto di poter restare solo con lei, vero? –risponde il Master, scaldando subito la stanza con quel timbro vocale così serico e sensuale. Gli sorride, gli mostra di poco i denti, luccicanti e pericolosi.–Ricordati che puoi fare l’amore con lei ma non puoi baciarla sulla bocca. Lei è mia.
La ragazza ha un brivido, Martyn le carezza piano la guancia.
-Non vi morderà, state tranquilla. Adesso, spogliatevi del tutto per favore.
Essendo allacciato dietro, il rigido corsetto a stecche era solitamente chiuso da una cameriera, e per questo lei ha bisogno d’una mano per poter slacciare l’intrico del bustino, e si sa che un nobiluomo dell’epoca ha imparato, per necessità virtù, a sciogliere rapido i lacci d’un corsetto femminile per via delle intense attività extraconiugali che si svolgevano nei palazzi signorili. Martyn non è da meno, glielo slaccia con pochi e capaci gesti; lei se lo sfila del tutto liberando i seni e il respiro, poi si toglie i mutandoni di seta sotto lo sguardo indagatore dei due affascinanti vampiri.
Resta senza nient’altro addosso che il laccio rosso al polso.
Si rimette supina accanto a Martyn, le gambe ben chiuse. Il vampiro coi capelli neri le mette le mani sulle cosce, poco sopra le ginocchia.
Martyn si leva la camicia; sul petto nudo, abbaglia feroce una antica cicatrice color porpora a forma di croce, amaro ricordo d’una tortura. Si sfila i pantaloni. Anche lui già pronto, è magnifico.
Dice alla ragazza di sdraiarsi bocconi sopra di lui; lei, remissiva, lo fa, le ginocchia sul materasso, le punte dei seni a sfiorare la cicatrice; il pube è a poca distanza dal pulsare di Martyn.
Il vampiro coi capelli neri le mette le mani sulle anche, l’attira a sé da dietro senza troppo garbo; la penetra senza alcuna esitazione. Lei lo sente entrare con forza; il vampiro coi capelli neri non la fa lubrificare come accade quando invece è Martyn a prenderla. Inizia a muoversi seguendo tempi propri e ignorando quelli della ragazza.
Martyn le bacia le labbra e i capelli, le carezza lento i seni, come il dorso d’un gatto. La ragazza geme ad ogni colpo che il vampiro spinge in lei, mentre Martyn l’accarezza e la bacia, eccitato nel veder la ragazza che si dà ad un altro uomo.
Le sue mani le lisciano la schiena, i fianchi.
Le accarezza le natiche, la fenditura, l’apertura gonfia; sente l’inguine del compagno, i peli del pube, sente il proprio membro sfiorare il sesso pieno della sua amante. La bacia ancora, delicato e senza farle sentire le zanne, con la lingua le tocca piano la sua. Percepisce l’orgasmo del compagno, il suo godere, si eccita, prende la fanciulla per i capelli e le rovescia il capo all’indietro; la morde sul collo, succhia il sangue caldo e stuzzicante, lei grida appena. Si nutre, ma per poco, non vuole farle del male. La stende sul dorso, le va sopra e la penetra. Toglie la bocca dal morso e il vampiro coi capelli neri va subito a leccare avido il sangue che a gocce esce dai piccoli fori mentre Martyn affonda con il corpo nell’umana e si perde nell’oblio dei sensi.
L’altro non l’aveva fatta godere, non ne era in grado, non sa appagare i sensi d’una donna, ma lui sì. Si muove adagio in lei, sa quali corde toccare. Le bacia un seno, il vampiro coi capelli neri si prende in bocca l’altro e lo bacia feroce, tentato d’affondare i canini nella tenera carne.
La ragazza geme di piacere, si muove vogliosa sotto Martyn. Ha un orgasmo che la riempie completamente, seguito da altri due; la lingua dell’altro vampiro le esplora il corpo.
Martyn la morde ancora, è delicato come i morsi d’un cucciolo.
Finalmente anche lui esplode e lei sente l’enormità del suo essere, lo sente nel ventre e nella gola, si sente riempire della sua essenza; ma è vero che i vampiri non hanno un’anima?
Si abbandona, stanca, fra le braccia dei suoi amanti; si passa un dito sul collo, se lo sporca col proprio sangue, lo lecca adagio.
Stringe nel palmo il laccio rosso al quale è appeso, nascosto, un minuscolo crocifisso d’argento.
Una croce che lascia sulla pelle dei vampiri segni color porpora, dolorosi come bruciature.
Osservo invidiosa i tre amanti, i loro orgasmi ancora nell’aria.
Mi nascondo dietro una nube, il mio riflesso sul mare è spezzato dalla scia d’una gondola che entra in laguna. Altri amanti, altre eccitazioni.
È quasi l’alba, come i vampiri vado ora a ritirarmi, lascio il posto, come ogni mattina da quando esiste il mondo, al mio Signore.
Il Sole.