Gulfora

di  Caliban

 

 

  Il sole era tramontato ormai da diverse ore, ma la calda notte di inzio estate era illuminata, oltre che dalle lucenti stelle che ricoprivano il cielo totalmente sgombro da nubi, dai candidi dischi delle lune; la grande Isil era in pieno plenilunio, mentre la piccola Ansil avrebbe raggiunto il suo massimo splendore in poche notti.
Le ultime braci del fuoco usato per la cena stavano lentamente spegnendosi mentre due degli uomini si erano già assopiti lì accanto, riparati dietro due mantelletti a ruote posizionati a punta di freccia verso il declivio minore della verde collina la cui cima sovrastavano.
Degli altri due presenti, uno, la cui croce dorata sulla cappa viola, indicava chiaramente come comandante, si trovava seduto oltre il fuoco, la schiena appoggiata al tronco morto di un albero annerito da qualche passato fulmine, al suo fianco erano appoggiate al terreno una corta spada e una balestra pesante, la cui nera freccia incoccata rifletteva lievemente i raggi lunari.
In grembo aveva un lungo, ritorto corno da segnalazione, rivestito da lamelle d'argento, decorato al centro con l'ippogrifo rampante incoronato, lo stesso simbolo che contrassegnava le cappe a rombi viola e verdi dei tre armigeri, che tormentava accarezzandolo nervosamente con la sua mano destra, ornata da un grande anello nobiliare.
L'ultimo era in piedi, appena oltre il limite del piccolo posto di guardia, si appoggiava ad una lunga, pesante alabarda mentre scrutava la valle sottostante, oltre il piccolo rado boschetto che cresceva lungo il lieve declivio della collina.
L'alto elmo metallico, e il lungo paranaso conferivano un aspetto feroce e maturo a Valentin, un ragazzo in realtà imberbe, appena giunto ai diciott'anni e al suo primo anno di arruolamento nella compagnia mercenaria del Duca di Eastland.
Il silenzio quasi magico della notte era rotto solo da alcuni lontani stridii di uccelli in volo, e dal saltuario verso di un gufo in caccia notturna.
Improvvisamente Valentin udì alcuni rumori provenire dal bosco, passi pesanti, rumore di rami spezzati, un lieve ansito; strinse più forte l'asta dell'alabarda tra le dita respirò profondo e a lungo un paio di volte, quindi certo che qualcuno o qualcosa si stesse avvicinando rapidamente volse lo sguardo verso l'uomo seduto.
< mio signore Gunther, qualcuno si sta avvicinando alla posizione da sud-est, dal bosco >
L'uomo si riscosse dai profondi pensieri che lo tormentavano e alzò di scatto la testa, quindi in silenzio infilò la spada nel fodero al fianco e raccolse la balestra lasciando così penzolare il corno trattenuto da sottili stringhe di cuoio al fianco, quindi si avvicinò ai dormienti destandoli rapidamente.
I due, veterani esperti, in silenzio calzarono gli elmi, raccolsero le alabarde e si posizionarono dietro i due mantelletti in nervosa attesa.
Gunther si avvicinò a Valentin, e lo fece rientrare in silenzio al riparo dei due ripari mobili, quindi, mentre con la destra stringeva nervosamente l'impugnatura della balestra, con la sinistra portò alla bocca il corno, prendendo un lungo respiro, pronto a segnalare, con l'inconfondibile suono, un allarme al campo principale.
Il rumore si fece più forte, scuotendo i nervi tesi dei quattro uomini, sapevano tutti perfettamente che se si fosse trattato di un attacco avrebbero avuto giusto il tempo di suonare un allarme, quindi sarebbero stati rapidamente sopraffatti ed uccisi, quindi le loro menti erano ora pervase da visioni di morte, di sofferenza e di incomprensibile fine, mentre le loro mani sbiancavano nello stringere forte le armi e i respiri si facevano sempre più brevi e nervosi.

Infine una figura solitaria sbucò dagli ultimi alberi, camminando e barcollando verso la cima della collina.
I soldati continuarono a scrutare nel buio, ad ascoltare attenti, ma null'altro turbava la quiete della notte fuorchè quella esile presenza che si dirigeva un pò malferma verso di loro.
Quando, ormai illuminato dalla luce delle lune e a pochi passi dal posto di guardia, videro il volto di chi li aveva così spaventati, un sospiro di sollievo uscì contemporaneo dalle quattro gole riarse dalla tensione; una giovane ragazza bionda, bellissima e solo parzialmente coperta da una grigia veste a brandelli si fermò immobile, sorpresa ed evidentemente terrorizzata, a guardarli con immensi e brillanti occhi verdi.
La tensione dei quattro si liberò in un istante, sostituita da un insieme di curiosità e desiderio.
Il comandante Ghunter si mosse rapido, prima che la fanciulla potesse scappare lasciò la balestra, uscì dalla protezione dei mantelletti e con la mano destra le afferrò e strinse il polso sottile.
La sua pelle era calda, liscia, e gli sembrò quasi di poter sentire lo scorrere frenetico del sangue e il ritmico, intenso battito del cuore, il suo sguardo si posò sulle lunghe, splendide gambe che la corta e strappata veste rivelava abbondantemente, quindi sulla vita sottilissima e sui piccoli, sodi seni, i cui capezzoli sembravano voler quasi forare la stoffa per correre via nella notte.
Ma ciò che lo lasciò veramente senza fiato, immobile fu la profondità dello sguardo di lei, l'abisso di gioie e piaceri che inspiegabilmente i suoi occhi lasciavano intravedere, e si senti come precipitare in quei due verdi laghi gemelli.
I due uomini alle sue spalle, vedendolo immobile si avvicinarono, parlando tra loro a bassa voce, con gli occhi fissi sul quel corpo così perfetto, così simile ai loro più sfrenati sogni proibiti.
< chi sarà? da dove può essere saltata fuori questa? >
Disse Gart, il più vecchio, tormentandosi con la mano la lunga barba ormai brizzolata.
< dev'essere una schiava, o una serva fuggita da qualche castello qui intorno, potremmo persino divertirci un pò se non ci fosse quel damerino >
Replicò con un sussurro l'altro, mentre senza rendersene conto si mordeva il labbro inferiore e non riusciva a distogliere lo sguardo dalle forme sinuose della ragazza.
I due la affiancarono, mentre era ancora trattenuta dal comandante, la veste, sulla schiena, era ridotta in condizioni ancora peggiori; fuggendo doveva essere rimasta spesso impigliata in quei rovi dalle acide e violacee bacche così frequenti nella zona, ampi strappi rivelavano l'assenza totale di biancheria e le forme deliziose del sedere di lei erano una calamita per la mente e il corpo dei soldati, che non vedevano una donna da diversi mesi, e che una bella così forse non l'avevano mai vista.
Quasi inconsciamente Gart allungo la mano, insinuandola in uno squarcio e giungendo ad accarezzare e stringere una natica, la ragazza fece un sobbalzo, si guardò intorno spaventata, incrociando gli occhi dei due uomini, ed anch'essi videro nei suoi la promessa di infiniti piaceri, poi si divincolò gettandosi in ginocchio di fronte al comandante, abbrancandosi alle sue gambe, e con una voce dolce e timorosa gli chiese protezione.
Per Gunther l'attimo in cui perse il contatto con quegli ipnotici occhi verdi, fu come un brusco risveglio da un bellissimo sogno, sapeva di dover offrire protezione e rifugio all'innocente ragazza, il suo onore di nobile e cavaliere lo vincolava ad un comportamento esemplare in certi frangenti, e si apprestò a redarguire ferocemente i soldati, quando si rese conto che le braccia che lo stringevano, e soprattutto quel calore del viso stretto a lui gli stavano provocando una immediata e prepotente erezione.
Restò nuovamente come paralizzato dalle reazioni del suo corpo, e incredulo si rese conto che la guancia di lei stava ormai premendo forte sulla sua eccitazione, che poteva quasi sentire il calore del suo respiro attraverso la stoffa e che, ma non poteva esserne proprio certo, i denti di lei lo avessero sfiorato.
I soldati osservarono la scena a bocca aperta, il volto del loro comandante era come trasfigurato dal desiderio, inoltre gettandosi in ginocchio così la veste era rimasta scostata rivelando un sedere stupendo, che racchiudeva due piccole, umide, rosee e totalmente glabre labbra appena schiuse.
Nessuno un attimo dopo avrebbe ricordato esattamente come fosse successo, soprattutto Gunther, ma all'improvviso sentì le lunghe morbide e affusolate dita di lei che stringevano il suo membro eretto, contrastandone le forti pulsazioni, per poi tirarlo a sè e avvolgerlo tra le labbra, succhiando, leccando e baciando come preda di una sete disperata.
Persi nello spettacolo che avveniva di fronte ai loro increduli occhi, i due veterani aprirono semplicemente le mani, così che le alabarde piombarono a terra con un sordo tonfo, quindi si guardarono, e senza parlare, con solo uno scambio d'intesa di sguardi si avvicinarono alla ragazza liberandosi della sopravveste, della cotta in cuoio e dei pantaloni.
Zed si inginocchiò dietro la ragazza, e cominciò ad accarezzarla, così da vicino l'odore dell'eccitazione di lei era inebriante, due dita nodose, forti, scivolarono senza resistenza dentro, provocando l'inarcarsi della sua schiena e l'istintivo protendersi indietro dei candidi, stupendi fianchi.
Nel frattempo Gart, utilizzando abilmente il lungo e affilato stiletto che portava sempre nascosto nello stivale, con un sol gesto lacerò la veste grigia lungo la schiena, che cadde così a terra esponendo totalmente alla loro vista la meravigliosa nudità di lei.
Decisamente nessuno di loro aveva mai visto una siffatta perfezione, un corpo così sinuoso, ardente e sensuale, una pelle così liscia, quasi lucida nel riflettere la tenue luce delle lune e delle stelle, una perfezione interrotta soltanto da due sottilissime lineee scure leggermente a "v" che percorrevano la schiena dal sedere alle spalle, probabilmente cicatrici di frusta, pensò Gart, dando così credito alla sua prima ipotesi di una schiava fuggiasca.
Lei, senza smettere di leccare e succhiare, allungò la mano sinistra afferrandogli il membro duro, iniziando ad accarezzarlo, stringendolo forte, assecondandone le pulsazioni e i tremiti, intanto Zed completamente perso nell'inebriante profumo delle sue intimità iniziò ad affondare la lingua dentro di lei, alternandola e a volte unendola alle dita e penetrandola a fondo alternativamente nel culo, così tenero ed elastico, e nella fica glabra, piccola, rosea ed ormai grondante piacere.
Valentin era ancora in piedi, impietrito, l'alabarda ancora perfettamente verticale, la punta inferiore saldamente piantata nel terreno, la mano destra che stringeva spasmodicamente il manico di scuro durissimo legno.
Guardava ma era come se non riuscisse ancora a comprendere ciò che vedeva, come se una nebbia di incredulità si fosse alzata tra lui e quel lubrico, incredibile, lussurioso animale a quattro teste che si dimenava oscenamente a pochi metri da lui.
L'unica cosa che lo riportava duramente alla realtà era lo stato di intensa, quasi dolorosa eccitazione che lo spettacolo gli provocava.
Egli aveva avuto per la verità qualche esperienza sessuale, un paio di procaci ragazze del suo villaggio che si erano rotolate con lui nel fieno, con un contorno di toccamenti vari e rapidi orgasmi, e una grassa prostituta dall'alito pestilenziale con cui aveva tristemente perso la verginità, e tutto l'acconto della paga, alla prima libera uscita dopo l'arruolamento, ma quello cui stava assistendo ora andava oltre persino le sue notturne solitarie fantasie masturbatorie.
Oltre tutto una parte della sua coscienza si ribellava al fatto che, nonostante l'apparente partecipazione, la ragazza era di fatto, a suo modo di vedere, costretta dalle circostanze a comportarsi così, una fanciulla di tale assoluta e rara bellezza ed apparente innocenza non poteva che essere nel profondo disgustata da tale abominio.
Così restava immobile, con sottili gocce di sudore che piano scendevano intorno alla calotta del elmo, combattuto tra il desiderio spasmodico di partecipare e quello di fermare quella che per lui restava un'insana aggressione e liberare così la ragazza, che nell'elucubrazione mentale che ormai l'attanagliava gli sarebbe stata immensamente grata, magari persino pronta poi a fuggire con lui verso una vita di passione ed avventure.
Intanto quell'innocente oggetto delle sue fantasie, stringendolo sempre con la mano, attirò Gart sotto di se e con un unico esperto movimento si impalò sul suo membro durissimo, iniziando poi a muoversi su e giù con studiata lentezza, e spingendo indietro piano il sedere verso Zed, con un malcelato lascivo invito, senza mai smettere di far scivolare labbra e lingua con rumorosa e umida passione sull'asta del comandante, che ormai tremava vistosamente e gemeva ad ogni succhiata più profonda
Zed seguì ogni movimento con lo sguardo, mordendosi le labbra per il desiderio, quindi le afferrò i fianchi, avvicinò la rossa e gonfia cappella alla piccola e tenera apertura ancora libera, quindi con un solo potente colpo di reni entrò profondamente dentro di lei, invadendole le viscere, spingendo poi sempre più ferocemente, adeguandosi al ritmo che ormai era palesemente dettato dai sinuosi movimenti del corpo di lei, in preda ormai ad un'evidente frenesia carnale.
I movimenti dei quattro si fecero sempre più rapidi, più smaniosi, i corpi erano ormai uniti da un profondo reciproco desiderio di piacere, di sfrenata e selvaggia lussuria, un vero inno alla soddisfazione carnale, al godimento primevo.
Il primo a cedere fu Gunther, che con un urlo venne copiosamente nella bocca di lei, le cui guance si incavarono tanto era lungo e possente il risucchio con cui si nutrì di ogni goccia del suo seme, quasi gli stesse suggendo insieme anche l'anima.
Quindi quasi contemporaneamente si riversarono dentro di lei gli altri due uomini, tra forti e frequenti contrazioni delle sue bocche di piacere, che assorbirono interamente la loro essenza seminale.
A Gunther tremavano le gambe così tanto che quasi si stupì di essere rimasto in piedi, stava esalando lenti e lunghi ansiti, e mai nella sua vita si era sentito così svuotato, così distrutto, dopo quell'incredibile, indimenticabile orgasmo, abbassò lo sguardo su di lei, che stava ancora giocando con bocca e lingua sul suo membro ormai rilassato e rimpicciolito, vide i biondi capelli che come un velo le circondavano la testa, quindi la vide sollevarsi lievemente, e incontrò nuovamente i suoi occhi.
Questa volta però ciò che vide lo lasciò sorpreso, dove era certo di aver visto due meravigliose iridi color smeraldo, ora lo fissavano due scarlatte sfere di fuoco liquido, con ombre di onde nere che sembravano espandersi dal loro centro.
Poi la bocca della ragazza si aprì lentamente, sempre di più, un apertura innaturale, troppo ampia pensò la piccola parte ancora razionale del suo cervello, e quei piccoli, candidi perfetti denti mutarono in lunghe orribili e taglienti zanne appuntite; i suoi occhi e la sua bocca si spalancarono in un muto orribile grido e nello stesso istante le orride fauci si chiusero con uno scatto tremendo sul suo inguine lacerando e strappando via in un sol morso pene e testicoli, quindi sinuosamente voltò indietro il viso, mentre Gunther cadeva all'indietro urlando acutamente in mezzo ad altissimi zampilli del suo stesso sangue.
Gli altri due uomini, con la mente ancora offuscata dal piacere e dalla stanchezza restarono sbigottiti e reagirono con troppo, colpevole ritardo.
Lei si voltò rapida in ginocchio, e le mani, dalle cui dita erano spuntati neri artigli acuminati, guizzarono verso le loro gole fendendole con un unico, elegante ed agile movimento, annegando nel sangue le loro tardive grida, che si spensero in un gorgoglio orribile mentre scivolavano a terra come pupazzi cui il burattinaio ha appena tagliato i fili con un colpo di forbice.
L'ultima cosa che rimase impresso nei loro occhi sconvolti fu un volto diabolico, gocciolante sangue, con occhi rossi terribili e un feroce e raccapricciante sorriso.
Infine la donna si alzò in piedi e lo guardò.
Valentin era atterrito, non era stato capace di muovere un solo muscolo, un attimo prima aveva visto i suoi compagni indulgere nell'estasi, ora due erano indiuscutibilmente morti, e il comandante era raggomitolato in un lago di sangue, e i suoi lamenti si facevano ogni istante più deboli, e quell'essere, quella che gli era sembrata una fata volata fuori da una delle sue fiabe preferite, stava lentamente venendo verso di lui, mutando completamente.
Si fermò a poco più di quattro passi di distanza, nuda e coperta di schizzi di sangue, ma sempre bellissima, anche se la sua pelle ora era notevolmente più scura, color dell'ambra, i suoi capelli erano divenuti più neri del giaietto, quasi tendenti al blu, e corti, in sottili punte dritte che si sollevavano all'indietro, gli orecchi erano appuntiti, le labbra atteggiate in un sottile sorriso, i denti tornati misteriosamente piccoli e bianchissimi che contrastavano ancora più meravigliosamente sulla pelle ora abbronzata, e infine gli occhi, grandi e rossi che sembravano scavare nella sua anima come due spade.
Lei lo guardò curiosa, la sua natura permeata dal caos le stava suggerendo molti diverse soluzioni riguardo a quello splendido giovane esemplare di maschio umano, certo avrebbe potuto sedurlo, già ora stava lentamente soggiacendo al potere dei suoi occhi ipnotici, poteva persino lasciarlo fuggire, senza dubbio i suoi racconti avrebbero accresciuto la sua fama e leggenda, e senza dubbio avrebbe passato il resto della sua vita sognandola, svegliandosi ogni notte in preda ad incubi con lei come protagonista, e poteva nutrirsi di lui, anche se ora dopo aver consumato tre uomini la sua sete di piacere e energia vitale era momentaneamente placata.
Valentin restava ancora immobile, come paralizzato, non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi rossi che parevano divorarlo, la vide avvicinarsi senza riuscire a fare null'altro che guardare, poi vide il lieve inarcarsi curioso delle sue sopracciglia, intuì che stava pensando, vide un lieve sorriso farsi largo sulle labbra, così lucenti e desiderabili.
Fu in quel momento che, con un barlume di coscienza si rese conto di essere bagnato, un impeto di vergogna, di rabbia e odio per se stesso, per la sua debolezza lo invase, spezzando però in questo modo l'incanto che lo intrappolava, ebbe come un sussulto e ricaccio una lacrima di rabbia e il nodo che sentiva crescere nella gola.
La sua mente iniziò a vorticare, mentre prendeva rapido coscienza dell'accaduto, della probabile natura del demone che si trovava di fronte a lui, e del suo dovere di umano e soldato, e i mesi di addestramento fecero immediata presa, in pochi istanti valutò la situazione e ciò che lo circondava, quindi la distanza che lo separava dal corpo ormai immobile di Gunther, e soprattutto dal corno che giaceva abbandonato, sporco di sangue, al suo fianco.
Fu solo un'occhiata brevissima, ma non le sfuggi, inarcò lievemente un sopracciglio e la bocca assunse un aria corrucciata, era come se i pensieri del ragazzo le avessero parlato direttamente, sapeva cosa stava accadendo e ora tutto diveniva inevitabile.
Schiocco un paio di volte il collo muovendolo a destra e sinistra, quindi, con perfetta naturalezza dalle dita della mano destra sbucarono ancora lunghi sottili scuri artigli, mentre l'impercettibile mordersi il labbro inferiore tradiva un lieve nervosismo.
Muscoli esercitati da estenuanti e ripetitivi esercizi gli fecero impugnare l'alabarda sollevandola in alto a sinistra in posizione d'attacco, fece due passi avanti, quindi fintò un fendente alla testa per poi recuperare in un lampo e affondare un colpo di punta che l'avrebbe senza dubbio impalata, ma grande fu lo stupore di Valentin quando affondò nel nulla.
Veloce, si era mossa troppo velocemente, innaturalmente, sentì il suo invadente, eccitante profumo prima di vedere gli occhi rossi a poche dita dal suo viso, la mano sinistra si serrò sul manico ligneo dell'arma, proprio in mezzo alle sue mani, bloccandola, poi avvertì un profondo, incredibile dolore al petto, mentre gli artigli laceravano veste, cotta, carne ed ossa come burro, per poi fuoriuscire rapidi, ebbe ancora una fugace visione di qualcosa di scuro, pulsante, sanguinante, stretto nella mano ora alzata a fianco alla sua faccia, quindi i suoi giovani occhi si spensero, sull'espressione quasi triste del volto di lei.
Il corpo senza vita scivolò lento a terra, strusciandole addosso come volesse toccarla almeno una volta, bagnandola di sangue caldo.
Lo guardò cadere, quindi lentamente avvicinò al viso la mano, il cuore, appena strappato dal corpo diede un ultimo leggero battito, lei lo osservò facendo spallucce, quindi con pochi rapidi morsi li divorò, leccandosi anche le dita e gli affilati artigli.
Quindi si guardò intorno, e la sua attenzione fu attratta da lunghe luci che iniziavano ad apparire al confine est della lunga e stretta valle sottostante, le luci di un piccolo esercito in marcia.
Sorrise, aveva finito giusto in tempo, entro poche ore la colonna del Conte sarebbe finita proprio inaspettatamente nel mezzo dell'accampamento notturno dell'essercito del Duca di Eastland e la battaglia che inevitabilmente sarebbe seguita sarebbe stata una delle più caotiche e cruente del decennio.
Allargo le braccia verso il cielo, stiracchiandosi e ridendo, come adorava quei momenti di calma prima della tempesta, non avrebbe mai potuto ringraziare abbastanza quel giovane, stupido mago che l'aveva così incoscientemente evocata, lasciandosi perdipiù così facilmente irretire da liberarla sul piano materiale, il suo era stato il primo dei molti cuori che aveva assaggiato, e ancora ne rammentava il dolce sapore.
Con un dito raccolse una goccia di sangue dal capezzolo sinistro, la lecco, quindi chiuse un attimo gli occhi e il suo corpo fu avvolto per alcuni secondi dal fuoco, fiamme azzurre ed ardenti che vaporizzarono ogni traccia di sangue e sporcizia.
Lunghe, setose e nere ali membranose scaturirono improvvise dalle due sottili linee della schiena, quindi con un silenzioso voluttuoso sbattere, Gulfora, la succube si alzò in volo verso la valle, seguendo la colonna di armati pronta ad assistere alla carneficina.