E’ stato un piacere. (Un uomo che sa aspettare)

di   Chansonnier

 



La spiaggia verso le sei, sette di sera, quando c’è poca gente e si sta tutti meglio. Dalla vecchia radio del bar la voce di Fred (“Diamanti sparsi sulla pelle bionda, tu esci come Venere da un’onda… Tre settimane da raccontare…”). Ricordo di anni lontani, di lontani momenti d’amore. Fred gli si addiceva, anche Alberto, come Fred nel cantare, nel suo stile, nel suo modo di essere con le donne era sempre stato romantico, sensuale ma anche discreto, riservato, educato e per questo alle donne era sempre piaciuto. Gli venne in mente che proprio lì, disteso in quella stessa veranda, mentre si asciugava al sole e all’aria calda dopo la doccia, aveva avuto il suo primo colloquio con la misteriosa signora che lo salutava sempre e lui, pur non ricordando chi fosse, aveva risposto volentieri, gli sarebbe sembrato scortese non salutare e deludente confessare il suo essere poco fisionomista, tanto più che era davvero bella, alta,scura di carnagione con un gran bel sorriso bianco e ben proporzionata nelle forme. Si erano trovati accanto ed avevano parlato del più e del meno. Ferie, viaggi, mare, montagna, lavoro, le solite cose, poi Alberto era stato interrotto da una telefonata della moglie che gli ricordava cosa comprare per cena, lei si era subito allontanata ma salutandolo in un modo che gli era parso abbastanza caloroso. Finita la telefonata, con le consuete frasi affettuose che scambiava con la moglie (riuscivano ancora ad essere così, una grande complicità su molte cose, c’erano anche dei bei momenti di passione fra di loro, non frequentissimi come spesso accade dopo tanti anni di matrimonio ma casa e famiglia sono un porto sicuro per molti e non è per quello che le unioni finiscono…) mentre andava in cabina a cambiarsi l’aveva vista di nuovo, aveva stretto la sua mano asciutta, sana,forte, e le aveva detto: “E’ stato un piacere”. “Altrettanto” , gli aveva sorriso lei reclinando dolcemente il capo, quasi a significare che era stato davvero un piacere. L’aveva poi rivista altra volte ma sempre col marito, un bell’uomo giovane, piuttosto muscoloso, quello che subito si nota come un tipo sportivo, sempre di corsa e sempre a ridere e scherzare con gli amici. Lei lo raggiungeva, di solito, nel tardo pomeriggio, dopo il lavoro. Alberto, sulla sdraio, li osservava da lontano, era incuriosito, voleva capire, da qualche casuale dettaglio, che tipo di rapporto avessero, gli immancabili occhiali scuri lo facilitavano nel compito perché, si sa, le lenti scure servono a non far capire dove uno sta guardando. A volte lei si sdraiava accanto a lui su un fianco e lo accarezzava delicatamente ma lui sembrava quasi non accorgersene, continuava a parlare con altra gente, a volte allontanava la mano di lei come per liberarsi di un ingombro. Altre volte lei si metteva in un angolo da sola e lui continuava giocare a tennis sulla spiaggia con chiunque gli capitava, anche coi ragazzini, pur di essere sempre in movimento. Alberto pensava che lei rubava tempo al tempo per essere più vicina a quel marito che, al contrario, a volte appariva distratto, insofferente, chissà se lei ne soffriva, forse si era abituata, le andava bene così ma Alberto, già sulla cinquantina mentre quello avrà avuto sui trent’anni (la camilleriana differenza fra il “cinquantino” Montalbano e il più superficiale “trentino” Mimì Augello), riteneva che una donna così bella e gentile avrebbe meritato più attenzioni (“Altro che giocare a tennis io, ma forse io sono già di un’altra epoca…” rimuginava). Una serata d’agosto ma non troppo calda, di quelle un po’ umide, quando il sale che è nell’aria, la voce del mare calmo, il respiro della sabbia, un leggero vento, tutto questo sembra assalirti lentamente e risvegliare i sensi dimenticati nel consueto mare di cose giornaliere da fare. Non c’era più nessuno e se c’era si faceva i fatti suoi. La rivide, stavolta sola. Lei gli sorrise dirigendosi verso le cabine ma Alberto non le andò incontro, temendo che potesse spuntare il marito. Si alzò,come sempre, per andare in cabina a vestirsi e passò accanto a quella di lei. Non potè fare a meno di fermarsi. Dall’interno si scorgeva un brillare di occhi simile a quello di un gatto, meglio, di una gatta. La porta si aprì e quella piacevole mano afferrò quella, quasi tremante, di Alberto che, in mezzo secondo, si ritrovò in un mondo sconosciuto di pinne, fucile ed occhiali, asciugamani, ambre solari, occhialini, pettini, spazzole, un’immediata estranea intimità, come quella con lei e con il suo pareo che si schiudeva per lui, restituendogli qualcosa di una brillante gioventù. Si sedette su una di quelle assi di legno dalle quali di solito casca sempre tutto ma fu piuttosto abile, lei gli fu sopra e aderì a lui con la sinuosa eleganza di una sirena. Ad Alberto era sempre piaciuto così, sentirsi più preda che cacciatore anzi, aveva una sua teoria, che il vero conquistatore alla fin fine è la preda. Splendido mischiarsi con gli odori del corpo, con i leggeri profumi di quell’affascinante femmina che in quel momento, in quel mezzo buio conciliante, non si chiedeva perché, se era bene, se era male, sapeva solo che la sua cabina era in un punto isolato ed era evidentemente certa che nessuno avrebbe disturbato. Alberto, chiuso il cellulare per evitare una lista spesa (casomai dopo, era pur sempre un disponibile uomo di casa), assaporò ogni secondo, ogni bacio, ogni carezza e pensare di essere lui il marito, di accogliere lui quella fine mano ondeggiante sui fianchi, non del tutto apprezzata dal consorte e poi ritrovarsi quella stessa mano a giocare amabilmente con la sua virilità, lo eccitava a dovere. In quel breve spazio di tempo lei fu il suo gioco preferito di sempre,lei regina, dea, lui non schiavo ma suddito prescelto per la sua bellezza, ancora interessante sebbene attempata, per la sua gentilezza,devozione e capacità di attendere con pazienza il suo premio. La dea regina che gli alitava piano sul volto tutta la sua freschezza di elegante seduttrice, lui soavemente sottomesso a ricevere, viso contro viso, un po’ più in alto quello di lei, i dolci ordini su come farla felice (non chiedeva di meglio), toccandola delicatamente poi più intensamente prima sul collo e sulle spalle poi sui seni,sempre scendendo verso gli eden del piacere, infine penetrandola con rispetto e attenzione. Non sfigurò,anzi fu lei a precederlo nel dirgli: “Grazie” , con una vena di malinconia nella voce. Da lontano aveva capito che tipo d’uomo era, per questo aveva voluto regalare ad entrambi quell’insperato attimo di felicità.