La Chiesa
di Chiara
Tu sei lì, che mi aspetti.
Io lo so, perché è così che ti ho chiesto.
Ti ho lasciato aspettare, raccogliere i pensieri, profetizzare i miei passi.
Tacchi, voglio che tu sappia che ci sono, che sto arrivando, a puntualizzare le
mie incertezze.
Tu poggiato contro lo schienale di uno dei banchi.
Non ti devi voltare, acuisci i sensi se lo ritieni, cercami in un’ombra, nel
guizzo di una candela, ma non muoverti, non girarti, t’ho chiesto. Voglio che tu
riceva il mio piccolo regalo, per quanto misero.
Entro nella calma della chiesa, nel silenzio ascolto il cuore indecente, un
richiamo antico a fuggire, scappare via. Cerco la concentrazione, l’adrenalina
mi riporta all’ordine, la sacralità del posto, per il nostro rito segreto.
Percorro la navata centrale, tutte le chiese ne hanno, in fondo sono molto
simili tra loro.
Sopprimo il mio sguardo da bambina, quello che mi porta col naso all’insù a
cercare tutte le parti di tanta meraviglia: oggi ho un nuovo segreto da
scoprire. I miei passi sono lenti, quasi meccanici, controllati dalla volontà,
che lascia fluire la tensione senza restarne sopraffatta.
T’irrigidisci appena al loro suono, ma resti fermo, il tuo corpo non ti
tradisce, sai controllarti perché lo hai già imparato. Apprezzo, sorrido,
cercando d’immaginare i tuoi occhi, il tuo corpo trasparente così da poter
vedere il volto anche se sei di spalle. Le spalle, il cappotto, un brivido mi
percorre, mi scompongo per un attimo, così ho deciso, porterò avanti la mia
decisione, il mio capriccio, contro me e te, perché è così che voglio.
Un momento d’incertezza, i passi rallentano, forse è tutto sbagliato, forse è un
gioco soltanto mio e tu non mi stai aspettando, sei lì senza la mia volontà, sei
lì perché avevi bisogno di riposare dalla tua passeggiata, pensi ad altri
misteri da svelare o svelati.
Tu lo sai, lo senti, non fai niente, aspetti che io decida di credere in te
oppure no, la scelta è mia, niente forzature.
La chiesa continua a spostarsi intorno a me.
Devo scoprire l’effetto che fa, non posso fermarmi adesso, avrò tempo per
rimproverarmi, ma adesso devo scoprire, sono un’esploratrice e questo momento è
il mio mondo da visitare, non tu non io né la chiesa. La lucidità vacilla,
stringo forte le unghie contro il palmo della mano, mi ferisco, mi punisco della
mia mancanza.
Tu sai, senti, aspetti, non puoi fare altro, ti pieghi alla mia scelta. Alla
fine arrivo a te, dopo un percorso durato 10 anni di pensieri, anche se sono
volati in pochi secondi. Mi siedo dietro di te, m’inginocchio, umile e austera,
nella chiesa.
In una chiesa simile mi sono sposata duecento anni fa, baciato un altro uomo, di
cui ho poi diviso il letto; poi il mondo mi ha portata qua, in un cerchio
indiscreto, piccola donna che ti sta vicino, senza toccarti, ma coi pensieri ci
siamo già toccati mille volte. Accosto le labbra al tuo orecchio, i muscoli si
tendono, mi fanno male, in quella posizione, protesa verso di te, che resti
fermo, ma non impassibile.
Ti sento quasi tremare. Istinto di abbracciarti, così, da dietro, farti sentire
quanto caldo fa tra le mie braccia, il contatto dei corpi per spezzare questa
catena di desiderio. Mi limito a godere del pensiero, lasciandolo scorrere per
la schiena. E poi ti parlo, voce sussurrata, voglio farti sentire che suono ha
un libro per me.
Lascio scorrere le parole, non so cosa ti sto dicendo, ti svelerò il segreto
appena scoperto sul sagrato oppure quello nascosto nell’interstizio tra una
pietra e l’altra della strada. Tu ed io sappiamo che è possibile, siamo
scopritori di segreti. Sarà la mia preghiera a te, che come mai prima di allora,
sentirai la voglia di voltarti e stringermi forte ed io ne sarei felicissima, ma
ti ho già detto di no, così t’ho chiesto.
Voglio sentire il nostro dolore nell’essere così vicini. Voglio che tu sia
concentrato nel tuo orecchio, il leggero solletico del fiato, caldo, le
consonanti sbattono leggermente. Siamo una statua, io e te, pressoché immobili
fuori, una statua di magma bollente che defluisce da me a te e viceversa. Mi
sento tremare all’idea di quanto ho osato, entrando in questa chiesa e adesso
che i capelli ti sfiorano il volto di lato, unico contatto che sfugge al mio
controllo.
Sento il languore in mezzo alle gambe, mi fa socchiudere gli occhi un momento e
la mia attenzione si divide, il pensiero a te, alla tua personale tempesta,
nascosta sotto un po’ di stoffa, ti tradirà un giorno, non oggi, che sono qui
accanto a te, ma non posso vederti. Si consuma nell’odore dell’incenso il nostro
piccolo rito, la creazione di una magia, tutta nuova e speciale.
Poi mi allontano, mi rialzo a fatica, sofferente, sospiro piano, sento il viso
acceso, la confusione nella mente e nel corpo, sento il pavimento farsi più
vicino ed invitante, ma so aspettare, godere di questo sottile dolore, che
cresce allontanandomi, ripercorro la strada al contrario, il suono si
affievolisce nelle tue orecchie, ma riecheggia ancora a lungo, i tacchi, le
parole, il respiro. In un vortice incosciente mi ritrovo, senza capire come, al
sole. Mi sveglia dal sogno.
Torno a casa. Ai miei ricordi.