Come d'incanto

di  DanzaSulMioPetto

 

 

  Strisciando tra i pensieri, il desiderio mi cingeva e brillava sui suoi fianchi, sulla sua bocca schiusa in un indecifrabile sorriso.
“Ti spiace se mi metto comoda?” mi chiese, sfilandosi le scarpe ancor prima che io potessi risponderle.
Sollevò le gambe e il tepore delle morbide piante dei suoi piedi raggiunse il mio petto, soffermandosi alcuni istanti, giusto il tempo necessario perché lei potesse contemplare lo stupore e l’imbarazzo sul mio volto.
La sorpresa di quell’audacia improvvisa, dopo tutti gli anni trascorsi, mi inebetì, e non seppi reagire in alcun modo alla sua carezza che lentamente saliva ed al suo sorriso che mi lasciava intendere che lei avesse compreso già quali fossero i miei desideri.
Quel morbido tepore, ricoprì il mio viso ed io lo respirai con forza, inebriato da quel delicato aroma che mi riempiva, lasciandomi il desiderio di dissetarmi ancora a quella fonte di piacere.
“Ricordi la prima volta” mi chiese.
Quel giorno era scolpito nella mia memoria e non facevo altro che pensarci, assaporando quel piacere inaspettato e rivivendolo, religiosamente, nei miei sogni, nella speranza che prendesse nuovamente vita.
Avevamo solo diciotto anni, i genitori di Marika erano partiti per un paio di giorni e lei mi invitò a casa sua. Prese una bottiglia di vodka e cominciammo un gioco stupido,dopo ogni bicchierino dovevamo mettere in equilibrio una moneta sul tavolo e chi non riusciva nell’impresa pagava pegno.
“Baciami il piede” mi disse, quando non riuscii nell’impresa.
Avevo troppo alcool in corpo e non seppi trattenermi dal manifestare il mio piacere, mi aveva chiesto solo un bacio, ma io non riuscii a fermarmi, i miei baci divennero umidi e mi ritrovai a leccarle i piedi mentre lei rideva, continuando a bere e fumare, trovando sempre più piacevoli le carezze della mia lingua che scorrevano lungo le piante dei suoi piedi.
Quando il pomeriggio seguente ci ritrovammo in camera sua a studiare, ero certo che lei non ricordasse nulla a causa della sbronza, o che lo considerasse un evento di poco conto, frutto di un banale delirio generato dalla vodka. Ma ben presto Marika fece crollare le mie certezze, non appena finimmo di ripassare la versione di latino, lei mi guardò maliziosamente.
Non disse nulla, fece solo scivolare il piede fuori dalla pantofola, poi attese in silenzio, sorridendo, finché non mi vide in ginocchio davanti a lei, e sentì le mie labbra tremanti schiudersi sul suo piede.
“Leccalo” sussurrò con un tono che non seppi decifrare, a tratti dolce, o forse duro e perentorio come un ordine a cui non mi era permesso di disubbidire.
Non esitai, il suo ordine aveva dato voce ai miei desideri che vibravano già nel primo bacio con cui la sfiorai, e la mia lingua bagnò le sue dita, saggiando il sapore della sua pelle mentre lei gemeva per quel piacere.
Quel gioco divenne il nostro segreto, lo custodivamo nell’attesa, negli sguardi con cui ci cercavamo in aula, quelli con cui lei amava beffarsi di me, sorridendo soddisfatta non appena vedeva i miei occhi baciare il suolo e le sue scarpe.
Un giorno, mentre tornavamo a casa, lei si fermò, fissandomi a lungo. La strada era deserta, come sempre, quando rientravamo dalla scuola, fosse quel giorno più del solito.
Marika indossava dei sabot fucsia sotto i jeans, mi soffermai a guardare la punta che batteva impaziente picchiettando l’asfalto, poi mi inginocchiai baciandola, l’altra la sentii posarsi sul mio capo, sentii per alcuni istanti il peso del suo piede calcarlo.
Compresi allora che non mi sarei più rialzato, che sarei stato per sempre ai suoi piedi, che inginocchiandomi per strada le avevo dichiarato il mio amore e questo mi rendeva per sempre suo schiavo.
Da quel giorno Marika divenne più audace, sembrava che il suo piacere derivasse quasi esclusivamente dall’ebbrezza del potere che poteva esercitare su di me, per questo, immancabilmente, si divertiva a torturarmi.
Cominciò con piccole cose, innocenti. A scuola, dividevamo lo stesso banco, lei di tanto in tanto lasciava cadere qualcosa ai suoi piedi, poi attendeva che io mi chinassi a raccoglierlo e ne approfittava per sfiorarmi brevemente con la punta della scarpa.
Questo gioco le bastò per poco, ben presto cominciò a spingersi oltre, in particolare in presenza delle sue amiche, ebbi il sospetto che mi invitasse da lei, quando c’erano anche loro, proprio per questo scopo. Da parte mia, pur trovando la situazione imbarazzante e pericolosa per la mia reputazione, non sapevo sottrarmi al suo giogo, e una parte di me lo trovava eccitante, anche se facevo il possibile per nasconderlo a me stesso, riparandomi dietro il mio amore per Marika, che di giorno in giorno cresceva.
Quando c’erano le sue amiche Marika ostentava una certa arroganza nei miei confronti, mi trattava come se fossi il suo cameriere personale, mentre lei sedeva comodamente con le sue amiche, io dovevo servirle, preparando il caffè e portandogli da bere.
Ma il suo vero divertimento consisteva nel farmi sedere sulla sedia che restava sempre libera accanto a lei, nel suo sguardo, apparentemente distratto, leggevo l’attesa del momento in cui mi sarei seduto, un’attesa che anch’io condividevo, per poter tenere i suoi piedi poggiati sulle mie gambe.
In quelle occasioni, le sue amiche si limitarono a qualche sorriso beffardo o sorpreso, ma nessuna disse mai nulla e, col tempo, divenne tutto più che naturale.
Solo Elena, un giorno in cui rimase sola con noi, rilevò, con una battuta, quanto bizzarra e curiosa fosse quella situazione.
Non fu un caso se lo fece, Elena era una delle migliori amiche di Marika, erano talmente legate, da spingermi a dare per scontato che anche lei sapesse del nostro segreto, ma mi sbagliavo, e lo compresi quando Elena, messa alle strette dalla mia indifferenza nei suoi confronti, che vanificava ogni suo tentativo di lasciarmi intendere il suo interesse per me, mi chiese di uscire con lei.
“Sembra sia il tuo poggiapiedi” disse quel giorno, con un sorriso velenoso.
Doveva essere insopportabile per lei vedere il ragazzo che l’aveva respinta, scodinzolare come un cagnolino ai piedi della sua amica.
“Ti sbagli, non sembra, è” le rispose Marika.
“Già, si vede. Ti lucida anche le scarpe?” chiese Elena con tono sprezzante.
Marika sollevò il piede, potevo sentire l’odore di pelle del suo sabot sospeso a pochi centimetri dal mio viso e temetti il peggio.
“Certo, se ne ho bisogno, fa anche questo”.
Per fortuna il loro scambio di battute si interruppe ed Elena andò via, disgustata ed amareggiata, dopo aver costatato dal mio silenzio che ero in balia della sua amica.
“Faresti anche questo per me, non è vero?” mi chiese Marika quando restammo soli.
Non fu necessario aggiungere altro, pochi istanti dopo la mia lingua stava bagnando la pelle dei sabot di Marika, questa volta non potei negare o nascondere il piacere e l’eccitazione che quel gesto umiliante mi procurarono, Marika sembrò accorgersene ed ero certo che anche lei provasse le mie stesse emozioni vedendomi prostrato mentre leccavo con amorevole cura le sue scarpe.
“Toccati” mi ordinò.
Malgrado la vergogna, le obbedii, mi abbassai i pantaloni mostrandole la mia eccitazione ed iniziai a masturbarmi, mentre lei puntava i tacchi sulle mie spalle e si toccava a sua volta infilando una mano sotto la gonna.
Quando finii, lei leccò il mio orgasmo e lascò che io leccassi il suo tra le sue cosce, mentre fremevano stringendo la mia testa, spingendo con forza la mia bocca contro il suo piacere.
“Elena è innamorata di te” mi disse.
“Come lo sai?”.
“Me lo ha detto lei, prima che tu arrivassi. Le ho spiegato che eri mio, ma non ha voluto credermi”.
“Ora si sarà convinta” le risposi.
“Non lo so, forse ha bisogno di altre prove”.
“Tu o lei?”.
Marika poggiò la punta del piede sulle mie labbra ed attese che le succhiassi le dita, poi afferrò il suo cellulare e mi fece qualche scatto che poi mi mostrò.
“Questo basterà a convincerla” mi disse mentre le inviava le foto.
“Così mi distruggerai, quelle foto faranno il giro della scuola” l’implorai, allarmato, quando era ormai già troppo tardi.
“Lo so, ma è troppo tardi, mi dispiace” disse con dolcezza, come se davvero si rammaricasse di aver ceduto a quell’impulso.
Il giorno dopo, a scuola, mi sorpresi nel notare che non ci fossero state conseguenze per quelle foto, l’unica cosa che mi ricordava la loro esistenza, era lo sguardo colmo di disprezzo che, di tanto in tanto, Elena mi lanciava.
Marika mi aveva segnato, me ne resi conto quando la nostra storia finì ed io ritrovai a disperarmi in sua assenza, l’università, il servizio militare e la stanchezza generata dall’abitudine, o forse l’idea che nacque in lei che il nostro rapporto fosse sbagliato, ci separò per anni.
Nella disperazione cercai di rassegnarmi, non fu facile, ma infine ci riuscii.
Sei anni più tardi ritrovai Elena, l’incontrai per caso, in una nuova città, dove il caso aveva voluto che entrambi ci trasferissimo per lavoro. Inizialmente pensai che avesse rimosso gli avvenimenti dell’ultimo anno al liceo, ma presto mi accorsi che li ricordava benissimo e che anche la sua passione per me non si era esaurita, neanche dopo la delusione per le foto, che forse la ferirono solo perché non era suo il piede che baciavo.
Scoprii che lavoravamo nella stessa azienda, che pur non sapendolo, io ero un suo subordinato. Ammetto che questa rivelazione mi eccitò, Elena era una bella donna, l’avevo sempre trovata molto affascinante e, se non fosse stato per il mio amore per Marika, non l’avrei respinta al liceo.
Quando, davanti a un caffè, azzardai a chiederle se aveva notizie di Marika, lei si rabbuiò, lasciandomi intendere che non erano più amiche da tempo, forse dal giorno della foto.
Mi invitò da lei, non appena entrammo lei si tolse le scarpe ammiccando ed io mi chiesi quanto le aveva raccontato Marika del nostro segreto. Molto più di quanto potessi immaginare, come potei dedurre quando mi fece cenno di sedere sul divano accanto a lei, approfittandone per poggiare i piedi sulle mie gambe.
Da molto sentivo la mancanza di quei giochi, mi abbandonai a quel piacere ed Elena poté finalmente vedermi prostrato davanti a lei. Ero certo che aveva atteso a lungo quel momento e quando salì su di me, premendo con forza il piede sul mio viso, compresi che in quel momento lei si stava vendicando di me e che da questo nasceva il suo desiderio di dominarmi.
Le sue scarpe attendevano all’ingresso, le aveva abbandonate lì, sapevo che se ne sarebbe servita, che sarebbero state uno strumento necessario per ultimare la sua vendetta, e così fu. Le indossò e cominciò a passeggiare per la stanza mentre io la seguivo carponi. Poi tornò a sedersi sul divano e quando mi ebbe nuovamente prostrato davanti a lei, affondò il tacco nella mia schiena e mi ordinò di leccarle le scarpe.
Pur non gradendo l’astio con cui Elena mi dominava, trovai molto eccitante lucidare le sue decolté nere, da tempo mi affascinava l’idea di stare ai piedi di una donna in carriera, di prostrarmi davanti a lei non appena varcava la soglia del proprio appartamento, per poi leccarle le scarpe mentre lei, indossando ancora il suo elegante tallieur, sedeva comodamente sul divano.
In fondo il nostro fu uno scambio equo, Elena appagò il proprio desiderio di vendetta ed io realizzai la mia fantasia. Quando andai via, sapevo già che non ci saremmo rivisti nei giorni seguenti, e che una volta soddisfatto il suo desiderio di vendetta, per lei non avrebbe avuto senso continuare quella relazione.
“Questa foto mi piace di più” disse fotografandomi con il cellulare mentre leccavo le sue scarpe.
Il giorno dopo venni a sapere che era stata trasferita, che grazie a una promozione, avrebbe assunto il ruolo di dirigente in un’altra sede. Sapere che le scarpe che avevo leccato non erano di una semplice donna in carriera, ma di una dirigente d’azienda, rese ancor più soddisfacente l’appagamento della mia fantasia.
“Beh, sai che viviamo nella stessa città e non vieni a cercarmi?”.
Mi voltai e rimasi senza fiato quando riconobbi Marika, gli anni passati sembravano averla resa ancora più bella e quasi caddi in ginocchio davanti a lei, trattenendo a stento il desiderio ancora vivo in me di adorarla. In quell’istante compresi quanto fosse intenso il mio amore per lei e sconfinato il suo potere su di me.
“Non immaginavo fossi anche tu qui”.
“Come? Elena non ti ha detto nulla? Eppure si direbbe che siete molto intimi”.
Mi mostrò la foto che Elena mi aveva scattato, non immaginavo avesse tanto talento per questo tipo di fotografie, il suo scatto mi aveva immortalato con la lingua di fuori, mentre scorreva sulla punta della sua scarpa, l’eccitazione dipinta sul mio viso era inequivocabile. Arrossii, restando in silenzio.
“Alla fine è riuscita a vendicarsi, che stupida!”.
“Già”.
“Su portami a casa tua” aggiunse poco dopo “è da tanto che non ci vediamo e ne abbiamo di cose da raccontarci”.
Il mio sogno, la donna a cui sapevo di appartenere ora mi sorrideva soddisfatta e mentre nell’intimità del mio soggiorno, mi prostravo ai suoi piedi, desiderai che quel sorriso restasse con me per sempre.