La voglia e l'urlo

di  Diddy

 



Cammino con una finta lentezza verso il luogo d'incontro. Ho il cuore che mi martella in gola mentre la gente mi sfreccia accanto, alcuni si scontrano con me e, rudemente, si scusano. False scuse coi loro 'pardon' forzati ed accusatori.
Cosa penseranno del fatto che io non li guardo, che tengo il capo chino, guardando per terra? Capiranno che sono costretta?
Capiranno che il fatto di guardare all'ingiù è la mia sottomissione psicologica verso di te? Capiranno che sono tua ed ubbidisco a te? No, non capiscono, non potrebbero. Penseranno di aver incocciato in una ragazza strana che nn li ha guardati in viso.

Tra la folla e i suoi rumori sento solo silenzio, ad eccezione del ritmo costante del battere del mio cuore. Come un naturale orologio interno scandisce rumorosamente i secondi che mi separano dal tuo arrivo. Dalla tua presenza.

Ferma sul ponte, mi appoggio al parapetto assaporando la fredda brezza mattutina di questa autunnale giornata di fine ottobre. Nemmeno per un momento alzo gli occhi. Non posso. Mi hai ordinato di non farlo.
Insistentemente scandisco il mio cono visuale.
Guardo i piedi della gente che, ancora tramortita per il sonno interrotto dal risveglio, si appresta spedita a raggiungere il proprio posto di lavoro.
Osservo la conformazione del marciapiede, il parapetto in cemento e, sporgendomi, il Naviglio. Basso, sporco.

Ma non mi soffermo ad osservare l'acqua. Quando arriverai mi dovrai vedere bene, non come una ragazza impacciata che si svincola dagli sguardi inquisitori fuggendo coi suoi occhi tra le onde del canale.

Girandomi verso la folla, appoggio ambedue le mani contro il parapetto e vi poggio il fondoschiena sopra. Coi piedi uniti, un po' all'infuori per controbilanciare il mio peso, con le mani dietro ed il viso basso sembro giovane...forse addirittura infantile.
Lo sembro ma non lo sono.

Mi troverai così. Ad osservare il mare di sanpietrini che si stagliano sotto i miei piedi.
A memorizzare ogni variazione di colore, di consistenza.
A commentare tra me e me il rozzo sbozzo di ogni pietra.
A scandire le erbacce che, parassite, si insinuano dentro le giunture tra una pietra e l'altra e, come silenziose e momentanee compagne, condividono la loro vita con la roccia eterna.

Repentinamente, quasi di soprassalto, sono cosciente di un paio di scarpe che si sono arrestate davanti a me. Sarai tu? L'impeto di alzare lo sguardo e guardarti è tanto.
Quasi irresistibile. Ma mi controllo. Ci vuole tutta la mia autodisciplina per impedirmi di guardarti negli occhi, di osservare come sei. Se sei. Di guardare la tua faccia, gli occhi, i capelli, la bocca.
La bocca.
La tua bocca.

Chiudo gli occhi.
Sono ridicola, lo so.
Probabilmente ti darà fastidio ma non so che altro fare per rimanere calma. Come mai non ti sposti? Cosa starai facendo? Guardandomi, ovvio.
Mi sento anche cretina per le stupide domande che mi pongo.
Senza sosta penso a cosa starai osservando adesso. I piedi foderati dalle calze e dalle scarpe basse, quasi senza tacco - come tu avevi chiesto - o la camicia di cotone bianca, colore che non indosso mai poiché è trasparente e si vede il reggiseno sotto. Ma oggi non lo indosso.
Nessuna costrizione, eccettuando la tua.
Ad ogni folata di vento i capezzoli mi si irrigidiscono rimpicciolendosi per poi rilassarsi ancora alimentandosi col torpore del mio corpo. O forse guardi la gonna nera con il corto, pudico spacco a lato? O forse...

Ad un tratto sento la tua mano sul mento che, gentilmente, mi guida il volto alzandolo.
Apro gli occhi quando sento il tuo respiro già sulle labbra. E ti vedo. Ti vedo baciarmi.
Ti vedo e ti sento baciarmi.
Un bacio lieve, quasi casto, a labbra socchiuse. Per ora è sufficiente, le tue labbra silenziose sembrano voler dire.

"Ben arrivata"
Le uniche parole dette da te guardandomi.
Leccandomi istintivamente le labbra ti accenno un sorriso timido, sfuggevole. E ti guardo negli occhi.
Ti guardo.

Ti guardo ancora, ora inginocchiata sulla moquette rosso scuro dell'albergo, un secondo prima che tu mi acciechi con la benda di raso nero.
Ora non ti vedo più mentre stringo più forte le mie dita intrecciate dietro la nuca.
Nessun rumore, nessun gemito finché tu non mi dia il permesso. Nemmeno un sospiro. Questo è difficile. Come fare a controllarmi talmente tanto?
Ho paura di non riuscire. Ho paura di fallire.

Tu sei in controllo e mi lascio guidare, cieca ed indifesa, dal tuo potere. Dalla tua voglia.
La tua voglia che mi tocca la pelle delle braccia.
La tua voglia  insinua un dito nell'incavo della mia ascella destra, fa scorrere il dito giù per il petto costeggiando il mio seno rialzato dalla posizione delle braccia. La tua voglia indugia col dito attorno al mio seno, delimitandone il perimetro erogeno invalicabile a molti.
Ma non a te. Mai a te.

La tua voglia continua ad esplorarmi sciando tra le vette curvilinee del mio corpo. La tua voglia arriva al mio ventre e si avvicina all'ombelico, insinuando il dito dentro. Dentro al bottone del mio concepimento. Senza quel bottone la mia vita non ci sarebbe. Io non avrei vissuto per 26 anni per essere qui. Per vivere solo questo momento.

Ma la tua voglia continua la sua discesa giungendo al bordo del mio reggicalze. La tua voglia disegna il bordo nero in contrasto con la mia pelle d'avorio. Si inoltra attraverso la foresta di pizzo per giungere alla mia gamba sinistra seguendo i lacci erotici dell'indumento. La tua voglia scolpisce la mia coscia ma arresta la sua discesa. Cambia direzione e si espande verso destra.
La tua voglia percorre il mio pube liscio col dito decorandolo con curve piccole e continue. Finché arriva al mio intimo. Alla porta del mio raptus erotico. La tua voglia è la tua mano che, a coppa, sorregge il mio calice infuocato. Provoca la mia resistenza, il mio autocontrollo. Lo porta all'estremo e ne lacera le fondamenta. Mi morsico il labbro inferiore. In silenzio. Non una parola, non un rumore.

La tua voglia mi esplora lentamente, talmente lentamente che percepirti dentro di me mi sorprende e il mio corpo si irrigidisce di colpo. Scoprirti esplorare il mio ano e il mio ventre, custode del mio godimento, mi accende e mi spegne al contempo. La tua voglia, le tue dita sono fuoco che arde lentamente. Sei brace che si impossessa del mio sesso.

La tua voglia mi strappa il godimento e lo ritorce. Lo tira e ci gioca spietatamente. In silenzio, in completo silenzio. La tua voglia mi sorregge il corpo e mi spinge ad alzarmi. Mi fa arretrare e mi adagia sul letto. La tua voglia mi apre le gambe, le tende al massimo fino a quasi far male. La tua voglia mi tiene le mani ancor più in alto, bloccandomele con le tue. La tua voglia si adagia sul mio corpo e dolcemente mi penetra. La tua voglia è la tua mascolinità che mi riempie e mi infiamma, che mi appaga e mi incita oscenamente ferma e lenta e calma a gridare il mio godimento. La tua voglia è la mia disperazione, la mia voglia di gemere, di farti sentire il piacere struggente che accendi in me. La tua voglia sono le lacrime salate che mi scorrono sul viso. Lacrime di godimento.

La tua voglia è la tua bocca che, prima di coprire la mia, mi ordina "Urla, parla, godi".

E gemo, gemo di voglia dentro la tua bocca affamata.