Lesbica per un giorno

di  Diddy

 



Pedalavo più forte, cercando di andare più veloce ma, al contempo, non volevo accaldarmi troppo, perché temevo che poi avrei sudato.
Odio il sudore mi fa sentire sporca e ho il terrore di emanare un odore sgradevole.
Mi fermavo ogni tanto ai lati della strada a guardare il cellulare per controllare l'ora. Avevo dimenticato l'orologio da qualche parte, poi avrei visto che era in bagno.
Senza l’orologio, senza poter avere una chiara cognizione del tempo, mi sentivo persa.
Lo avevo avvisato, quindici minuti di ritardo, lui ci teneva alla puntualità e inoltre, se non mi avesse vista arrivare, cosa avrebbe pensato? Che avessi cambiato idea?
Non era concepibile, lo volevo davvero fare, anche se mi dava molta insicurezza. Mi sentivo incerta perché ci si aspettava che fossi forte, spavalda.
Senza limiti né incertezze e invece ero molto insicura.

Ero arrivata.
Avevo citofonato, lui mi aveva risposto con entusiasmo il solito “Ciao, Gioia”, ma questa volta con un misto di aspettativa e affettuosità.
Poi mi aveva aperto il cancello.
Avevo lasciato la bici rossa incatenata a niente, nessun palo, albero, ringhiera a disposizione.
Questo non mi piaceva, mi sentivo insicura a lasciarla così. Allora avevo bloccato la ruota posteriore con la catena come si fa con i motorini e le moto, pur sapendo quanto fosse ridicolo. La mia bici era leggera e infatti io stessa riuscivo ad alzarla con facilità. A volte avevo anche fatto quattro o cinque rampe di scale con la bici sulle spalle.
Ma non sapevo dove incatenarla.

Avevo preso l’ascensore –da sola– ero contenta che non ci fosse stato nessuno in giro neanche nell’atrio. Mi ero tolta lo smanicato, entrando nella cabina. Non mi piaceva. Era troppo grande ed ero convinta che mi facesse apparire grassa, anche se non lo sono.
Quando le porte dell’ascensore si erano aperte, al piano, e una volta uscita, avevo notato che lui mi aveva lasciato la porta aperta e quando ero entrata mi aveva ricevuta con gentilezza. E con voce pacata.
Tutta quella calma veniva tradita da due occhi leggermente spalancati e da una inedita punta di urgenza nel tono della sua voce. Era strano, perché generalmente mi si scagliava contro appena barcavo la soglia, mi sopraffaceva baciandomi con foga e mettendomi le mani sul corpo, quasi non potesse aspettare un secondo in più.
Anche se ora non mi aveva baciata, avevo notato che si era rasato e aveva un buon odore. Mi venne in mente il talco, tra tutti gli odori che conoscevo.
Avevo bisogno di andare in bagno. E volevo anche lavarmi le mani, ma soprattutto volevo scaldarle. Contemplavo usare l’acqua calda per scaldarmi anche i piedi, lo faccio spesso, poiché non ho una buona circolazione e, di conseguenza, ho mani e piedi perennemente e fastidiosamente freddi.
Poiché tardavo, da dietro la porta mi aveva chiesto, premuroso, se andava tutto bene. Dovevo far presto, ma prima di uscire mi ero abbassata jeans e mutandine e frettolosamente, senza nemmeno asciugarmi quasi alla fine dell’opera, lavata la figa.
Una volta uscita dal bagno avevo preso la mano che lui mi porgeva e lo avevo seguito su per la larga scala a chiocciola, che avevo già percorso una volta, assai più velocemente, sospinta da lui e dalle sue urgenze, e poi fino in camera.
Fino in camera.
Notai, entrando al suo seguito, la mano stretta ancora nella sua, le tapparelle non completamente abbassate, e la luce che filtrava in lame chiare tra le fessure. Sebbene, l’avessi vista solo una volta, ero riuscita facilmente a registrare le componenti al suo interno, che ritrovavo puntuali adesso, fino a sentirle quasi un punto di certezza : il televisore a cristalli liquidi, lo stereo, il Dvd player e gli altri aggeggi elettronici nella parete a destra, la porta del bagno accanto a me e il letto. Di fronte.
Un letto matrimoniale rivestito da un copriletto con una trama astratta color bordeaux o marrone, che vedevo per la prima volta e il cui esatto colore era difficile dire nella penombra. Il copriletto teso subiva una depressione, nel lato più vicino a noi, perché li c’era lei. Seduta.
Lei.

Parlai io per prima. Un “Ciao” simpatico ma sommesso, quasi non potessi reggere oltre alla penombra anche il silenzio. E lei rispose con altrettanta simpatia. Mi sentìi tirata dalla mano di lui verso il punto del letto dove si era seduto. Mi chinai a dargli un bacio in bocca mentre lui mi metteva le mani sui fianchi e, lentamente, le lasciava scendere verso il bacino.
Adoro quando mi accarezzano l’anca, proprio nel punto dove le ossa del bacino spuntano più in fuori, non so come mai, ma mi dà una carica animale. Mi staccai da lui per appoggiare la borsa e lo smanicato per terra, accanto al calorifero, inoltre mi tolsi la felpa e la appoggiai sulla borsa.
Sentii la voce di lei mentre gli diceva di far piano e mi sedetti sul letto accanto a loro. Lui era seduto tra noi due e la baciava con vigore.
Lei gli disse ancora di far piano, una volta, due. Gli chiesi una bibita, un po’ d’acqua, una coca…qualsiasi cosa purché andasse in cucina a rilassarsi, ma soprattutto a sbollire. Lei era d’accordo, voleva una birra, anzi due perché anch’io mi associai alla scelta e alla richiesta.

Uscì e io rimasi da sola con lei. Mi tolsi scarpe e calze, era un modo per rilassarmi anche se lo feci come un riflesso automatico, senza pensarci su troppo. I miei piedi freddi, erano tornati, o almeno così a me pareva a farsi di ghiaccio, mi preoccupavano, e li volevo assolutamente scaldare. Mentre mi massaggiavo i piedi le parlavo, scoprendo con sorpresa che aveva uno spiccato senso dell’umorismo, facevamo battutine su di lui, battutine semplici, carine, innocenti, più che altro per rompere il ghiaccio. Infatti, nella semi oscurità della stanza, incominciai finalmente a sentirmi più al mio agio.
Le chiesi perché lo faceva.
Lei rispose che lo faceva per lui, perché era una cosa a cui lui veramente teneva. Poi anche lei mi chiese perché io lo facessi. Per un secondo contemplai l’ipotesi di dirle della scommessa che avevo fatto con Alex anni dietro, nel Capodanno del ’98.
A casa di Alex, ubriache entrambe, avevamo scritto l’elenco delle cose da fare nel nuovo anno e, poi, una da portare a compimento prima dei nostri 30 anni. Ciucche com’eravamo, è ovvio che aggiungevamo all’elenco cose sempre più trasgressive e per noi all’epoca amorali –ciò nonostante perfettamente realizzabili– ed era per questo che mi ero impegnata poi davvero, quell’anno, a compiere tutte le cose nell’elenco e cercare di vincere la scommessa. Anche se ci eravamo perse di vista, fantasticavo sul giorno in cui l’avrei rintracciata e, assaporando il suo stupore, avrei riscosso la vincita.
Ma a lei, sedute sul bordo del letto, aspettando che lui tornasse, non parlai della scommessa. Non l’avevo detto neanche a lui, anche se con lui avevo parlato di tutto, senza inibizioni, senza tabù.
Non che fosse un segreto, o che io vivessi l’ultima sfida della scommessa come qualcosa di cui aver pudore o vergogna, ma semplicemente perché temevo che lui avrebbe pensato a me come a una sciocca. E che mi avrebbe presa in giro. Forse perché quando l’avevo detto ad un amico, tempo addietro, lui stesso aveva storto la faccia e io mi ero sentita un po’ ridicola.
A lei dissi che era una cosa che mi incuriosiva, correndo il rischio che potesse pensare che una motivazione così apparente assurda celassi il fatto che io fossi lesbica.
E, chissà, forse sotto sotto lo sono, pensai. Una lesbica in incognito.
Sconosciuta persino a se stessa.
Quando vidi che era diventata nuovamente silenziosa mi sentii in soggezione, come se mi fossi esposta troppo. Cercando di cambiare argomento suggerii di abbassare ancora le tapparelle, i miei occhi si erano abituati a quella penombra al punto di distinguere ogni dettaglio della stanza.
Lei si alzò e lo fece, e ora eravamo quasi totalmente al buio: l’unica fonte di luce era la porta socchiusa della camera. Giocosamente, le dissi di chiamarlo e di chiudere la porta, così, per scherzo,…,per vedere come avrebbe reagito
E lei lo chiamò.
Lei lo chiamò e il gioco ebbe inizio.

Ero contro la parete, accanto alla porta. E perciò non lo vidi entrare, sentì solo il suo “eccomi” –così come lo diceva sempre, enfatizzando la e iniziale– poi chiusi la porta.
Mi sentii strana nel buio totale, il nero ci avvolse tutti e tre.
Ormai non ero più così sicura che fosse stata una buona idea, volevo riaprire la porta, almeno quanto bastava per far entrare quel minimo di luce e riuscire a distinguere nuovamente i nostri corpi.
Invece feci qualche passo avanti, verso la voce di lui.
Sentii, nel silenzio totale, le sue ginocchia e mi avvicinai ancor di più, con le mani tastai il suo viso, mi preoccupai all’istante ancora delle mie mani fredde, anzi gelide.
Anche se aguzzai gli occhi non riuscii a distinguere alcuna forma ma mi chinai per baciarlo e sentii la sua lingua, e il suo odore – talco – sì, era proprio talco, non mi ero sbagliata. Non sapevo cosa stesse facendo lei, non mi arrivava alcun rumore da sinistra fino a quando la sentii parlare e avvertii un fruscio. Aprii gli occhi, cercando di forare il buio, e vidi che la porta si apriva leggermente, giusto uno squarcio, ma il sufficiente per lacerare l’oscurità della stanza. Aveva avuto la mia stessa idea, adesso riuscivo a vedere, a vederlo seduto sul letto, con gli occhi chiusi, mentre mi baciava.
Mi staccai da lui, mi sedetti sul letto e li guardai mentre si baciavano tra loro.
Poi lui si girò e con una mano mi guidò verso di lui nuovamente, per baciarlo ancora. E poi ancora si sporse verso di lei e la baciò.
Intanto mi cingeva stretta a loro con un braccio.
Mi piacevano questi baci alternati.
Mentre si baciavano, allentai la sua stretta, e mi tolsi la maglietta, lo feci automaticamente, quasi senza pensarci.
Era naturale spogliarmi mentre lui mi baciava, il bacio era un preludio ad una scopata e, generalmente, a quel punto io non potevo aspettare. Solo una volta, nella sua ditta, non c’era stata alcuna scopata.
Quella volta non c’era il tempo sufficiente, ma mi ero seduta sul bancone e lo avevo immobilizzato con le gambe. Quella volta non mi ero tolta la maglietta perché era già ben scollata di suo e perciò lui mi aveva abbassato, sformandola, la scollatura fin sotto i seni.
Poi mi aveva abbassato anche il reggiseno per baciarmi le tette, per leccarmi i capezzoli e per morderli perché di farlo io glielo chiedevo sempre. Quella volta mi era rimasta impressa nella mente perché la porta della ditta era spalancata ed ero sul bancone con le tette in fuori, tutti potevano entrare e sorprenderci.
Questo mi eccitava.
Mi eccitava proprio l’idea che potessero entrare e vedere i miei capezzoli che venivano morsicati da lui. E anche lui era eccitato, lo sentivo perfettamente attraverso i jeans, e poi il pompino che gli avevo fatto subito dopo lo aveva confermato.

Quando mi tolsi la maglietta, lui si girò e, accarezzandomi il ventre e i fianchi, slittò le sue mani dietro per slacciarmi il reggiseno. Mi trovai mezza nuda tra loro due ancora vestiti e, invece di sentirmi esposta o intimidita, mi sentii potente, come se la mia nudità mi desse una sorta di forza, un controllo su di loro.
Sapevo che ero stata io a dare inizio alle danze togliendomi la maglietta, sapevo che avevo fatto io il primo passo quando, nell’oscurità più assoluta, lo avevo baciato e questa intraprendenza mi dava potere e soddisfazione.
E il senso che fossi a controllare tutto.
Gli morsicai con dolcezza il lobo dell’orecchio, adoro farlo.
Mentre lui mi baciava i capezzoli, lo aiutai a togliersi la maglietta. Guardando in basso, vidi la sua erezione, nei pantaloni stretti.
Mai l’avevo visto così eccitato -goditela questa cosa - pensai.
Ricordai quando di questo incontro ne avevamo parlato, mesi prima, e ci raccontavamo quello che ci veniva in mente, cosa ci sarebbe piaciuto fare, lui mi descriveva come mi immaginava nella scena e cosa gli sarebbe piaciuto fare e vedermi fare. Ma io ero sempre un po’ insicura.
Lui sa che quando c’è da fare sesso io non mi tiro indietro, si ricorda che gli ho detto chiaramente che sul campo ero pronta a provare tutto, per quanto per me strano, nuovo o perverso fosse. Per questo fatto forse si era un poco sorpreso e chissà, anche divertito, nel vedermi così insicura di me stessa, del mio corpo, di spogliarmi davanti ad un’altra donna.

Non pensavo ad altro, adesso, che a liberare il suo cazzo prigioniero e costretto dai pantaloncini, infatti glieli sfilai immediatamente.
E mentre ci giocavo con una mano, lui cominciò a slacciarmi i jeans e poi a sfilare, lungo le cosce e poi le gambe, loro e il perizoma.
Lei ci guardava, leggermente appartata da noi. Quando fui totalmente nuda mi sporsi verso di lei e iniziai a carezzarle i seni attraverso il golfino. Sapevo che loro si aspettavano che fosse io a dare inizio alla lesbicata, come l’aveva definita ridendone lui, anche perché era stato molto esplicito su cosa voleva: un bacio con lingua, fondo ad affondargliela in gola e perdersi nella scoperta della sua bocca. Poi una leccata da parte mia a lei (l’ipotesi che fosse il contrario forse era da escludere, lui nemmeno l’aveva mai contemplata e sospettavo che lei si fosse categoricamente rifiutata.
A lui non ne avevo chiesto alcuna conferma su questa ipotesi. O forse era lui che non glielo aveva neanche suggerito, forse sapeva che io, la sua amica maiala, l’avrei fatto volentieri e senza troppe complicazioni.
In fine della lista dello spettacolo a richiesta, lui aveva previsto, con le lingue e con le dita, delle penetrazioni alternate, un po’ a lei, un po’ a me, poi ancora a lei e via dicendo.
Per me andava tutto bene, e dicendoglielo ostentai sicurezza e quasi spavalderia, sì, io avrei fatto tutto ciò.
Erano quasi le stesse cose che mi ero sempre immaginata di fare in questa situazione, oltretutto..
Mentre ero intenta a massaggiarle le tette ora lui la baciava con foga, poi lui che torna a baciarmi ancora e lei che si spoglia completamente.
A questo punto eravamo solo tre corpi nudi, aperti, ognuno, ai suoi due compagni di giochi .
Pronti .

La sentii ansimare profondamente mentre era seduta su di lui, la guardai mentre la penetrava, li vidi aggrappati uno con l’altra in una stretta appassionata e mentre vedevo tutto questo incominciai a eccitarmi.
Ero cosciente del calore liquido che sentivo crescermi in mezzo alle gambe, dei capezzoli che mi si inturgidivano, delle lente –incessanti– pulsazioni del mio clitoride.
Sono tutti segnali che conosco bene, che ho imparato nel tempo, particolarmente quando sono sola e si masturbo, quando non devo prestare attenzione all’uomo con cui sto scopando, quando non mi devo tormentare per fare un pompino ben fatto (la mia più grande insicurezza in quanto al sesso).
Tutti questi sintomi sono parole che il mio corpo mi pronuncia e che mi indicano puntuali che basta mezzo minuto, al massimo due, di vigorosi strofinii nel punto giusto perché un orgasmo arrivi a travolgermi all'istante.
Mi avvicinai a lui e incominciai a mordicchiargli il collo, la mandibola, l’orecchio, la clavicola e, con un tocco lieve –quasi impercettibile– accarezzai i capezzoli di lei. Poi giunse il momento di avvicinarmi a lei e baciarla sulle labbra la prima volta.
Mi avvicinai ancor di più e lo feci a circa venti centimetri da lui, piegando il collo in una posizione un po’ innaturale per permettergli di vedere bene.
Subito dopo, senza saper bene nemmeno io come, mi ritrovai davanti a lei, in ginocchio davanti al bordo del letto su cui lei era seduta, davanti alle sue gambe spalancate. Cominciai a baciare i suoi seni, aveva delle belle tette, circa la mia stessa taglia, ma con una grande areola attorno a capezzoli piccoli ed eretti.
Mi piaceva quell’areola imponente e rilassata, così materna e sensibile e tanto diversa dalla mia, che è piccolina, sembra l’areola di un ragazzo, e si restringe ancor di più quando sono eccitata. Una volta lui, mentre mi faceva le foto ai capezzoli col cellulare, li aveva chiamati tazzine da caffè. Mi aveva fotografato il seno destro mentre ero distesa sul tavolo in cucina, poi un primissimo piano della figa depilata –completamente depilata, come piace a me– e poi ancora la figa ma con le sue mani che la aprivano, esponendola allo scrutinio della lente e infine mentre mi penetrava.
Non era stata l’unica volta che mi aveva fotografata: la prima volta non smettevo di ridere, mi divertiva la voce di lui che mi ordinava di stare ferma mentre, chino tra le mie gambe spalancate, metteva a fuoco e poi quando, appoggiata coi gomiti sul tavolo, scattava mentre mi prendeva da dietro.
La volta dopo, però, ero stata io a decidere le mie pose.

Incominciai a titillare un capezzolo con la punta della lingua per poi scendere con la bocca verso il suo ventre, mi soffermai brevemente sull’ombelico e subito ripresi la discesa. Arrivata al monte di Venere mi resi conto che lei non era perfettamente depilata e infatti una cortissima bionda peluria mi pungeva lievemente le labbra.
Ecco cosa sentono gli uomini - pensai divertita.
Iniziavo a vivere l’altra faccia del sesso, la parte che –per natura– a me era stata negata. Finora.
Poggiai la punta della lingua ben umettata sul clitoride leccandolo velocemente mentre con due dita la penetravo, una penetrazione superficiale all’inizio, ma subito, sentendola ansimare, pensai bene di aggiungere un terzo dito.
E di spingermi più in profondità.
Intanto lui con la lingua mi leccava la figa, umettandola, e, speculare alle mie dita in lei, rincarando la dose come avevo appena fatto io nella sua fica, mi penetrava. Poi sostituì, quando le dita gli dissero quanto ero pronta ed eccitata, il cazzo alle sue dita.
Ero a carponi sul letto con la bocca nella figa di lei mentre i colpi di lui mi trafiggevano.
Sentii il respiro di lei diventare sempre più intenso e voglioso perciò, senza perdere tempo, estrassi le dita dalla figa e incominciai a frizionarle contro il clitoride in senso circolare. Quando infilai la lingua nella fessura sentii che il suo gusto era denso e penetrante ma ben diverso dal mio quando mi assaggio dopo essermi masturbata.
Lui incrementò la velocità e l’intensità dei colpi pugnalandomi impetuosamente tanto che lo sentii urtare contro il fondo, ciò mi procurò un lieve ma dolce, improvviso dolore al punto che riusciì a malapena a mantenere la concentrazione sulla stimolazione che con le labbra e la lingua e le dita davo a lei.
Aumentai la velocità delle dita passando a un movimento dall’alto verso il basso in modo frenetico, così come ho imparato col mio proprio corpo: prima in senso circolare e poi, all’avvicinarsi dell’orgasmo, su e giù velocemente. La sentii godere rumorosamente, e, mentre i suoi gemiti mi incitavano a fare di più, mossi freneticamente la lingua dentro di lei per incrementare il suo godimento. Mentre godeva intensamente non riuscivo a credere di averlo fatto, di esssere riuscita io a farlo, di aver portato all’orgasmo una donna con la bocca.
Ero stupita, soddisfatta.
Ma anche a scuola sin da bambina imparavo ogni lezione in fretta.

Non raggiunsi l’orgasmo. Troppo occupata a stimolarla, non mi ero lasciata andare, e neanche lui venne, lo sentivo ancora duro mentre estraeva, sfilandosi, il cazzo, umido di me, dalla mia fica.
Mi distesi a pancia in giù sul letto per riprendere le forze mentre lei si alzò, prese le lattine e, sedendosi sul tappeto ai piedi del letto, me ne porse una.
Presi la lattina, tirata la linguetta posai le labbra e bevvi tutto in un sorso, senza riprendere respiro.
Intenta a parlare con lei, giocando con la lattina vuota, sdraiata sul ventre sul copriletto sfatto, all’inizio nemmeno mi accorsi del calore del corpo di lui sopra di me.
E neppure che stava per penetrarmi ancora, ma quando si posò e si rifece strada nella figa lo sentii.
Violentemente.
Le porsi la lattina vuota e mi abbandonai al suo ritmo.
Anche se sentivo la figa lievemente indolenzita dai colpi inutilmente fin troppo vigorosi che mi aveva dato pochi momenti prima, mi fece impazzire il fatto che mi avesse presa così –senza preavviso– mi appariva molto animale.
Mi faceva sentire femmina di animale presa e soddisfaceva perfettamente la mia libido masochista.
Lui sa bene quanto io sia, nemmeno così inconsciamente, masochista,
E il mio accondiscendere in realtà aderendo al suo copione era anche un modo di dare sfogo a questa mia inclinazione.
Mi alzai lentamente per evitare che scivolesse fuori di me, mentre seguiva i miei movimenti, e mi misi in ginocchio sul letto, lasciandomi poi cadere in avanti, sorretta sulle mani aperte sul copriletto.
Adoro essere presa così.
E so che è lo stesso anche per lui, a volte sembra che gli diventa più grande dentro di me e più duro quando mi prende da dietro, piegata o carponi.
Con le sue mani a tenermi i fianchi, quasi a bloccarmi, incominciai ad muovermi avanti e in dietro freneticamente. Mi tenni in equilibrio con una mano sola mentre lascia correre l’altra sotto di me, verso il pube.
Accelerai le frizioni con le dita che avevano raggiunto il mio sesso e, dopo aver sfiorato lui che entrava e usciva, avevano fatto ritorno rapide al clitoride.
Ero molto cosciente di lei che ci osservava silenziosamente, seduta sul tappeto, distante non più di mezzo metro. Pensai a ciò che stava vedendo: nessuno mi aveva mai visto scopare fino ad ora.
Immaginandomi lei potevo vedere me stessa, a gattoni, in bilico con una mano sul letto e l’altra che si agitava freneticamente tra le mie gambe, potevo vedermi, pensami lei anche ad occhi chiusi.
Venni.
Con il diaframma su di giri che mi provocava il respiro smorzato e affannoso, il mio corpo scosso da tremiti caldi. Ritmici, successivi, ripetuti.

Sprofondai sul letto.
Lui mi lasciò.
Lo vidi sdraiarsi sul letto e lei chinarsi su di lui. Vidi la sua bocca vezzeggiare il glande, vidi la lingua percorre l’asta in tutta la sua lunghezza e vidi la punta del cazzo scomparire dentro la sua bocca.
Mi avvicinai a loro e accostai la mia bocca alla sua sul cazzo.
Tornai a guardarla e, quando vidi che lei tolse la bocca, lui esplose. Il mio primo impulso, per abitudine, fu di chianarmi ancora su di lui di prenderlo in bocca.
E’ così che corrono le mie scopate con lui, con me che lo ‘finisco’ con un pompino o lui che si masturba mentre io son lì, inginocchiata tra le sue gambe ad aspettare il mio energy drink, come lo chiama lui.
Mentre veniva a fiotti bianchi e densi, lei lo guardò impassibile.
La sua inerzia mi turbò, trovai atroce quella mancanza di contatto –di calore– mentre anche lui finalmente arrivava in porto, mentre era il suo turno di assaporare il godimento.
Perciò gli misi io una mano sull’uccello mentre veniva. Non gli ho mai chiesto se gli da fastidio o meno, sinceramente non ne ho assolutamente idea, ma mi fa impazzire sentire l’asta pulsare mentre lo sperma viene espulso.
Con lo sperma sulla mano ostentai davanti a lei un guizzo di lingua a coglierne il frutto bianco e mi alzai per raggiungere il bagno.
Tornata nella stanza, rimasi un poco sul letto a parlare con loro e poi incominciai a vestirmi –solo io– perché lui mi aveva detto che lei aveva espresso il desiderio di rimanere da sola con lui, dopo.
Pertanto mi vestiì, la salutai e usci dalla stanza con lui dietro ad accompagnarmi.
Davanti alla porta mi baciò e mi abbracciò fortemente a sé, tenendomi stretta .
“Grazie, grazie di cuore” mi disse “sei unica”. Era contento. Sorrideva.
Risposi al suo abbraccio.
- Grazie a te, per aver organizzato tutto, grazie per avermi dato la possibilità di farlo, di mettere in pratica le mie fantasie - pensai. Ma non gli dissi nulla.
Uscii dall’appartamento, presi l’ascensore e uscii in strada.
La bicicletta era ancora lì, legata solo a se stessa. Corsi subito con lo sguardo a cercarla.
Ritrovarla, rivederla lì, azzerò il senso del tempo passato in quella stanza.
Pensai, nel rivederla lì ad aspettarmi, che avrei rivisto anche ancora lui. E ancora lei.
E altre donne. Certamente.
Salii sulla bicicletta e mi resi conto che in fin dei conti non era stato forse solo un caso e il buon prezzo se ne avevo comprato mesi prima proprio una, scegliendola tra altre, con il telaio da maschio.