Cenerentola è una sgualdrina d'amore

di  ElisaN.

 



Un mazzo di rose rosse bussa alla mia porta. Me l’ha promesso da giorni. Sono cento boccioli scarlatti e al centro ne troneggia uno bianco. Leggo il biglietto: Per la passione che ci lega, per il candore del tuo spirito.
È il mio Principe. In carne ed ossa. E mi salverà, come una Cenerentola.


Camminiamo fianco a fianco per le strade di Milano. Duomo, galleria Vittorio Emanuele. E mi bacia e lo adoro. Profuma di dolcezza. Ha modi composti e i gemelli ai polsini della camicia.
San Babila e poi giù fino a Corso Montenapoleone. Apre l’ombrello, piovono gocce di ghiaccio sottile dalla cappa grigia che ci sovrasta. Mi prende sottobraccio. Non vuole che mi bagni. Lo adoro. È di un altro mondo, forse è stato catapultato da un’epoca passata. Allora la macchina del tempo esiste ed io sono veramente Cenerentola.

Due settimane di conoscenza e lo sento già squisito e fragrante. Vetrina immensa di una gioielleria. Sono accecata dall’inutilità. Lo guardo. Mi snocciola un sorriso. È il sorriso del mio Principe. Quanta armonia nei suoi lineamenti. Sembra modellato nella cera. Si passa una mano fra i capelli invitandomi a scegliere: un anello! Un tempo era la scarpina di cristallo, oggi i gioielli. Mi sta comprando ed io mi vendo. Eccessivo, ma lo adoro. E adoro il pavé bianco di Salvini, ma no quello è troppo. Dice di non aver problemi. Cielo! Mi ama e mi compra.

Ed io lo uso per anestetizzare la nostalgia del mio unico Amore. Mi distraggo e lo immagino dietro al bancone del bar, ultima sua vetrina d’esposizione alla migliore offerente. Come siamo simili, è per questo che non ci prendiamo. Già sarà per questo. Mi persuado e mi inganno.

Ah accidenti, dimenticavo, la favola della realtà, il Principe, Cenerentola e la scarpina-anello. Sì giusto, devo scegliere. Chiedo venia. Sto pensando a un altro e non a un altro qualunque. Ma non importa Principe. “Tu sei il mio etere. Addormentami fra le tue braccia e mi illuderò di essere immune al dolore”.

Mi guardo le mani. Curate con dovizia e dalle dita lunghe e affusolate. Principe la fedina in oro bianco tempestata di diamanti può bastare. No il pavé no, fra qualche anno. È troppo impegnativo e costoso. Non voglio che mi si chieda in cambio un regalo dell’anima direttamente proporzionale ad un’offerta materiale.

Quanto è dolce e affabile. Mi cura, mi coccola. Vuole che provi l’anello. Lo adoro, ma non lo farò. Sono diventata una zingara che elemosina affetto, non omaggi. Insiste senza ostinazione, con un fascino british che mi è alieno. E intanto penso al mio Amore e al suo viso. Lo cerco fra i passanti. Non lo trovo e sogno di essere la foglia di menta, le dieci, le cento, le mille foglie di menta che lui sta schiacciando sul fondo di un bicchiere per la preparazione di un Mojito. Ne avverto il profumo e mi sento svenire. Sono ebbra di amore, ma al mio fianco ho un Principe.

Lo guardo in tutta la sua grazia. Mi scosta i capelli dall’orecchio sinistro e mi sussurra un “Ti amo”, morbido e leggiadro. Rispondo con un sorriso smorzato. Il mio Principe entra in gioielleria. Rimango fuori. La fedina non la voglio, non la voglio da lui. “Amore regalamela tu, ma non d’oro, né coi diamanti. Chi se ne importa del valore. Costruiscimela con la carta stagnola o con l’involucro dei cioccolatini. Mio padre lo faceva sempre quando ero bambina ed ogni giorno ricevevo un anello. Per lui non ero Cenerentola, ma una Regina, la Regina di cuori.”

Il Principe esce dal negozio dorato. È bello e felice. Lo adoro. Mi afferra la mano e me la sfiora leggermente con la morbidezza delle labbra. Il baciamano. Vacillo dall’emozione di un costume caduto in disuso. Lo vedo sempre più distante dal mio mondo. E lo adoro.

Mi propone un aperitivo in un locale esclusivo e raffinato. Accetto. La sua macchina è elegante e profumata. Arrivati a destinazione mi apre la portiera. Lo adoro. Nessuno lo aveva mai fatto. Il mio Amore mi ci ha chiusa, dentro la sua automobile. Mi ha dimenticata. In verità non si è mai accorto di me. E rido, per non piangere.

Adoro il Principe e la sua scelta. Il locale è immenso e monocolore. Pareti, soffitto, pavimento, bancone, divani, tavolini: tutto è bianco. Un colpo d’occhio. Cado nel latte varcando una soglia. Ci viene incontro un indiano. Sono tutti indiani. Indossano lunghe tuniche in lino, il cui candore è spezzato violentemente da sari rosso fuoco. Ossimori che si ripetono. Ossimori premonitori. Verginità e Sangue. Pudore e Passione. È il mio cuore ad essere fotografato. È il mio spirito che questi sorridenti omini hanno intrappolato in uno spazio terreno.

Mi siedo e ordino un analcolico ai frutti tropicali. Il Principe racconta, si racconta con una cadenza milanese e una “erre” ingoiata. Lo adoro nell’ufficialità delle sue cerimonie. Parla, parla, parla e i cocktails ci vengono propinati in bicchieri di cristallo. Afferro il mio e ammiro l’opera d’arte. Nel boccale schiumeggia il verde dei kiwi e un profumo di esotismo viola le mie cavità nasali. Dai bordi del cristallo si sgranano perle rosse di ribes e una fetta d’ananas si tuffa nella miscela, abbeverandosi della dolce ambrosia della vita. È infilzata in uno stecchino di legno e sanguina il suo succo dalla ferita. È in bilico, in un movimento rotatorio lungo il bordo del recipiente, col rischio di schiantarsi al suolo e frantumarsi nell’asprezza del suo stesso nettare. L’ananas è la mia metafora. Cenerentola è diventata un frutto.

Il Principe decide. Decide tutto lui. E sono contenta. Non ho voglia di responsabilità. Finiamo in un ristorante. Anch’esso prevedibilmente elegante e raffinato. Ordino un’insalata. Ho lo stomaco in tumulto. Il Principe si preoccupa per il mio stato di salute. Lo adoro nella sua maniacale attenzione. Arrivano la mia scodella vegetale e al Principe piatti fumanti di pesce con salse d’arabesco. Ingoio le foglie croccanti intere, le sento scendere a fatica lungo l’esofago e cadere di prepotenza nel sacco gastrico. Cubetti di ghiaccio. Li stessi che il mio Amore sta shakerando con cola e rhum. “Sbattimi!” penso e divampo purpurea sulle guance. Il Principe mi guarda. Capisce che qualcosa non va. Paga il conto e scivoliamo fuori dal locale.

Finiamo a casa sua. L’epilogo scontato, anche per un Principe. Ed io accetto perché ho l’impellente necessità di scacciare un chiodo piantato nel cuore da tempo. Brancolo nell’oscurità. Il Principe non vuole accendere la luce. È indubbio che mi stia riservando una sorpresa. Ed io quasi ancora lo adoro. Ora ardono fiamme di candele cubitali. E scopro un attico arredato in stile arabo. Ecco l’adorabile reame del Principe. E come nel mondo musulmano, mi viene richiesto di sfilare le scarpe. I tacchi a spillo farebbero scricchiolare le assi in legno intersecate fra i mosaici marmorei del pavimento. Il Principe ha una cura esasperante di tutto e la mia idolatria per lui si sta affievolendo, consumando, dileguando. Mi riserva un’atmosfera da “Mille e una notte”. Incensi marocchini, tappeti persiani, cuscini egiziani di pelle e broccato.

Il mio corpo si abbandona fra gli agi di un mondo importato e la mia mente si rifugia nuovamente nel ricordo. L’attico diventa lo scantinato freddo e umido dove Lui ed io ci siamo amati per la prima volta e per tante altre ancora. Le candele che costellano la stanza del Principe diventano ai miei occhi i nostri mozziconi di sigarette spenti sulla moquette. Il profumo dell’incenso si sostituisce al penetrante odore di muffa. Roteo le pupille, vortico nella nostalgia del passato.

Il Principe mi tende una mano. Lo seguo, automatizzata dal senso del dovere, ma per nulla divorata da quello di colpa. Percorro la chiocciola delle scale e giungo su un soppalco dal soffitto mansardato e trasparente. Sotto un cielo trapunto di stelle si adagia un talamo, immacolato e freddo. Il Principe mi si avvicina, baciandomi con premura. Non lo adoro più. E ricordo la lingua di Lui intrufolarsi con foga nella mia bocca. E lo anelo. Il Principe mi spoglia accorto, riponendo con cura i miei abiti su una poltroncina di velluto. Mi sento annegare, non chiedo aiuto. So nuotare. Ma voglio riempire ogni mia cavità corporale della potenza acquifera. E ripenso a quanti abiti Lui mi ha stracciato di dosso e gettato in ogni angolo e a quante volte ho perso in quello scantinato qualche slip, rincasando con il mio sesso nudo e felice. E lo amo.

Mi adagio fra le lenzuola e sento che Cenerentola sta per divorziare dal Principe. Sono un corpo avvizzito e narcotizzato. Il Principe si posa leggiadro su di me. Mi bacia, ma sono la presenza assente nel suo letto. Mi penetra con il suo sesso eburneo e io mi sento trafitta da una lama. Sì, la lama del coltello con cui immagino il mio Amore tagliare con frenetica passione la carne contratta di un salume. Lo vedo distribuire noncurante i miei brandelli su piatti sbeccati. Divento lo stuzzichino di clienti affamati. E mentre il Principe mi cavalca con eleganza, mi sento masticata da denti sconosciuti e ingoiata da altri umani, come bolo privo di dignità.

Il Principe si ritira dalla mia vagina. Il suo orgasmo è stato silenzioso, il suo comportamento chic e per questo ammirevole. Raggiunge la sua giacca, frugando nelle tasche. Tira fuori un pacchetto infiocchettato e me lo porge. Sono stordita da quanto veramente regale sia l’atteggiamento di questo uomo. Scarto. Apro. Scopro: la fedina! Lo guardo. Mi guarda. Gli sorrido. Mi sorride. Non posso accettare. Non merito. Sono una zingara postulante amore, non regali. Vuole che la indossi. Lo accontento, sentendomi sporca e ipocrita. Non mi calza, mi è stretta. Lo guardo e gli dico: -Non sono la tua Cenerentola!- È sconvolto.

Chiamo un taxi e sfilo via, senza anello e libera. Del Principe adoravo l’estraneità alla mia realtà, l’astuccio che lo conteneva, la speranza che fosse la pagina voltata, in attesa di essere scritta. Chiedo all’autista del mio ennesimo “Train de vie” di portarmi davanti al bar del mio Amore. Faccio parcheggiare il taxista al di là della strada e vedo Lui, fuori dal locale, in pausa sigaretta. Incollata col viso al finestrino, sogno di essere quel filtro, serrato fra le Sue labbra, aspirato nel mio veleno, consumato dal Suo suggere. Cenerentola è diventata una sigaretta.

Cenerentola è una sgualdrina d’amore.