Tracce
di Enchantra
Appena arrivata in quell’agriturismo dove aveva deciso di trascorrere le sue
vacanze estive si era sentita più leggera: una settimana fuori dal mondo era
quello che le ci voleva per stornare da sé tutta la tensione accumulata nel suo
lavoro.
Si guardò intorno come si guarda un giocattolo nuovo, tentando di scoprirne il
funzionamento, le regole e si trovò immediatamente a suo agio.
Dopo aver preso possesso della sua camera le piacque l’idea di scoperchiare le
sorprese di quel posto e si incamminò per il vialetto che dal suo appartamento
portava nei giardini interni.
Curiosa, oltrepassò la veranda piena di fiori multicolori e di piante insolite,
fino ad arrivare ad una sorta di salotto all’aperto composto da un tavolino e
una serie di poltroncine in vimini, sotto una quercia che sembrava abbracciarla
per darle il benvenuto.
Si lasciò andare all’abbraccio confortevole della poltroncina, con la testa
quasi penzoloni, il corpo abbandonato, i piedi incrociati, le braccia
spalancate. Avrebbe voluto dire al mondo, a quel momento “prendimi” invece aprì
gli occhi e si fece corrompere dalla strana geometria dei rami, così fitti,
sopra di lei.
Non si accorse nemmeno di essersi addormentata.
Si svegliò al suono di uno scampanellìo: assomigliava tanto ad un ricordo
lontano, forse l’asilo? decisamente sì. Era il campanello che chiamava i
soggiornanti al pranzo come quello dell’asilo chiamava i bambini al refettorio.
Sorrise tra sé al ricordo.
Alzandosi pose il palmo di entrambe le mani sulla seduta della poltroncina
sfiorando un pezzo di carta lasciato, forse, da uno degli ospiti. Lo aprì e
dentro vi lesse: “dietro ogni gesto c’è un piccolo dettaglio”. Una scrittura
decisa, maschile, diretta. Non resistette all’impulso di aggiungervi qualcosa di
suo: “ogni dettaglio può essere un regalo”. E ripose il foglietto di carta dove
l’aveva trovato...
Nel ristorante dove servivano la cena Marta osservava le persone, cercando di
individuare chi poteva aver scritto quella frase abbandonandola alla pigrizia
salottiera. Anche se i clienti non erano numerosi, era troppo stanca – pure se
desiderosa di sapere – di investigare ulteriormente; decise di andarsene subito
a dormire, cullata dai grilli e dalle cicale complici di quella splendida notte
di luna piena.
La mattina seguente, dopo la colazione, ripercorse il tragitto verso il salotto
della quercia per poi raggiungere la piscina poco distante.
Il pezzo di carta bianca era ancora lì.
Peccato...
Avrebbe sperato che una mano avesse preso i suoi pensieri.
Le stuzzicava l’idea che una persona sconosciuta condividesse con lei i suoi
segreti.
O forse Marta era spinta da un altro desiderio, ancora inconfessabile a sé
stessa ma quel desiderio era lì, pronto, come un atleta è all’erta mentre
attende lo sparo del “via”...
Rubò di nuovo il pezzo di carta decisa a tenere per sé quelle parole
abbandonate.
Si distese sul lettino a bordo piscina scarmigliando con la mano quel ciuffo di
capelli biondi che le si rovesciavano ribelli davanti agli occhi. Aprì il suo
libro preferito intenzionata a godersi, finalmente, il sole e l’aria fresca di
quella campagna toscana quando il biglietto di carta le scivolò sul grembo. Lo
aprì, desiderosa di rileggere la sequenza delle due frasi.
Sorpresa.
Era cambiato.
“lui” le diceva: “impaziente dei piccoli dettagli che mi regali”...
il respiro fermo, il cuore un cavallo impazzito, una vampata di calore che ad
irrorarle le guance...
Marta, frenetica, prese una penna e continuò: “delle parole che ti scrivo o dei
pensieri che celo?”
Corse alla poltrona. Posò il foglio. Quasi correndo tornò indietro temendo che
“lui” potesse vederla. Ma cosa temeva? che lui la vedesse? che potesse cogliere
nel suo sguardo l’espressione dolce della sua femminea furbizia? Si sentiva
scandagliata... ma aspettava altro. Sapeva esserci dell’altro.
Si sentì vivere in questo stato tutto il giorno
Fino a sera inoltrata quando tornò all’appuntamento di penna.
Afferrò al volo quel biglietto, le mani tremanti, le carni in subbuglio. Si
appoggiò al lampione sul vialetto e lesse solo un numero di cellulare e
l’indicazione: “regalami i tuoi coriandoli colorati come fossero piccoli pezzi
di te”.
Il pensiero le irruppe dentro la testa fulminando contemporaneamente le sue
viscere: lui voleva vederla, sì, ma poco alla volta, come si fa con un regalo
appena ricevuto di cui si vuole gustare l’attesa...
Era il gioco che lui cercava.
Il gioco e lei...
Entrò nella sua stanza stringendo il biglietto dentro il suo pugno. Le spalle
alla porta. La luce ancora spenta, tranne quella esterna che si allungava fino
al divanetto di fronte al suo letto.
Ed è su quel divano che preferì sedersi nello struggimento di un arcobaleno
colorato.
Accesa la luce, prese il suo cellulare e scattò la sua prima immagine: i suoi
piedi. laccati di rosso scarlatto. impreziositi dalla anclette d’oro che le
incorniciava una caviglia. avvolti in saldali dalle fasce sottili.
- aggiungere destinatario – numero – invia...
una piccola incertezza, un lieve tremolio nella mano...
Foto inviata...
Non dormì quella notte, impaziente di ricevere una risposta, un cenno di
riscontro e ad ogni rumore esterno sobbalzava, sperando fosse “lui”.
L’alba la trovò ancora sveglia, intorpidita.
Si tolse quel che le era rimasto indosso dalla notte precedente raccattando la
sua biancheria che aveva gettato rabbiosamente dopo essersi accarezzata a lungo,
immaginando che la sua mano fosse la mano di “lui”.
Subito in costume da bagno.
Subito in piscina per togliersi di dosso il sapore di una sconfitta.
Non c’era ancora nessuno in piscina, così si gustò l’acqua fredda del mattino,
corroborante come non mai.
Tornando al suo appartamento lo trovò: il “suo” biglietto era lì...
Lo lesse mentre correva nel suo rifugio e lì, golosa, lesse: “sempre più
impaziente di vedere i tuoi colori, i pensieri che celi dietro i gesti che mi
regali”
Si percorse il corpo con la mano leggendo e rileggendo le sue parole. Offrì le
sue labbra all’obiettivo e inviò.
E la sequenza continuò con la sua mano.
la spalla, l’incavo del collo.
I suoi occhi.
un pezzo alla volta voleva appartenere a quest’uomo, così sconosciuto ma che
sentiva variegato, di colori vividi, intensi, luminosi.
Sentiva di essere il suo puzzle, dove tutto era mescolato.
Senza un ordine.
Per lui non aveva importanza l’ordine in cui Marta gli si offriva allo sguardo:
l’importante era averli per avere lei.
Voleva regalargli pepe, il gioco, due occhi che lo guardavano furbi, il rumore
di una doccia in sottofondo, una bocca avida che avrebbe cercato la sua.
A questo pensava quando le arrivò un messaggio :”voce.ora.qui”
Come poteva parlargli in quelle condizioni?
Compose il numero. due squilli. una voce, la “sua” voce che assomigliava a
quella di un bambino, dolce, accogliente, avvolgente, irriverente.
“mi piace quando ti fai guidare”, disse lui
“anch’io, ma altrettanto amo guidare...” rispose lei “ho la gola secca” proseguì
Marta
“non c’è ragione di sentirti così, ti darò da bere il mio arcobaleno”
“sì”... il sussurro di Marta era stato quasi impercettibile ma “lui” lo sentì
ampliato, quasi come se fosse sull’orlo di un precipizio, in cima allo tsunami
per farsi schiantare di lì a poco...
Lui chiuse la comunicazione.
Marta rimase incollata al cellulare come se non volesse dimenticare la
piacevolezza del suo contatto vocale.
Non sapeva chi fosse, dove fosse.
Ma doveva dormire.
La mattina seguente si svegliò tardi ma si attardò davanti allo specchio: aveva
una luce diversa negli occhi, come una sorta di faro clandestino che le
accendeva i sensi.
Uscì per andare in piscina.
Sulla poltroncina della quercia trovò il biglietto e una busta bianca contenente
due cornetti appena tiepidi: “vuoi dividerli con me? stanza n. 12”. Due
appartamenti più in là dal suo... solo pochi metri...
Si precipitò verso la “sua” stanza. Bussò, leggera ma decisa, sorridendo fra sé
e perfino alla signora delle pulizie, fregandosene del suo giudizio.
- “avanti” – lui disse
La stanza era in penombra. Nessuno rumore tranne lo scroscio della doccia e un
leggero profumo di vetiver nell’aria. Si riempì i polmoni di questa essenza
agrumata come si assaggiano i tratti istantanei delle persone che incrociano il
nostro naso.
Capì che “lui” era sotto la doccia.
Posò i cornetti e si infilò sotto le lenzuola, completamente nuda, tirandosi le
coperte fin sopra la testa. In attesa.
Non si accorse che il rumore dell’acqua si era dissolto nell’aria tanto il
respiro le si era fatto affannoso.
Non sentì nient’altro che una folata di aria entrare nel letto, accompagnata dal
calore di un corpo estraneo ma piacevolmente conosciuto. Sentì le sue labbra
dischiudersi sotto una dolce pressione, le mani di lui cingerle il corpo,
dondolarsi tra le sue curve, attardarsi tra i suoi anfratti nascosti. Sentì il
“suo” corpo abbandonarsi completamente a lei, infilarsi sotto di lei, le braccia
alzate in segno di resa.
Nessuna parola, solo due bocche avide di miele. di umori. di un amplesso
consumato senza parole nel silenzio di sorrisi complici.
Non sapeva che ora fosse, non sapeva se essere affamata, forse ancora di lui.
Ma si alzò mentre lui era ancora abbandonato nel letto.
Marta gli sorrise, mentre i suoi occhi furbi dietro gli occhiali gli davano
appuntamento ad un altro giorno, in un altro momento.
Sorrise ancora, chiudendo la porta alle sue spalle