Ognuno ha i suoi sogni per restare a galla
di  Farfallina

 

 

  La curiosità verso un maestro dell'arte qual è Edward Hopper (caposcuola del Realismo americano), mi è nata quando, sulle pagine del Corriere della Sera, ho letto una intervista a Vittorio Sgarbi che, a proposito della mostra dedicata all'artista nel polo espositivo di Palazzo Reale a Milano, sosteneva quanto segue:

- Hopper è come Caravaggio.
E' dentro di noi, perché dipinge la solitudine come chiave dell'esistenza.
Nelle sue tele, inondate di luce abbagliante, c'e' la difficoltà delle relazioni,
la dimensione di persone destinate all'incomunicabilità.

La prima cosa che ho fatto, dopo avere letto l'intervista a Sgarbi, è stata quella di documentarmi. Ho preso a prestito dalla biblioteca comunale più di un volume riguardante l'artista, dopodiché ho cominciato a guardare le fotografie dei suoi dipinti molti dei quali mi erano già noti.
Dei quadri di Hopper, più di qualsiasi altro suo dipinto, avevo impresso nella memoria "Nighthawks": il più famoso e carico di significati. La tela ritrae una tavola calda, di una qualsiasi metropoli americana, trasformata in un luogo da nottambuli dal vuoto della strada che la circonda tutt'attorno. Osservando l'immagine di questo dipinto, come accade con gran parte delle sue opere, si resta sorpresi nel costatare che la tela non è vuota, ma riempita di silenzi.
Una tela che nel mio immaginario ho sempre associato a "Tre camere a Manhattan" uno dei più famosi romanzi di Simenon, scritto dall'autore francese durante il lungo soggiorno americano. E' assai probabile che il merito o la colpa di questo collegamento, immagine e libro, stia nella sostanza intrinseca della storia raccontata da Simenon nel suo romanzo. Sì, deve essere per forza così.

Ieri mattina, approfittando di un paio di giorni di riposo dal lavoro in ospedale, sono salita sul treno interregionale delle 9.06 in partenza da Parma e diretto a Milano. Ho preferito non rivolgere a nessuna delle mie amiche l'invito a seguirmi nella metropoli milanese perché, a dirla tutta, quando mi muovo per fare visita alle mostre d'arte preferisco andarci sola, anziché accompagnarmi con delle persone, seppure amiche, questo perché potrebbero distogliere la mia attenzione verso le opere d'arte.
Sono salita sul treno con dieci minuti di anticipo rispetto l'ora di partenza del convoglio dalla stazione ferroviaria. Ho occupato una poltrona nella fila a destra della carrozza ferroviaria, accanto al finestrino, evitando in questo modo di essere disturbata dai raggi del sole che, sull'altro lato della carrozza, sapevo mi avrebbero infastidito durante la lettura di un testo, sulle opere di Hopper, che mi ero portata appresso.
Soltanto alla partenza del treno la carrozza si è affollata di viaggiatori. Strano, ma nessuno è venuto a occupare la poltrona di fianco alla mia né a sedersi sulle due di fronte. Soltanto alla fermata di Fidenza, 20 km. dopo la partenza da Parma, un uomo, salito dalla piccola stazione, si è seduto sulla poltrona di fronte alla mia. Lì per lì non ci ho fatto molto caso, immersa com'ero nella lettura del libro che mi ero portata appresso. Soltanto quando si è rivolto a me, porgendomi una domanda, ho sollevato il capo e l'ho guardato con una certa curiosità.
- Va a Milano alla mostra Edward Hopper? - ha detto.
L'uomo, pantaloni e giacca grigio fumo di Londra, cravatta celeste annodata al collo, scarpe inglesi, mostrava d'avere suppergiù cinquant'anni. Capelli brizzolati, barba rasata di fresco, era vestito come un rappresentante o un commesso viaggiatore. E' questa l'impressione che ne ho ricevuto quando ho scorto la grossa borsa di cuoio sistemata sulla poltrona alla sua destra insieme al soprabito piegato in due.
- Sì. - ho risposto senza dilungarmi per non dargli troppa confidenza.
- E' una occasione unica, sicuramente da non perdere. Ho visitato la mostra la settimana scorsa e ne sono rimasto entusiasta. C'è chi considera Hopper il più grande pittore americano di tutti tempi. Lei cosa ne pensa?
- Sono abbastanza impreparata sull'argomento. Tutto quello che so di quest'artista l'ho appreso leggendo dei testi come questo. - ho detto facendo cenno al libro d'arte che stringevo nella mano. - Mi ha incuriosito una intervista rilasciata da Sgarbi al Corriere della Sera a proposito di Hopper e ho deciso di fare visita alla mostra che il Comune di Milano a dedicata all'artista. Quello che posso dire è che sfogliando alcuni libri d'arte sono rimasta affascinata dalle sue opere.
- Beh, bisogna dire che la popolarità che ha assunto Hopper non deriva tanto dal suo stile pittorico, come è invece è accaduto a molti pittori vissuti prima di lui. Mi riferisco agli impressionisti, ai futuristi, oppure ai surrealisti, ma la risonanza è dovuta all'atteggiamento che mostra verso i soggetti che dipingeva.
- Sì, può darsi, non lo so, ma se lo dice lei...
- Ci ha fatto caso che i colori delle sue composizioni sono brillanti, ma non trasmettono calore?
- Glielo saprò dire dopo che avrò visitato la mostra. Le immagini che ho visto fino a ora sono quelle stampate sui libri d'arte che in queste settimane ho avuto modo di sfogliare. Ciò che ne ho desunto è che il pregio delle immagini sta nel loro forte realismo.
- E' vero quello che dice lei. In effetti, prediligeva dipingere paesaggi reali di vita urbana o rurali, ma se ci fa caso in quei dipinti è facile scorgere qualcosa di trascendentale perché a chi li guarda, e se ne accorgerà visitando la mostra, sanno comunicare un forte senso di inquietudine. Non è così?
- Sì, è vero, anche a me le immagini dei suoi dipinti, perlomeno quelle che ho visto stampate sui libri, hanno trasmesso inquietudine. - ho detto sorpresa da questa mia considerazione.
- Angoscia e paura. E' questo ciò che ho provato durante la visita alla mostra di Palazzo Reale allorché mi sono trovato di fronte alla solitudine di certe immagini.
- Humm... spero di riuscire a provare le medesime emozioni.
- Ci ha fatto caso che la scena ritratta nei suoi dipinti è spesso deserta? Rare volte vi è rappresentata più di una figura umana. E quando ce n'è più di una questa sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità tra i soggetti che compongono la scena. Tutto questo ne accentua la drammatica solitudine.
- Leggendo questo testo d'arte. - ho detto mostrandogli il libro che stringevo fra le dita. - Ho appreso che il suo era uno stile personalissimo. Ma sarà vero che il suo modo di ritrarre le cose e le persone è stato, ed è tutt'oggi, imitato da molti fotografi e da cineasti?
- Penso di sì. Famosi registi si sono ispirati, in alcune pellicole, alla sua struttura pittorica. Per farle un esempio posso ricordarle Hitchcock con "La finestra sul cortile" e "Psyco". E poi... David Lynch, Robert Altman, Wim Wenders, Aki Kaurismäki e tanti altri.

Non ho impiegato molto a capire che la persona che mi stava seduto dinanzi non era un uomo qualsiasi. Avrei voluto approfondire il discorso che avevamo cominciato, certa di trovare in lui un ottimo maestro, quando, tutt'a un tratto si è alzato in piedi. Ho fatto appena in tempo a rivolgergli una domanda, l'ultima, prima che si dileguasse nel corridoio dello scompartimento sottraendosi alla mia vista.
- Ho letto che sapeva "dipingere il silenzio".
- Penso che dipingesse coloro che giudicava sconfitti e superati dall'avanzare della società moderna, gente che non poteva rapportarsi psicologicamente con gli altri. Ha mai letto niente di Raymond Carver? Beh, nei suoi racconti c'è molto di Hopper. Ma adesso la saluto perché siamo prossimi a Piacenza e io devo scendere dal treno.
Ha raccattato la borsa di cuoio e il soprabito depositati sulla poltrona davanti a me. Prima che si dileguasse nel corridoio dello scompartimento l'ho salutato. Lui mi ha dispensato un sorriso e si è allontanato.
Dopo che il treno ha arrestato la corsa alla stazione di Piacenza ho guardato fuori dal finestrino e ho scorto sul marciapiede la figura dell'uomo che poco prima stava seduto di fronte a me. Camminava spedito sulla pensilina diretto verso il sottopassaggio che conduceva all'uscita della stazione ferroviaria. Elegante, con la borsa di pelle stretta nella mano, l'ho inseguito con lo sguardo fino a quando è scomparso alla mia vista. In quel momento mi sono chiesta chi fosse in realtà quell'uomo. Non poteva essere un rappresentante, né un commesso viaggiatore, ma chi era allora? Poi ho ripreso a leggere.

Palazzo Reale è uno dei poli culturali più importanti di Milano. Sorge al centro della città a ridosso del Duomo. Un centro espositivo immenso e di grande prestigio che ho avuto modo di visitare in più di una occasione in concomitanza di mostre d'arte.
Dalla stazione ferroviaria, servendomi della metropolitana, ho impiegato una decina di minuti per arrivare a Piazza Duomo. Nemmeno il tempo di perdermi a guardare le guglie della Cattedrale che già ero all'ingresso della mostra antologica di Hopper al primo piano del palazzo.
E' stato guardando le immagini dalle atmosfere rarefatte delle grandi città americane, e quelle dei personaggi tristi e soli, carichi di attese, rappresentati nelle tele esposte nelle diverse sale della mostra, che sono rimasta stregata da Hopper. Nel suo modo di dipingere, molto simile a quello di un voyeur per come ha saputo guardare le cose e le persone, ho trovato qualcosa di surreale.
Tutt'a un tratto la solitudine di quei sobborghi anonimi, la rappresentazione di una vita silenziosa e calma, mi hanno fatto tornare alla mente le parole dell'uomo incontrato sul treno quando, prima di salutarmi, mi aveva fatto cenno a Raymond Carver, uno scrittore americano cui sono particolarmente affezionata.
I suoi racconti, come nelle scene dipinte da Hopper, dove i personaggi si mostrano sempre in attesa, sono dei veri spaccati esistenziali, spazi, lassi di tempo, dove non accade mai nulla. Mettere in relazione Hopper a Carver mi ha emozionato. Mi sono trovata a pensare a entrambi perché, seppure in modo diverso, sono capaci di mostrare a chiunque sappia cogliergli, aspetti della vita quotidiana a prima vista irrilevanti o deprimenti, mentre invece non sono, affatto, così come appaiono.

Alle 17.00, prima di salire sul treno interregionale diretta a Parma, mi sono attardata davanti a una delle rivendite di giornali per scegliere qualcosa da leggere. Dall'edicolante mi sono fatta consegnare un paio di settimanali di gossip desiderando distrarmi durante il viaggio di ritorno. E' stato leggendo un articolo su "DiPiù" che ho ricevuto una delle più grosse delusioni della mia vita.
Scoprire che Paul Newman, l'uomo dagli occhi azzurri, il cui poster ho mantenuto appiccicato alla parete della mia cameretta negli anni della adolescenza, è stato stregato in gioventù dal fascino di Marlon Brando e che i due sono stati amanti, mi ha fatto male.
L'estensore dell'articolo, facendo riferimento a una biografia uscita di recente in America, (autore Darwin Porter) asserisce che l'attore americano oltre ad amare le donne ha avuto a cuore anche molti uomini, e mantenuto delle grandi passioni per alcune stelle del cinema a partire proprio da Marlon Brando, e poi James Dean e Sal Mineo.
Ma la relazione più appassionata, a detta del biografo, è stata una dipendenza sentimentale per Steve Mc.Queen, uno dei più popolari attori americani tra gli anni 60 e 70. L'estensore dell'articolo, a proposito di Steve Mc.Queen, considerato un sex-simbol da uomini e donne, scrive che l'attore aveva cominciato a prostituirsi già all'età di tredici anni, molestato dai clienti della madre prostituta, e divenuto molto presto un puttano per uomini.
Ognuno ha i suoi sogni per restare a galla e non affondare nella vita mediocre di tutti i giorni. Io non ne ho più.