Altrove
di GiuliaSays
C’è stato un altrove, in un tempo diverso da questo, in cui ti limavi sui denti
un’unghia spezzata e aggiustavi con l’altra mano il fastidioso filo del tanga
incastrato tra le chiappe.
Non c’era classe in tutto ciò, ma una certa poesia sì, mentre aspettavi annoiata
imbronciata altezzosa vicino alla portiera di un’utilitaria nera. E sul broncio
sfrontato spuntava un mezzo sorriso ogni volta che il vento scompigliava i tuoi
riccioli rossi e te li rovesciava davanti agli occhi, lasciandoti al buio per un
istante oltremodo breve, che la luce per te era sempre un po’ troppo intensa e
volgare, anche in un crepuscolo nuvoloso come quello. Camminavi scomposta su
tacchi mai abbastanza alti, vacillando imperfetta e ballerina, perché
nell’attesa, che durasse un’ora o dieci minuti soltanto, non c’era mai tempo a
sufficienza per pensare. Poi lo sentivi arrivare da lontano, perché qualcuno
arrivava ogni volta, e preparavi il tuo sorriso migliore, che mica sempre era
finto. Gioivi davvero, luminosa dietro al trucco pesante, di ogni nuova presenza
virile e concreta che si affacciava dal finestrino della sua auto e ti rubava
con gli occhi. Ne hai visti d’ogni età, stato civile, stazza e fantasia. Ricordi
poco i volti sbiaditi e rarefatti, ma i cazzi, quelli no, quelli li rivedi
ancora in tutti i dettagli come una fila interminabile di soldatini
sull’attenti, che a ripensarci oggi ti viene anche un po’ da ridere. Però in
quell’altrove non ridevi: guardavi e capivi, e c’è chi si è sciolto in lacrime
dentro un tuo abbraccio stretto, e poi ti ha picchiata perché ti sentissi un po’
umiliata anche tu. Ma non hai mai abbassato gli occhi grandi disillusi e nessuno
ti ha mai vista tremare.
C’è stato un altrove, in un tempo diverso da questo, in cui rimanevi nuda col
tuo mistero esibito e la gelosia ti accarezzava lo stomaco ogni volta che vedevi
una fede al dito di chi ti stava toccando. E le mogli ignare non erano mai
poche. Non c’era classe in tutto ciò, ma una certa poesia sì, che l’amore ha
tante facce e tu li hai amati tutti con la stessa intensità. E se ti pagavano
era solo per gioco, perché tu li avresti succhiati e stretti tra le tue natiche
lo stesso, comprensiva di comprensione ed affamata di fame come eri. Qualcuno
l’hai anche baciato, a volte, lenta e soddisfatta del sapore di una lingua, così
diversa dal gusto del seme denso che era la tua acqua ed il tuo ristoro. E
qualcuno ti ha baciata, pure, abbandonato e quasi perso nelle tue braccia salde,
tanto che alla fine non sapeva più dov’era. Li hai riportati a casa smarriti ed
increduli, nuovi ed irriconoscibili e molte donne ti hanno ringraziata senza
sapere di dover essere grate a te. Potevi essere diversa e distante, rinchiusa
in una logica di dare ed avere, gelida e sdegnosa nella tua superiorità, ma non
ci sono vie di mezzo per chi incarna il compromesso peggiore, d’esser donna e
uomo insieme, com’eri tu in quell’altrove dove tutti cercavano e volevano
proprio te, per via di quel segreto che svelavi a chiunque ti offrisse mezz’ora
di intimità nella sua auto di seconda mano. C’è stato un altrove in cui non
provavi imbarazzo né vergogna a vacillare ballerina su tacchi mai abbastanza
alti in una attesa senza tempo per pensare. Ma quell’altrove è lontano.