Conosco Ilaria da una vita
di Liviana
Ne ho condiviso grandi gioie, speranza, amori, delusioni. L’ho vista crescere
sia nel fisico che nella mente. L’ho vista guardarsi allo specchio con la
preoccupazione negli occhi per la giovinezza che svaniva. L’ho vista piangere
mentre sfioriva e l’ho vista ancora uscire dalle macerie dalla sua vita
crollatale addosso dopo il divorzio.
Se suo marito l’avesse lasciata per una donna più intelligente pazienza, ma se
n’era andato per una più giovane e di questa cosa non riusciva a darsi pace.
Ho visto Ilaria sfiorarsi il seno un po’ cadente, nuda, davanti allo specchio e
titillare i capezzoli scuri e larghi. L’ho vista con una mano tra le cosce,
nella vasca mentre si faceva il bagno, per lavare i pensieri tatuati addosso.
Cercava il sapone miracoloso nella masturbazione. Aveva trovato una smorfia
quasi di dolore nell’orgasmo e poi le lacrime che avevano perso il sale e
lasciato solo l’amaro della sconfitta.
Ho visto Ilaria bussare timidamente alla porta del loft di Luther, più decisa a
scappare che ad entrare.
Ho visto la luce che le ha illuminato il viso quando la porta si è aperta e quel
vecchio pittore le si è parato davanti scocciato con un da far scappare anche un
cane rabbioso. Poi un cambiamento nello sguardo, una sfida forse.
“Ilaria?” aveva chiesto quella voce da basso che lo distingueva.
Luther era un ritrattista abbastanza quotato, naturalmente con una buona dose di
pazzia nel sangue e di genialità nello sguardo.
“Entra, siediti su quel divano, levati un indumento, ma solo quello che vuoi tu,
posalo per terra e guardalo. Rimani ferma fino a quando te lo dico io. Puoi solo
parlare.”
Luther, un oscuro omone sulla cinquantina, aveva uno sbaffo di tempera sulla
barba incolta.
Ilaria aveva seguito le istruzioni alla lettera levandosi, con non poco
imbarazzo, i collant anche se non aveva ancora deciso di diventare la modella
che quello strambo personaggio cercava.
Ma, come aveva scoperto in seguito, non era stata lei a scegliere ma Luther ad
accettarla.
Le si era parato davanti col sedere posato su una vecchia seggiola sbrindellata,
accavallando le gambe e posandovi sopra un blocco da disegno. L’aveva guardata
negli occhi iniziando a far scorrere la matita dalla spessa punta sul foglio un
po’ giallastro.
La mente di Ilaria si era fissata stupefatta sul movimento della mano che
scivolava sicura e soave. E in pochi tratti si era vista riprodotta su carta. Ma
quella non era lei, quella era una donna desiderabile: non grassa ma morbida,
non vecchia ma matura, non stanca e depressa ma eccitata e inquieta.
“Quella non sono io” aveva sussurrato Ilaria.
“Ah no? Allora torna domani e porta te stessa.” Aveva chiuso di scatto il blocco
e così l’aveva congedata.
Ho visto Ilaria rimanere sconcertata ma l’ho anche vista tornare l’indomani con
la sfida negli occhi.
Luther aveva aperto la porta senza scomporsi, l’aveva accolta e invitata a
togliersi un indumento differente.
Stavolta sul pavimento era finita la gonna.
Di nuovo quella mano grande, scura e con le vene in rilievo, che scivolava
morbida sulla carta.
Sulla pelle sarebbe stata una mano delicata, nonostante i calli.
Ilaria bramava quella mano anche se apparteneva a un uomo insopportabile e
borioso.
Guardava, Ilaria, e pensava tutte queste cose, senza parlare, ma solo vedendosi
nascere sul foglio. Ancora bella, ancora desiderabile. Possibile che allo
specchio non avesse mai colto quella buffa piega delle sue labbra? Luther la
ritraeva in silenzio ma ella voleva sentire ancora una volta la sua voce.
“Non capisco molto di arte. Mi scusi per ieri. Io ho sempre fatto l’impiegata. E
ho visitato i musei solo se mi ci portavano di forza...”
Luther aveva risposto con un mugugno quindi Ilaria si era richiusa nel suo
pensieroso silenzio. Alla fine della posa Luther era sparito dietro l’unica
porta visibile all’interno del grande loft.
Era tornato carico di monografie di pittori soprattutto impressionisti.
“Guardati questi libri e se hai domande me le farai domani. Ma vieni presto se
puoi. Ho bisogno di una luce diversa.”
Ho visto Ilaria divorare quei libri quella notte. L’ho osservata soffermarsi
intensamente su un quadro di Manet, Le dejeuner sur l’herbe, e un po’
riconoscersi nella bellezza antica della donna nuda in primo piano. Come
l’avrebbe vista, nuda, Luther?
“Avvolgiti in quella coperta, e rannicchiati sul divano.”
Quella era la posa del giorno seguente e oltre alla luce diversa lo era anche al
musica. Non c’era più la settima sinfonia in mi minore di Mahler in sottofondo,
essenziale nel timbro e complessa nella costruzione, elegante, ma opera. Era
sicuramente Verdi. Certo il Nabucco! Lo si riconosceva dalla grandiosità.
“Devo spogliarmi?” Ilaria non l’aveva chiesto con l’apprensione che si sarebbe
dovuta aspettare, ma con una certa speranza nella voce...
“I tuoi piedi. Voglio vedere solo i tuoi piedi nudi uscire dalla coperta, e
guardami come se fossi il tuo amante.
“Come si guarda un amante?” Domanda ingenua e sciocca...
“Non penso che tu sia vergine...”
Logica impeccabile.
Aveva iniziato ad osservare ogni angolo di quel viso. Le rughe di
concentrazione, la barba spruzzata di grigio, i capelli folti. Dovevano essere
morbidi. La smorfia delle labbra, il movimento forsennato dei suoi occhi dal
verde indefinito. Le palpebre, dalle ciglia da far invidia ad una donna, che
parevano non prendersi mai un attimo di riposo.
“Ti sono piaciuti i libri?” aveva detto Luther senza staccare gli occhi dallo
schizzo.
“Si. Da profana moltissimo.”
“Poseresti nuda?”
Forse per la prima volta si erano guardati negli occhi.
“Luther...” Non sapeva cosa rispondere.
In realtà la voglia era di spogliarsi nella speranza di risultare bella tanto
quanto si era vista negli altri schizzi. E nascosta, ma non molto, c’era
l’aspettativa di creare desiderio in quello strano uomo.
“Non mi hai detto se ti vado bene come modella. Non fai apprezzamenti. Non dici
niente.”
Incerta si era presa fra i denti il labbro inferiore.
“Sei un’ottima modella. Si vede che non sei un’attrice e, forse per questo, le
tue espressioni sono più vere. Insomma, prima avrei potuto credere di essere
davvero desiderato dai tuoi occhi.”
“Forse lo eri...”
“Ilaria, io sono un uomo. Forse non più giovane, ma gli istinti e le pulsioni
sono ancora intatte. Non puoi dirmi così...”
Ilaria si era mossa leggermente sotto la coperta. Luther le aveva guardato i
piedi pallidi spuntare maggiormente. Era stato un attimo.
Era sceso con le mani sulle sue caviglie e aveva iniziato a baciarla e a
leccarle i piedi. Con desiderio, con bramosia...
Poi era risalito su, più su, fino all’inguine e con la lingua si era infilato
sotto l’elastico degli slip. Li aveva scostati leggermente con le dita per
scoprire lo scrigno del desiderio, aveva assaggiato e riassaggiato la donna, un
sapore forte, persistente, acido, ma anche dolce e denso come il miele. L’aveva
penetrata sia con le dita, per sentirla morbida, che con la lingua, per farla
fremere, per farla eccitare quanto lo era lui, col sesso che pulsava contro la
costrizione dei pantaloni di fustagno.
Con la bocca, ma non con le dita, era salito al suo seno florido che era duro
sotto i colpi della sua lingua e pungente nei capezzoli che parevano punte di
spilli da tanto si erano ristretti.
C’era passione, ma non foga, perché a Luther piaceva gustare con calma ogni
sensazione, come quando osservava a lungo una cosa prima di ritrarla. E a
Ilaria, piaceva essere gustata e scoperta con calma. Voleva che Luther capisse
cosa le faceva piacere, che lo capisse dai suoi gemiti, anche se le parole non
le uscivano, che lo capisse dai suoi tremiti anche se i suoi occhi chiusi non
potevano parlare.
Impressionare la mente di sensazioni, certo, ma Luther aveva bisogno della
vista. L’aveva implorata, solo una volta nella loro conoscenza, l’aveva pregata
di aprire gli occhi e di guardare ciò che i loro corpi stavano facendo l’uno
all’altro.
Ed ora aveva bisogno di sentirsi avvolto e protetto dal ventre di Ilaria. Non
poteva aspettare oltre, anche se l’erezione non era ancora completa, ma aveva un
senso nello stomaco e in gola così tremendo da sopportare che non poteva
comportarsi in altro modo. Senza togliersi i pantaloni ma solo aprendo la patta,
senza levare gli slip, ma solo scostandoli, si era inumidito la punta del pene
con la propria saliva e poi era affondato in lei...
Ecco, ora stava bene, quella sensazione, quel malessere, erano spariti come
dissolti. Aveva dato qualche spinta breve e possente poi si era fermato senza
pesare su di lei, ma guardandola dritto negli occhi.
Ilaria gli aveva sfiorato il viso scuro, passato un dito sulle labbra, lui lo
aveva leccato brevemente.
Aveva spinto in lei, con calma, pareva volesse uscire, ma poi rientrava cercando
di affondare sempre di più. Finalmente era diventato duro, duro davvero, roccia,
per essere perfetto per lei. Allora era uscito, aveva tolto i vestiti e si era
disteso al suo fianco prendendole una mano e portandosela sul sesso, bagnato di
entrambi.
Guardava, Luther, la mano di Ilaria che si muoveva sinuosa e calda, osservava la
sua bocca che piano piano si avvicinava e la sua lingua che usciva piccola dalle
labbra e lo sfiorava appena come per decidere se il suo gusto le piaceva o meno.
Evidentemente le piaceva perché l’aveva assaggiato e riassaggiato ancora. Mentre
lui la frugava un po’ ovunque alla scoperta dei punti sensibili, per tenere
occupate le mani, per allontanare l’orgasmo.
Con le ultime donne con cui era stato, aveva avuto spesso dei problemi a godere,
si era davvero dovuto concentrare, ma con Ilaria...
Ilaria l’aveva desiderata nel momento stesso in cui aveva visto i suoi piedi
nudi.
Era tornato giù, li aveva massaggiati, mentre con le dita dei suoi piedi la
masturbava. Era sul divano, stava scomodo, le sue povere ossa piangevano, ma il
suo pene era pronto a scoppiare. Ma le mangiava i piedi, ditino per ditino...
Poi era entrato di nuovo in lei, incontrando meno resistenza e scivolando
meglio. Si sentiva circondato dalle sue braccia e dalle sue cosce e dal suo
sesso e dalla sua essenza. Si sentiva come quando finiva un quadro e ne era
uscito proprio ciò ci avevo voluto vedere. Si sentiva inebriato dall’odore dei
loro umori, dai rumori dei loro corpi che sbattevano l’uno contro l’altro, dal
sapore del desiderio.
La pelle di Ilaria era candida e vi aveva riversato il suo sperma. Le goccioline
parevano piccole perle sul suo ventre.... Ilaria si era spalmata il seme sul
corpo e poi si era leccata avidamente le mani mentre lo guardava compiaciuta.
Non era venuta, ma era stata bene come non si ricordava di essere stata con un
uomo.
Luther le aveva detto: “Stai ferma così!”
Era corso a prendere un nuovo blocco e l’aveva ritratta, con quella luce di
soddisfazione negli occhi, con una nuova consapevolezza: quella di avere ancora
potere su un uomo. Una sensazione inebriante. Eppure non aveva fatto quasi
niente, aveva lasciato fare a lui...
Il dipinto che le aveva fatto quella volta era stato il migliore: ritraeva una
donna fiera, naturalmente bella, appagata anche se i suoi occhi lasciavano
intendere ancora molto...
Ed era stato così tra Ilaria e Luther.
Fino a quando era durata, fino a quando la passione aveva trovato soddisfazione,
fino a quando Ilaria era stata un’ispirazione.
Anche quando la passione era diventata amore, anche quando l’ispirazione era
finita, anche quando la morte si era portata via Luther.
Ho visto Ilaria che stavolta non aveva dovuto cominciare un’altra vita, come era
stato dopo il divorzio, ma proseguire su una strada che era stata bella e lo
poteva essere ancora.
Spesso passava, Ilaria, alla galleria dove era stato esposto il dipinto della
loro prima volta, la tristezza la prendeva per un attimo, poi andava al loft ora
praticamente vuoto, si masturbava sul loro divano, nelle orecchie e, soprattutto
nei ricordi, le note di Mahler e poi se ne andava col sorriso sulle labbra.
Libera e leggera.
Conosco Ilaria da una vita.
Ilaria sono io.