Peccato veniale
di Mad Fem
Non lo attendeva nessuno da molto tempo ormai e guardare la cameriera
stancamente affaccendata nell’usuale riordino dei tavoli, era l’unica cosa che
aveva da fare per quella sera. Le mani della donna parevano godere di vita
propria nell’atto di abbrancare i bicchieri a quattro per volta e porli sul
vassoio guardando lontano, oltre l’uomo, oltre la piazza, oltre la città. Il
vecchio la osservava sparire di spalle risucchiata dalla tenda del locale e
ritornare tra i tavoli con il piccolo viso rivolto verso di lui, cui il chiarore
artificiale dipingeva profonde occhiaie scure. Stava puntando dritta su
quell’ultimo cliente ancora ostinatamente seduto nella semioscurità. Gli si era
parata davanti e lo guardava, forse senza vederlo, con un sorriso appena
accennato di cortesia e, senza parlare, aveva allungato il braccio per ritirare
il bicchiere sporco. Lui aveva appoggiato la mano ossuta su quella di lei
costringendola a guardarlo negli occhi ancora vivaci nonostante l’età.
“Come sei giovane ... e bella.”
“Sono soprattutto stanca” aveva risposto la ragazza in modo brusco, pentendosene
subito. Dopotutto lui voleva solo scambiare due parole.
“Siediti qui e riposati un attimo. Parlami un po’ di te, prima che io possa fare
il contrario.”
Non sembrava pericoloso e non c’era più nessuno da servire. Una pausa poteva
anche permettersela. Si era lasciata cadere sulla punta della sedia, stendendo
le gambe e appoggiando il collo sulla spalliera.
Vista così sembrava una bambina grande.
I pensieri dell’uomo si accavallavano e la prossima domanda era importante, non
poteva stare a guardarla così, senza approfittare della sua vicinanza che già
gli stava procurando una piacevole sensazione di calore.
“Studi ancora?” le aveva chiesto già sapendo che non poteva essere, ma fare
complimenti alle donne gli piaceva e gli piaceva, soprattutto, che loro
gradissero.
Lei aveva arricciato la bocca in una smorfia.
“Magari! Ma questo significa che dimostro meno dei miei trent’anni” e si era
lasciata sfuggire una risatina compiaciuta.
L’atmosfera si era fatta piacevolmente intima tra i due.
L’uomo le aveva delicatamente afferrato un piede e se l’era portato sulle
ginocchia.
Piano le aveva tolto il sandalo e aveva cominciato un leggero massaggio toccando
la pelle voluttuosamente, come per convincersi che quel giovane piede fosse
veramente fra le sue mani.
La ragazza aveva chiuso gli occhi sospirando. Non voleva rinunciare alla
piacevolezza di quell’attimo. I pensieri le arrivavano scomposti sovrapponendo
altre mani e altri luoghi, ma mai si era sentita così rilassata. Quella carezza
sapiente, calda e avvolgente, la teneva inchiodata lì per il solo gusto di
goderne. Quelle mani che le erano parse ossute erano stranamente morbide mentre
toccavano la pianta del piede e risalivano, sfregavano il calcagno, fino alla
caviglia indugiando sul malleolo. Era bellissimo: avrebbe voluto non finisse
mai.
Istintivamente si era sfilata l’altro sandalo e aveva appoggiato quel piede
sulle gambe del vecchio direttamente su una durezza che non si era aspettata di
trovare. Perché? Solo perché non era più un ragazzo? L’aveva fatto eccitare e la
cosa era piacevole, dopotutto.
Si sentiva languida e calda, anche un po’ umida in mezzo alle gambe, il suo
afrore di femmina si avvertiva appena, ma andava crescendo.
Aveva schiuso un po’ le gambe mentre entrambi i piedi venivano accarezzati.
Le mani avevano preso vita, ma si erano fermate a mezz’aria seguendo un pensiero
molesto: che cosa sto facendo?
I nodi di stress accumulati si stavano sciogliendo in ondate di benessere e
qualche piccola lacrima di benessere che si era portata via definitivamente il
pensiero.
Le mani erano ricadute sul vestito, calde.
Lui ne aveva presa una e ne massaggiava piano il polso, con movimenti circolari,
poi il dorso cominciando dalla punta delle dita risalendo con delicatezza, ma
senza tregua.
Sentiva uno strano ronzio nella testa ovattata.
Il formicolio si andava estendendo anche all’altra mano, alle braccia, a tutto
il corpo.
Si sentiva troppo bene, non avrebbe voluto mai andarsene da lì.
I pensieri si aggrovigliavano, ma uno solo era ben nitido: voleva godersi il
momento.
Le carezze continuavano e non avrebbe saputo dire in che punto preciso del
corpo, tanto erano avvolgenti.
Sembravano mille mani e mille carezze, erano dovunque.
Dov’era andato a finire il buon senso? Avrebbe potuto arrivare qualcuno. Vero, e
allora? Una cameriera che si fa massaggiare i piedi, era un’offesa alla decenza?
Ma a chi poteva importare? Ormai faceva buio, non c’era più nessuno in giro e se
qualcuno avesse voluto guardare protetto dall’oscurità, che guardasse pure.
Lui le aveva preso le mani e gliele aveva posate in grembo, coprendole con le
proprie, le guidava attraverso il vestito, ma sembravano sulla pelle nuda.
I fianchi, le cosce e poi ancora i fianchi e anche dove l’abito disegnava un
piccolo monte e di nuovo i fianchi, e un’altra volta appena più in fondo.
La pressione delle dita si era concentrata in un piccolo cerchio sotto
l’ombelico.
Che stava facendo? Aveva voglia di toccarsi davanti a quell’uomo che non aveva
più connotati, chissà chi era e che viso aveva. Niente aveva importanza se non
quella carezza e la sua irrefrenabile voglia di andare fino in fondo.
Una voce la stava guidando, ma non avrebbe saputo dire di chi fosse: la propria?
Rovesciando la testa all’indietro e aprendo un po’ la bocca le era uscito un
suono gutturale, profondo, femminile, liberatorio: bello.
Lui era soddisfatto e l’aveva lasciata lì a prendersi un attimo di felicità
indisturbata.
Alzandosi si era rimesso il colletto inamidato che completava la camicia
ecclesiastica, con il pensiero o la speranza che ci sarebbe stata una prossima
volta.
Far godere una ragazza è un peccato veramente piccolo, un peccato veniale,
forse, nemmeno quello.