Raso nero
di Mirtilla
Ormai aveva dimenticato di
possederlo. Non ricordava più quanto tempo fosse trascorso da allora. Quella notte lasciò un segno così profondo nei suoi ricordi, che anche ora a distanza di molti anni, le pareva di sentirne il profumo, di percepirne le vibrazioni, di accogliere dentro di sé il seme del desiderio. Quella notte la musica era dentro e fuori di lei. E così pure la favola che stava vivendo, la passione che sentiva scorrerle in mezzo alle gambe. Sentiva che sarebbe stata una notte meravigliosa. Lei, lui, sotto un cielo stellato. Il momento era adatto a ciò che stava per accadere; ogni cosa, ogni creatura divina si adoperava affinché avvenisse ciò che doveva essere. Non si udivano rumori, anche la natura attendeva in rispettoso silenzio. Era notte fonda e lei era nera e profonda come la notte. Apparve all’improvviso, per magia. Bella, la più bella dea di ogni tempo; splendida e terrificante. La più bella femmina mai vista. Ogni volta che si mostrava, sconvolgeva gli animi, la mente e i sensi di ogni uomo. Tutti erano folgorati da lei. E lei si dava, lei si concedeva, lei sceglieva, lei che in nessun caso si lasciava andare, donava solo ciò che voleva. Era lì davanti a lui. L’aveva aspettata per un tempo infinito, incalcolabile, l’aveva desiderata da sempre, l’aveva tormentato per troppe notti. Si era svegliato bagnato, sudato, agitato ed eccitato dal ricordo dell’amore vissuto durante il sogno. Ed ora lei era lì davanti a lui. Spaventosa, elettrizzante, avvolgente, irresistibile. Ora che era lì per lui, non aveva nemmeno il coraggio di toccarla. E non ce ne fu bisogno. La guardava, inconsapevole del suo ruolo di amante perfetto. Si era sentito forte della sua esperienza e della sua età, aveva percepito il proprio potere nei confronti di una donna molto più giovane, seppur così bella e sconvolgente. Le cose non stavano andando come previsto. Si era immaginato di conquistarla con il suo fascino, prenderla di forza come un animale, con violenza, mentre ora si sentiva sopraffatto da lei. Perché aveva scelto quel luogo desolato, perché aveva indossato quell’abito, perché sentiva già il desiderio crescere il lui, il sesso irrigidirsi e la voglia di possederla farlo impazzire? Quel posto e quell’abito li aveva scelti per lui, perché non avesse altri pensieri che lei, perché tutto il mondo fuori fosse cancellato in un attimo ed in quel bosco, quella notte esistessero solo loro due. Lo voleva sentire pregarla di donarsi a lui, voleva sentirlo piagnucolare che lei e solo lei era la sua vita e che senza di lei non aveva più aria da respirare. Quell’abito, così perfetto su di lei, così sensuale, luminoso come i suoi occhi, lungo fino ai piedi scalzi, seguiva le colline dei seni, s’insinuava nel taglio della vita, disegnava le curve pronunciate dei suoi fianchi e dei suoi glutei. Le spalle nude erano ricoperte dalla cascata fluente dei capelli corvini, un mantello soffice e ondulato, di lunghe setole che profumavano di gelsomino. Il fiato gli mancò, l’ossigeno era saturo del profumo della sua pelle, l’odore che emanava lo stordiva. S’avvicinava a lui, ondeggiando i fianchi come una barca cullata dalle acque del porto, sbatteva le anche come una leonessa carica di desiderio. Le sue labbra carnose e dischiuse, erano gonfie come frutti maturi. La luce della luna la illuminava da dietro, il suo volto, il suo corpo, il vestito, i capelli, tutto era oscurità, una dama nera avvolta da un’aura luminosa, troneggiava su di lui. I capelli accarezzati dal vento, si sollevavano in deliziose onde disordinate. Il lungo vestito frusciava attorno ai suoi piedi, come una musica di viole e arpe, che ne annunciavano l’arrivo. Sentiva di non avere più la forza di resistere. Era troppo per lui. Nemmeno nel sogno l’aveva immaginata così bella. Una strega, sì, era di sicuro una strega. Quando gli fu vicina, la guardò in viso. I suoi tratti marcati, i suoi zigomi sporgenti, i suoi occhi allungati, la bocca piena e sugosa, il trucco nero come il vestito e come i capelli. Dio com’era bella! Una notte interminabile. Non si rese conto di quanto lunga o corta fosse. L’amò fino al sorgere del sole ed il suo ricordo rimase inciso nella memoria per tutta la vita. Ricordava perfettamente ogni istante. Il momento in cui appoggiò le mani sui suoi fianchi e con le dita palpò la morbidezza e la freschezza del tessuto, che scivolava su di lei ad ogni movimento. Non dimenticò mai quel tocco, anche ora poteva percepirlo, a distanza di molto tempo. Ricordava perfettamente le sue colline ricoperte di nera stoffa lucente e il momento in cui sganciò l’allacciatura che manteneva unito il tessuto, lasciando cadere la veste che scivolò con un delicato fruscio ai suoi piedi. Questa volta il respiro cessò del tutto. Il suo corpo era una statua di Venere, che arrivava a lui per condurlo alla disperazione dei sensi, la sua bocca era un cesto di frutta che profumava come le fragole di bosco e come le more sui rovi, le sue mani erano lunghe e affusolate, le dita come frecce scoccate dall’arco di Cupido, pronte a colpirlo al cuore, la sua pelle era morbida e liscia come il raso, come quel vestito caduto a terra, che al tocco sembrava ancora indossare, pelle bianca come la cera e come il chiaro di luna, gli occhi brillavano come le stelle del firmamento, luminosi come fuochi, accesi come torce per illuminare il cammino dei disperati di cuore e dei senz’anima. Le mani di lei lo presero e lo esplorarono in ogni piega, disegnando ogni muscolo; mani esperte, piccole mani, frementi di desiderio, che si aprivano e si chiudevano per accarezzare e stringere. Le labbra di lei si aprivano come petali di una rosa fresca e profumata, per raccoglie la rugiada del mattino e bere, assetata di siero. Lui l’amò come mai aveva amato e come mai più amò nessuna. La notte li protesse, non avrebbe permesso a nessuno di interferire nel loro amore. Non si incontrarono più, il loro amore, perché questo fu, durò solo quella notte. Dimenticò il suo volto, ma non dimenticò mai il tocco delle sue mani sui suoi fianchi, che accarezzavano il tessuto dell’abito di raso nero che era appeso nell’armadio da quella notte e che in nessun altra occasione indossò più. |